Genova, Monastero Monache Clarisse Cappuccine, 17.9.2022
Incontro con i Giovani di Gorla Maggiore (Varese)
OMELIA
“Vi ho chiamati amici”
Cari Fratelli e Sorelle
Care Sorelle Clarisse Cappuccine
Oggi festeggiamo San Francesco Maria da Camporosso, frate cappuccino che visse a Genova dal 1804 al 1866, quando morì contagiato mentre assisteva i malati di peste. L’opera principale, che lo rese noto in tutta Genova, era fare la questua per le strade e i vicoli della Città, ricevendo la carità di tutti e donando a tutti la ricchezza di Dio. La sua figura era talmente semplice e vera che la gente lo chiamava il “Padre santo”.
Per questa Comunità claustrale è una festa di famiglia, perché è un Santo cappuccino. La vostra festa, care Sorelle, è oggi arricchita anche dalla presenza di questi giovani che, insieme alo loro Parroco Don Valentino, sono venuti qui per alcune ore di preghiera e di incontro. Mentre con affetto saluto tutti voi, cari giovani, per il dono della vostra presenza, ringrazio a nome di tutti la Comunità monastica che ci accoglie con generosa disponibilità e simpatia. Senza retorica, possiamo parlare di uno scambio di doni sapendo che il dono primo e più grande è Gesù qui e ora: Egli ci parla, si dona nel Pane di vita, si fa vedere e toccare se apriamo gli occhi dell’ anima, lo sguardo della fede
- “Questo è il mio comandamento”
Il comandamento di Gesù è una delle parole più note e ripetute da tutti, cristiani e non. E’ il comandamento dell’amore, il suo testamento, il criterio visibile della sequela di Cristo.
Ma non esaurisce il Vangelo, cioè la vita e la persona del Verbo fatto carne. Se riducessimo il Vangelo a questo comandamento, ridurremmo il Vangelo a una pia esortazione, gli toglieremmo la linfa soprannaturale, e guarderemmo il divino Maestro come uno dei tanti maestri di saggezza umana.
Le opere di carità diventerebbero opere buone ma non religiose, non cristologiche, anzi, cristiche, cioè di Cristo in noi e attraverso noi per il mondo. Il nostro agire sarebbe centrato su noi perché partirebbe dalla nostra buona volontà, avrebbe come obiettivo il soddisfacimento dei bisogni umani, cosa certamente buona. Ma il cristiano sa che l’origine del bene compiuto non è il suo io, ma Dio con lui, anzi Dio in lui, poiché è Gesù che, amandoci, ci rende capaci di amare Lui e tutto ciò che Lui ama: capaci e felici che Egli operi attraverso noi per raggiungere i fratelli nei loro bisogni umani, per rispondere al bisogno assoluto dell’anima che è il volto di Gesù. Il cristiano sa che senza il pane l’uomo è povero, ma senza Dio è poverissimo.
Nella vita di San Francesco Maria da Camporosso, la carità della gente soccorreva le necessità dei frati, e il Padre santo sfamava la fame dell’ anima, la fame di Dio.
- “Voi siete miei amici se fate ciò che vi comando”
Sembra una singolare amicizia quella che Gesù dichiara ai suoi discepoli, un’amicizia che si basa sull’obbedienza ai suoi comandi! Ma dobbiamo pensarci seriamente per non perdere nessuna delle parole del Maestro.
I comandi di Dio non sono volontà di comando, ma atti d’amore. Non affermano Dio – non ne ha bisogno – ma servono noi. Egli non ha bisogno di essere obbedito ma noi di obbedire, perché le sue parole ci indicano la via della vita e della gioia. I comandamenti non sono dei no, ma un grande SI’ all’amore, alla verità di Dio e alla verità dell’uomo. Per questo non negano la nostra libertà ma, al contrario, ci insegnano ad essere liberi nella verità. Sono parole impegnative le sue, a volte faticose, chiedono anche sacrificio, ma ogni rinuncia è una adesione a qualcosa di più grande e di più bello che non sempre soddisfa gli impulsi, ma riempie il cuore con di letizia e di pace.
Ecco la vita morale del discepolo, ed ecco la via dell’ amicizia vera, quella che non è fatta solo di emozioni e sentimenti, ma che vuole e opera per il bene dell’altro. In questa intimità con il Signore, fatta di preghiera, Vangelo ed Eucaristia, silenzio e solitudine, di comunità, l’anima è nutrita, e cresce nel modo di pensare, di amare e di vivere come Gesù e con Lui.
- “Tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi”
Il Signore ci dice ancora qualcosa per farci comprendere l’amicizia con Lui, qualcosa che oggi non è scontato né sul piano umano che di fede. Si tratta di comunicare il cuore, cioè l’anima, qualcosa del nostro mondo interiore che è il pascolo di Dio e dove Lui opera. Comunicare ad altri con sobrietà il mistero di Dio e la sua azione in noi e nella comunità, non significa esibirsi o curiosare nell’intimità di qualcuno, bensì condividere – come fa Gesù – il suo cuore, che è il cuore stesso di Dio. Significa vivere l’amicizia degli spiriti, aiutarci a crescere nella fede sapendo che là dove c’è Dio lì c’è calore, fraternità, casa. L’amicizia cristiana non ha al centro noi stessi ma Cristo: voi state insieme perché camminate dietro a Lui, il grande Amico, il Redentore delle nostre anime, la nostra Speranza, il mondo nuovo che Egli inizia. Il Regno, infatti, è Lui stesso.
Cari Amici, il novo mondo siete voi, ma non in virtù della vostra giovinezza, bensì in forza della vostra fede, dell’intimità con il Signore, della confidenza in Lui, del vostro lasciarvi amare e assimilare in Lui. E’ in virtù di questo, del vostro camminare insieme, che la vostra allegria, la vostra presenza festosa o riflessiva, operativa o orante, sono vere perché hanno un’anima: tra voi c’è Lui, il Risorto. Il mondo è chiassoso ed esibisce la gioia, ma non è vero: esso è triste perché sente il vuoto dell’anima, perché è confuso e smarrito, perché non sa dove andare e il perché del vivere e del morire.
Siate, come il Padre santo, piccole anfore d’ acqua che disseta, siate umili lampade dove brilla la luce di Gesù, siate dispensatori della gioia evangelica, araldi dell’amore che trabocca dai vostri giovani cuori abitati da Dio. Il Padre santo era questo nei vicoli di Genova: siamolo anche noi.
Card. Angelo Bagnasco
Arcivescovo emerito di Genova