Te Deum 2016

Discorso di fine anno pronunciato nella Chiesa del Gesù per il tradizionale canto del Te Deum
31-12-2016

Cari Fratelli e Sorelle

Siamo qui per ringraziare il Signore dei doni ricevuti nell’anno che si conclude, per invocare la sua benedizione per quello che inizia, per riflettere su ciò che abbiamo vissuto, perché sia per noi di monito, di incoraggiamento e di stimolo.

La Chiesa di Genova

Diamo subito uno sguardo al vissuto della comunità cristiana. E’ mai da dimenticare che la Chiesa non è una organizzazione umana, un club di persone che hanno la stessa sensibilità, in cui ci si incontra tra gente che si è scelta e che sta bene insieme; essa non dipende dalla nostra volontà e non vive dei nostri programmi. Se così fosse, sarebbe finita da un pezzo! La Chiesa è il Corpo mistico di Cristo, il Cristo totale diceva sant’Agostino, il santo popolo di Dio ricorda il Concilio Vaticano II. E questa verità è per noi motivo di grande consolazione e fiducia: al timone è Gesù, che a Pietro e ai suoi successori ha dato il compito di tenere la rotta sulle orme dell’eterno in mezzo al mare del tempo. Gli apostoli, sulla barca sbattuta dalle onde e dai venti, svegliarono il Maestro che – sovrano – riportò la calma, e ricevettero un dolce rimprovero: “perché temete? Non avete fede?”. Ecco perché, in mezzo alle prove, non dobbiamo temere: “io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”. Gesù ha assicurato ai suoi discepoli la croce e le persecuzioni insieme alla vita eterna e al centuplo in questo mondo. Perché allora temere? Aiutiamoci dunque a non avere paura, aiutiamoci a vivere le parole del Maestro. Ma, potremmo chiederci: abbiamo veramente fede? Crediamo veramente in Dio? Oppure gli crediamo, ma viviamo a prescindere, come se non esistesse? E se non avessimo la fede cristiana, che cosa cambierebbe della nostra vita?

Un primo evento di grazia è stato il Giubileo della Misericordia. Sì, è stato una anno di grazia, poiché i ventisette pellegrinaggi vicariali alla Porta Santa della Cattedrale non solo hanno visto una grande partecipazione, ma anche una sorprendente frequenza alla confessione e un’intensa preghiera. Questo è ciò che tutti abbiamo visto; ma quanto di più ha visto e ha fatto Dio nei cuori!

Nel corso dell’Anno Santo, poi, abbiamo avuto a settembre (15-18) la grazia del Congresso Eucaristico Nazionale. Ha richiesto un grandissimo impegno organizzativo da parte del clero e delle persone consacrate, di una moltitudine di laici di ogni provenienza ed età. Un rinnovato grazie a tutti, a cominciare dalle Autorità locali che non hanno fatto mancare il loro sostegno istituzionale e la loro presenza. E’ stato commovente vedere, avvicinandosi il momento, salire la temperatura della preghiera, dell’ impegno, della gioia nel lavorare insieme per il Signore. E’ già questo un grande frutto che non dobbiamo disperdere. La preparazione spirituale nelle comunità è stata seria e costante, specie nella Messa e nell’adorazione eucaristica, nella preghiera quotidiana in famiglia, affinché il Congresso non fosse un programma da svolgere ma un evento da vivere, cioè un incontro con Cristo realmente presente nell’Eucaristia, sorgente della Chiesa e della sua missione. Cari Amici, adorare il Signore nel Santissimo Sacramento è riconoscere che solo Dio è Dio. Allora le cose tornano al loro posto, ciò che a volte appare importante si rivela di poco o di nessun conto e, viceversa, ciò che trascuriamo si scopre essere vitale anche se non scintilla agli occhi del potere e della vanità. Le nostre presunzioni fanno sorridere, diventa possibile una società vivibile perché benevola.

Un frutto particolare del Congresso è stato la “Missione dei giovani ai giovani”: un bel gruppo di volontari si é preparato a portare la gioia del Vangelo ai coetanei negli ambienti della vita quotidiana: la scuola, l’università, il lavoro, la casa, lo sport, la strada…Non dunque degli specialisti della missione, ma dei giovani comuni, dei battezzati che – con semplicità e senza complessi – stanno portando la testimonianza della gioia di essere discepoli di Gesù e figli contenti della Chiesa. La missione è in atto e durerà per tutto l’anno 2017: accompagniamola con simpatia e con la nostra preghiera: senza di loro, i giovani, cosa faremmo noi?

