Sanremo 6 Settembre 2022
Convegno Nazionale dei Canonisti
OMELIA
“Una forza che sana”
Cari Confratelli ne Sacerdozio e nel Diaconato
Sig. Presidente del Tribunale della Sacra Rota
Cari Fratelli e Sorelle nel Signore
Un cordiale saluto a tutti, e un particolare un fraterno ossequio al Vescovo di questa Diocesi, S.E. Mons. Antonio Suetta. Sono lieto di celebrare la divina Eucaristia con voi e per voi, in apertura del Convegno Nazionale dei Canonisti. Grazie per il vostro servizio nei Tribunali Ecclesiastici, e per l’impegno in questo delicato e imprescindibile compito pastorale. Dire “pastorale” – voi lo sapete – non sminuisce affatto la scienza e la perizia canonica che avete, bensì fa risaltare lo scopo e lo spirito che vi animano, cioè la salus animarum: scopo che richiede anche l’amministrazione della giustizia nei vari ambiti e livelli.
La giustizia, sia civile che ecclesiastica, è parente della verità, ne deve essere l’espressione applicata, avendo al centro la verità della persona che in Gesù si rivela manifestando la sua altissima dignità di creatura amata e redenta.
- Una forza che sana
Il Vangelo ci presenta Gesù che sceglie i Dodici.: li chiama a sé perché stiano con lui, perché formino la sua famiglia, per educarli alla fede, per insegnare loro i misteri di Dio, per inviarli a predicare la salvezza e la vita eterna. Il brano si conclude ricordando che “la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che sanava tutti”.
Queste parole danno luce alla nostra vita di discepoli, di sacerdoti e ai nostri compiti nella Chiesa e nel mondo.
La prima luce, quella fondamentale, è stare con il Signore, è coltivare l’intimità con Lui e la confidenza in Lui. Intimità e confidenza sono volti della fede: l’intimità scalda l’anima, la confidenza dà fiducia e coraggio nei compiti e nelle difficoltà. Si apre l’orizzonte del primato di Dio, della vita spirituale, fondamento di un agire non solo etico ma religioso, anzi cristico: “Non sono più io che vivo , ma Cristo vive in me”.
Le parole conclusive del brano evangelico parlano di una forza guaritrice che attira la folla a Gesù. Questa forza che sana è anche in noi, anche se non da noi. Nella misura in cui ci lasciamo amare da Dio, ci arrendiamo a Lui, l’anima diventa trasparente, è penetrata dalla Luce del Verbo e quella Luce si rifrange nei volti, nelle parole, nell’agire nostro. Ha il potere non di attrarre a noi ma a Lui, il Signore; ha il potere di beneficare i cuori feriti come l’olio che allevia e fortifica, e come il vino che dona letizia.
- Verità, giustizia e diritto
L’apostolo Paolo – nella lettera appena ascoltata – usa parole chiare e severe nel descrivere la vita del discepolo. Non si tratta di una severità moralistica, ma della serietà religiosa: è la serietà dell’ amore, ma non innanzitutto del nostro amore, ma dell’amore di Dio, che nel Figlio ci ha salvati a caro prezzo, “In Lui, mediante il suo sangue, abbiamo la redenzione, il perdono delle colpe, secondo la ricchezza della sua grazia” (Ef 1, 7). La passione e la morte di Cristo, infatti, sono la misura più alta, tragica e visibile, del Dio-Amore.
Nella teologia della storia vi è un “punto di rottura” con l’antico Adamo ma – nella pienezza dei tempi – è apparso un “’punto di non ritorno”: di fronte al fallimento della libertà, Dio non si tira indietro, ma ricomincia da sé, “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14). Egli mette in gioco se stesso, si coinvolge fino ad assumere la condizione umana per manifestare al mondo il suo sogno, per realizzare ciò che è impossibile all’uomo, ma è possibile a Dio con l’uomo. La misura dell’amore di Dio così di rivela nella sua forma sovrana e suprema, e la libertà umana è chiamata ad entrare nella misura divina come risposta. Ecco la serietà religiosa.
Se la giustizia è riconoscere ciò che ognuno è, e garantirlo nella sua dignità, allora la codificazione di ogni autentico diritto riconosce ed esplicita la verità dell’essere umano. Ciò vale tanto più per la Chiesa, per i Pastori e per chi – come voi – ha ricevuto il mandato di amministrare la giustizia tramite il diritto. Come ogni scelta è chiamata ad essere risposta all’amore di Dio, così anche il vostro ufficio deve portare il timbro dello stesso amore. L’essere abbracciati dall’amore soprannaturale non può non stupirci, deve illuminare l’intelligenza, deve patinare le nostre azioni di bontà e fiducia. Ma neppure può indurci ad alcuna superficialità.
Non è facile oggi il compito della giustizia, poiché siamo giunti alla negazione dell’evidenza, l’uomo contesta la propria natura, si pensa solo come spirito e volontà! E quando la ragione è in crisi la fede non è più forte. L’individualismo relativizza e svuota il valore, parla dei diritti senza parlare anche del dovere di scegliere bene secondo verità.
Cari Amici, preghiamo il Signore affinché ci doni ogni giorno il suo Santo Spirito, ma anche affinché sappiamo accoglierlo con umiltà, consapevoli che Dio vede i nostri cuori e – se lo invochiamo con animo sincero – guida i nostri pensieri e le nostre azioni.
Card. Angelo Bagnasco
Arcivescovo emerito di Genova