Tu lavi i piedi a me?

Omelia della S.Messa in Cena Domini
28-03-2013
Genova, Cattedrale di San Lorenzo,
28 marzo 2013
“Signore, tu lavi i piedi a me?”. E’ la domanda scandalizzata di Pietro a Gesù inginocchiato davanti a lui. Esprime non solo la comprensibile meraviglia per quanto il Maestro sta per fare, ma indica anche la fatica della sua fede. Pietro aveva l’idea di un Messia potente e glorioso, che doveva regnare come i re della terra e che non poteva assumere gli atteggiamenti di un servo, non poteva inginocchiarsi davanti agli uomini ma solo ricevere la loro prostrata sottomissione.
Anche noi possiamo trovarci in Pietro quando, di fronte alle tante povertà e ingiustizie, ci chiediamo: “dov’è Dio? Perché non interviene? Lui non deve condividere le croci degli uomini, ma sbaragliare i mali che ci affliggono. Non è forse un Dio onnipotente?

Il Signore accetta la domanda sdegnata di Pietro, le nostre domande, con pazienza: “Quello che io faccio, tu ora non lo capisci: lo capirai dopo”. Ma quando Pietro avrebbe potuto comprendere il gesto umile di Gesù? Lo avrebbe compreso sul Calvario, davanti al Crocifisso. Allora le parti si sarebbero rovesciate: mescolato tra la folla, ancora con i segni della vergogna del tradimento, Pietro si sarebbe trovato lui ai piedi del Maestro, solo che quei piedi sarebbero stati più alti del suo volto perché innalzati e inchiodati alla croce. E quei piedi sanguinanti Pietro avrebbe voluto lavarli, ma non con l’acqua di un catino, bensì con le sue lacrime. Solo allora avrebbe compreso, sarebbe entrato nella logica del Dio-Amore.
Com’è difficile entrare nell’amore! Tutti ne parliamo con entusiasmo, sentiamo che è la nostra patria, ma misurarci con l’amore e le sue leggi è un’altra cosa. L’amore è uscire da nostro io per andare verso gli altri; è dare anziché prendere; è chiedere senza pretendere, è ricevere senza voler possedere; è essere grati perché tutto è dono. Amare è volere il vero bene dell’altro, e per questo essere disposti a sacrificare noi stessi. Servire per amore non ha nulla di servile né di umiliante: lo scopo riempie il servizio di dignità.

“Tu non mi laverai i piedi in eterno”: l’ostinazione acceca la mente dell’Apostolo e gli chiude il cuore. Pietro, con queste parole, presenta il contrario della fede. Gesù gli aveva chiesto di fidarsi: “lo capirai dopo”. Ma lui non accetta, vuole che le cose sia chiare subito secondo le sue idee: il Messia è glorioso e non deve umiliarsi!
Non accade anche a noi a volte? Eventi, regole, consuetudini, decisioni di chi ha responsabilità…vorremmo che tutto filasse secondo la nostra logica, senza pensare che non conosciamo tante circostanze, finalità, tempi e ostacoli, che inducono a ragionare e a fare in altro modo. E a volte questa impazienza un po’ supponente l’abbiamo anche nella fede.

“Se non ti laverò, non avrai parte con me”. Sembra che Gesù perda la pazienza, ma in realtà mette in campo un’altra carta dell’amore. Non gli spiega il gesto che vuole compiere, ma gli rivela la conseguenza del rifiuto: non avere parte con lui. Pietro non capisce la lavanda dei piedi, e neppure immagina con precisione che cosa significhi quel “non avere parte con lui”. Ma intuisce che in qualche modo si sarebbe separato dal Maestro, che non l’avrebbe più visto, ascoltato. E ciò lo spaventa e lo fa arrendere. Quello che non ha potuto fare la sua piccola fede, lo ha fatto il suo amore. In Pietro tutto è ancora troppo umano, ma nella fede l’umano non viene cancellato bensì elevato: e così sarà per l’Apostolo un giorno fino alla misura del martirio.

Cari Amici, avessimo anche noi l’amore passionale di Pietro per il Signore: un amore in grado di supplire le possibili difficoltà della nostra fede. Forse un giorno, ripensando a questo momento nel cenacolo, l’Apostolo avrà deprecato la sua ostinazione, ma avrà ringraziato il suo affetto sincero per Gesù. Un affetto ancora piccolo, ma sufficiente per farlo tremare all’idea di lasciarlo. Che questo santo timore non lasci nessuno di noi e ci faccia dire con l’Apostolo: “Signore, non solo i piedi (lavami), ma anche le mani e il capo!”.

Angelo Card. Bagnasco
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