Vivere di fede

Omelia in occasione della festa della Presentazione di Nostro Signore Gesù Cristo
02-02-2013
Genova, Cattedrale di San Lorenzo,
2 febbraio 2013
Cari Fratelli e Sorelle nel Signore

Oggi, 2 febbraio, la Chiesa celebra la Giornata della Vita Consacrata. E’ l’occasione per esprimere l’affetto e la gratitudine per coloro che hanno risposto alla consacrazione nel segno dei consigli evangelici, e che sono presenti e operanti nella nostra Diocesi. La Chiesa vi è vicina e vi ringrazia non solo per i vostri specifici carismi e per i vostri molteplici servizi, ma innanzitutto per il segno grande della consacrazione, che esprime e manifesta il rapporto sponsale tra  Cristo-Capo e la Chiesa-Corpo di Cristo. C’è bisogno di questa profezia anche oggi, in una cultura per cui i legami sono sentiti come la negazione della libertà individuale, dello slancio vitale, della spontaneità soggettiva. E quindi la fedeltà – il per sempre – viene guardata come una prospettiva opprimente e impossibile. Per questo tutto sembra dover essere vissuto a tempo, per prova, per vedere se ci si sente soddisfatti – oggi si dice realizzati! -: consacrazione, sacerdozio, famiglia.
Alla base di tale allergia ai legami, sul piano antropologico troviamo il rifiuto del limite, del fatto che siamo creature limitate e che pertanto abbiamo bisogno gli uni degli altri, che dipendiamo gli uni dagli altri. Si respira il rifiuto del limite anziché la bellezza e l’elogio del limite. Sì elogio, perché il limite – fisico, affettivo, intellettuale, spirituale… – ci spinge ad uscire da noi stessi, ci costringe  a scontrarci con la nostra non autosufficienza, e così imparare ad entrare in comunicazione con gli altri non come nostro specchio e proiezione, ma come il terminale di relazioni vere e virtuose. Ci spinge a chiedere umilmente aiuto e a dare generosamente aiuto. Non è anche questa la dinamica molto umana, e per nulla poetica, della vita di fraternità comunque questa si svolga? Ebbene, Dio ha voluto rapportarsi con l’umanità con un legame d’amore nella forma eccellente della sponsalità, dove la fedeltà e l’unicità dell’amore si esprimono nella vita di famiglia e nella fecondità della vita. Gli uomini hanno bisogno di vedere questa radicalità d’amore che è fascino e impegno, gioia e tormento quotidiano. Hanno bisogno di vedere che è possibile perché, al fondo del proprio cuore spesso ingannato da culture distorte e interessate, sentono che questa è la propria casa, la patria della gioia vera nel tempo e nell’eternità.

Purtroppo, questa ritrosia a coinvolgerci, ad arrenderci, insinua anche il nostro rapporto con Gesù e quindi la nostra consacrazione. Per questo abbiamo bisogno di stare all’erta, e l’anno della fede ne è un’occasione propizia. Infatti, credere è decidere di lasciarci amare da Dio. E l’amore è l’avventura più bella, ma anche il legame più esigente: se poi si tratta di Lui allora il legame si presenta al nostro “sì” come radicale. Se volessimo tentare un’immagine appunto radicale, potremmo pensare ad un triangolo che, anziché poggiare su un lato, poggia su una punta: la punta è Gesù e il suo amore. Perché ciò avvenga – pur senza sminuire ogni altro possibile e legittimo punto d’appoggio –  è necessaria la fede. Siamo noi anime di fede? La risposta è evidente e certa, corale e sincera: per la grazia di Dio lo siamo. Ma viviamo di fede? E qui penso che ognuno di noi debba verificarsi seriamente, perché avere la fede e vivere di fede non è la stessa cosa in modo scontato. Che cosa significa allora vivere di fede? Non vuol dire conoscerla nei suoi misteri, né esserne maestro per gli altri, né solo avere dei tempi regolari di preghiera, né rispettare le regole delle rispettive comunità. Significa leggere le cose con gli occhi di Gesù, cioè di Dio. Potremmo chiederci: come siamo abituati a vedere e giudicare le situazioni, gli avvenimenti che accadono a noi personalmente, alle nostre comunità, alla Chiesa, alla vita degli altri e del mondo? Forse usando i criteri correnti, gli schemi dominanti? Forse sono i parametri del nostro individuale benessere? Del nostro sentirci realizzati perché le cose corrispondono ai nostri gusti, alle idee alle quali sia tanto affezionati e che ci sembrano le migliori? Forse la consonanza con i nostri progetti? In questi casi non viviamo di fede, ma ci nascondiamo dietro alle ragioni religiose per affermare noi stessi, non per accogliere il Signore che ci ama e ci porta per sentieri non nostri ma suoi. Penso che qui possiamo avere un buon criterio per rispondere a quella domanda da cui non possiamo sfuggire se vogliamo vivere la nostra consacrazione e percorrere la via della luce e della gioia.
Cari Amici, il Signore della luce illumini i nostri cuori facendo verità: la sua luce non schiaccia perché è luce d’amore. Mentre risplende e illumina, abbraccia e salva

Angelo Card. Bagnasco
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