Omelia pronunciata in Cattedrale nella S. Messa per il mondo del lavoro nella Solennità di San Giuseppe
17-03-2017
Arcidiocesi di Genova
Solennità di San Giuseppe, 17.3.2017
OMELIA
‘Umiltà e saggezza’
Autorità
Cari Fratelli e Sorelle nel Signore
La solennità di San Giuseppe torna ogni anno per farci pregare e meditare: ci fa pensare al lavoro per poter agire in modo rinnovato. Del lavoro abbiamo sempre parlato con lo sguardo del Pastore, cercando di portare a sintesi riflessioni, conoscenze, e soprattutto le preoccupazioni di tantissimi disoccupati, o giovani che mai hanno trovato impiego anche se preparati, capaci e disponibili. Il fenomeno dell’esodo all’estero di migliaia di giovani in cerca di lavoro e di futuro, ricorda migrazioni antiche, e dovrebbero farci comprendere meglio le migrazioni attuali di rifugiati, certo, ma anche di tanti in cerca di fortuna. La situazione – lo sappiamo – è complessa e complicata: semplificarla sarebbe ingiusto non solo per il problema in sé, ma anche rispetto a molte persone di buona volontà – lavoratori, amministratori, imprenditori, e politici – che in questi lunghi ed estenuanti anni di perdurante crisi vissuta a forza di sacrifici, di speranze, hanno tenuto nonostante tutto.
Pur dovendo riconoscere che la situazione complessiva è ancora grave – i 550.000 pasti distribuiti nello scorso anno dalle nostre mense ne sono un segno – bisogna riconoscere che qualche segnale positivo pare affacciarsi, soprattutto alcune prospettive che sembrano consolidarsi. Naturalmente qui parliamo di noi, di Genova: ci auguriamo, e anche per questo preghiamo, che le opere iniziate vadano a compimento il più rapidamente possibile, e che altre nascano e si realizzino.
Più volte ho sottolineato che un nostro male è quello dei veti incrociati affinché nessuno vinca, faccia bella figura, abbia dei meriti: in questa logica, il bene della Città non c’entra affatto, anzi viene impedito o danneggiato. Un’altra difficoltà è quella di parlarsi poco, o di non parlarsi affatto, per trovare visioni comuni, linee operative: bisogna parlarsi non attraverso le prime pagine, ma attraverso l’incontro diretto e riservato, intelligente e – oso dire – cordiale. Una terza stortura, che rivela poco realismo, è la ricerca dell’ottimo, della soluzione migliore, così che spesso si resta immobili. Di solito questa posizione è un pretesto che nasconde interessi particolari; a volte è semplicemente miopia. Non dobbiamo dimenticare che questi approcci sofisticati ai problemi concreti non di rado sono propri di persone o categorie al riparo da problemi economici.
Che cosa San Giuseppe ha da dirci? E’ un piccolo impresario, ha la sua piccola bottega di falegname, vive per mantenere la sua piccola e straordinaria famiglia, il tenore di vita è essenziale, la società è semplice e il mondo non è globalizzato. Che cosa dunque ci può dire? Credo che abbia da dirci almeno due cose che riguardano il nostro mondo interiore, due atteggiamenti che possono ispirare le nostri menti. Ognuno, infatti, porta nelle situazioni non solo e non tanto delle tecniche e delle competenze, ma sé stesso con le sue ricchezze interiori e povertà. In questa prospettiva, San Giuseppe ci indica l’intelligenza nella sua duplice declinazione: l’umiltà e la saggezza.
L’umiltà è l’intelligenza che riconosce che tutti abbiamo bisogno degli altri, sempre e dovunque: che riconosce i propri limiti ed errori, insieme a capacità e talenti che il buon Dio dona a ognuno in modo diverso. Umiltà non è camminare rasente ai muri, ma credersi i più intelligenti e capaci è il modo migliore per dimostrare di non esserlo veramente: la presunzione – tanto più se vestita di arroganza – sminuisce l’intelligenza, la deforma, la acceca. L’intelligenza umile preserva dall’invidia, dalla voglia di essere sempre sulla scena, di essere ammirati e applauditi: ci salva dalla tentazione del gioco perverso del tanto peggio tanto meglio, del dire di no per affermare se stessi, o di convenire in apparenza ma in pratica frenare.
La saggezza è l’intelligenza capace di parlare con gli altri nel desiderio onesto di trovare soluzioni, mettendo a frutto l’esperienza propria e chiedendo quella degli altri. La saggezza non nasce semplicemente dalla cronaca che si vive, ma dagli insegnamenti che se ne ricavano, così come non basta leggere un libro e conoscerne i contenuti: è necessario cavarne la sintesi e i principi. E’ questo che fa cultura e dà saggezza, prospettiva e criterio. Le molte esperienze, come le molte letture possono generare unenciclopedia ma non la sapienza della mente e del cuore. In questa prospettiva, comunicarsi la saggezza la moltiplica per il bene della città e del popolo.
Cari Amici, sono lieto di vedervi in questa circostanza: prego con voi e prego per voi, per le vostre famiglie, per tutti i lavoratori, per coloro che sono morti sul lavoro. Insieme preghiamo per la Città, perché siamo disposti a sacrificarci per il suo bene che è anche il nostro: nessuno resti alla finestra a guardare come si metteranno le cose, per poi calcolare ciò che conviene.
La Madonna, Regina di Genova, vi benedica, e San Giuseppe custodisca il lavoro come ha custodito la sua famiglia e il suo piccolo laboratorio di falegname.
Angelo Card. Bagnasco
Arcivescovo Metropolita di Genova