Solennità di Tutti i Santi
01-11-2013
Cattedrale, Solennità di Tutti i Santi,
1 novembre 2013
1. Il libro dell’Apocalisse ci sollecita a guardare in alto e a contemplare i Santi, coloro che la Chiesa ha elevato agli onori degli altari. La visione di questo immenso stuolo ci invita a pensare alla santità della nostra vita.
Come cristiani ci dobbiamo chiedere che cosa fare per essere fedeli a Gesù, per aiutare gli altri, per diradare le ombre e seminare speranza. Non possiamo non interrogarci: è Cristo, infatti, che ci ha costituiti “sale della terra e luce del mondo” non in forza della nostra bravura, ma della fede in Lui. Siamo dunque investiti di una singolare responsabilità, che ci fa sentire ogni persona come fratello, e ci fa guardare ogni cultura con intelligenza nel desiderio che tutti giungano alla luce di Cristo.
Che cosa dunque possiamo fare? Il Santo Padre Francesco ci indica la via della santità: la via antica e sempre nuova percorsa da tantissimi nostri fratelli e sorelle confessori della fede, martiri del Vangelo, Sono loro i primi e più grandi benefattori di questa terra affaticata. Via che una moltitudine immensa – di ogni nazione, razza, popolo e lingua – ha solcato e irrigato con la propria vita. E’ questa la risposta alla doverosa domanda: per restituire la speranza all’umanità noi siamo chiamati a diventare santi.
2. Ma, dal segreto del cuore, un interrogativo avanza: non è una meta troppo alta per me? Ognuno conosce i propri limiti, le fragilità ricorrenti: ce la farò a diventare santo? E che cosa significa essere santo? I Santi di ieri e di oggi non solo ci indicano la meta, ma tracciano la strada. Sì, perché noi siamo un po’ come bambini presuntuosi e distratti, che dimenticano le cose che contano perché presi da balocchi che mani esperte e interessate muovono davanti ai nostri occhi.
Per questo abbiamo bisogno che qualcuno, con paziente amorevolezza, ci ripeta e ci spieghi le cose giuste della vita. E la Chiesa ci ricorda che la santità è “appartenere a Gesù”.
Tutti sappiamo che cosa significhi appartenere a qualcuno: vuol dire uscire da sé, lasciare la riva del nostro piccolo io e prendere il largo verso Dio. Vuol dire consegnarsi a Lui. E questa appartenenza si esprime nel volere la sua volontà, desiderare i suoi desideri, seguire i suoi passi, fidarsi della sua parola, soprattutto quando il buio ci avvolge. Così, come ha fatto Pietro sulla riva del lago di Galilea: “Sulla tua parola getterò le reti”. Non erano le evidenze umane né il buon senso a spingere Pietro in mare: solo l’invito del Maestro era la sua evidenza e la sua fiducia. Egli stava così percorrendo la via segreta della santità. Ma noi ci fidiamo veramente di Dio, specialmente quando siamo nella prova? Anche quando siamo non compresi o perseguitati per amore di Cristo, per come pensiamo la vita e la morte, l’amore e la famiglia?
Come non pensare a San Tommaso Moro che, come San Giovanni Battista, ha preferito perdere il potere e la vita piuttosto che avvallare il divorzio e le nuove nozze di Enrico VIII? Come non pensare a San Giuseppe Moscati che, all’inizio del secolo scorso, ha vissuto la santità nella sua professione di medico e di scienziato? o anche a Santa Giuseppina Bakhita, africana, vissuta come schiava? O la Beata Gianna Beretta Molla che, morì nel 1962 pur di salvare la creatura che aveva in grembo? Ella soleva ripetere: “La santità è la quotidianità della vita vissuta alla luce di Dio”. E il Santo Curato d’Ars che nel ‘700 convertì la sua Parrocchia con una vita di preghiera e di penitenza? E i beati Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II che hanno segnato il mondo?
Ognuno scelga i Santi che sono più vicini alla sua vita, sensibilità, storia. Ne conosca la vita più da vicino, li preghi con fiducia, li tenga cari come compagni e fratelli. Si accorgerà con stupore e gratitudine che essi sono una rifrazione multicolore dell’unica luce di Cristo. Non solo si sentirà contagiato dal loro esempio, ma anche sostenuto dalla loro potente intercessione.
Angelo Card. Bagnasco Arcivescovo di Genova