Abbiamo ora davanti a noi un nuovo evento: la Visita del Santo Padre Francesco sabato 27 maggio prossimo. E’ un grandissimo onore per la nostra Chiesa e per la Città, ma anche per la Liguria. Lo vogliamo accogliere con tutto il calore e l’amore dei nostri cuori, con la passione che la nostra Diocesi – nella sua storia – ha sempre avuto per il Papa: in poco più di trent’anni, Genova è stata visitata dai Papi per quattro volte. Chiaramente non è il numero che conta, né l’onore il motivo principale della nostra gioia, ma il sapere che l’incontro con Pietro ci conferma nella fede, alimenta la carità, ci incoraggia ad essere testimoni fedeli e annunciatori coraggiosi di Gesù.

Se la vita interiore, il rapporto personale con il Signore, è il cuore della fede cristiana – che non è un’idea né un codice, né un manuale di buon vivere – allora la prova che incontriamo il Dio dell’Amore è il servizio della carità nella vita quotidiana: chi si avvicina al roveto ardente, che è Gesù, diventa fuoco di fraternità e di servizio. Anche l’amore ha le sue fatiche e così il servizio dei fratelli: la carità chiede perseveranza nelle stanchezze, speranza in mezzo alle delusioni, fiducia nelle possibilità di riscatto, coraggio nel ricominciare, pazienza di fronte alle bugie che rivelano paura e debolezza. Veramente, lontano dalla fornace perenne dell’Eucaristia, la carità fraterna diventa tiepida, segna il passo, si arrende. Il fuoco viene dall’alto, è da chiedere ogni giorno come un dono: esso conforta e rigenera.

La Città di Genova

 

Genova è straordinariamente bella! Dicendo questo, non parla solo il cuore di noi genovesi, ma anche di quanti sono giunti qui per lavorare – e ce ne sono! – e che hanno eletto la nostra città come propria residenza. Gli uni e gli altri, giunti dall’Italia o dall’estero, sono dispiaciuti che i genovesi si lamentino di Genova. Non comprendono come proprio noi non sappiamo riconoscere la bellezza della Città e la sua storia, la sua ricchezza di arte e di fede, il suo clima, la sua cucina, la qualità della vita. Dobbiamo essere più consapevoli della nostra Città, amarla, rispettarla. volerla ancora più bella. Il turismo sta aumentando: Genova merita di essere scoperta e ammirata, e i primi cantori dobbiamo esserlo noi, senza timore; dobbiamo esserlo con un’accresciuta capacità di accoglienza, di simpatia, di cordialità, di stile. Una famosa massima di un Santo dice che attira di più una goccia di miele che un barile di aceto,… anche se l’aceto è ottimo!

Gli indicatori ci dicono che alcuni segnali di ripresa ci sono anche nella nostra città, ma alcune rondini non fanno primavera e il freddo economico e occupazionale è ancora molto pungente. Ci sono esempi virtuosi ammirevoli di lavoratori e imprenditori, che da anni fanno ogni ragionevole sacrificio per non chiudere il lavoro e per evitare ogni licenziamento. Purtroppo, però, continua lo spogliamento della città, l’indebolimento lavorativo e quindi una pericolosa perdita di capacità professionale. La tecnologia è indispensabile, ma certe manualità non sono ancora sostituibili in nessuna parte del mondo e si imparano sul posto, si tramandano come un patrimonio che non si apprende dai libri, perché entra nella carne solamente sotto l’occhio vigile di chi ha esperienza. Una volta si diceva “imparare il mestiere”, e questo voleva dire sapere, saper fare, conoscere i segreti: ogni lavoro è un’arte! Per questo ci vuole grande umiltà, pazienza e spirito di sacrifico in chi deve imparare, e ci vogliono maestri che sanno, che sanno insegnare, che abbiano passione e autorevolezza morale per farlo.

Ancora una volta vogliamo porre una domanda: perché Genova da parecchi decenni è progressivamente spogliata del tessuto produttivo che, insieme al porto, costituisce da sempre l’ architettura lavorativa e sociale? E’ difficile attribuire questo processo solo alla crisi e alla globalizzazione, poiché il fenomeno, che assomiglia ad una incomprensibile strategia, viene da lontano nel tempo. Le stagioni si sono susseguite, ma il processo non si è fermato. La necessaria ricerca di nuovi mercati, di capitali freschi, deve pagare un prezzo così alto? Esiste, mi chiedo, una visione di lungo respiro, oppure vince l’obiettivo immediato di tappare i buchi, pensando che domani qualcosa succederà? Ma in quel “domani” ci sono i bambini di oggi, i giovani, i figli del popolo! Come non pensare anche alla natalità così povera di Genova? Se da una parte, nonostante alcuni provvedimenti, siamo ancora ben lontani da politiche familiare veramente incisive, dall’altra dobbiamo ripensare al vuoto culturale che l’occidente esibisce allegro e incosciente, tale da scoraggiare la vita.

Stanno prendendo corpo progetti sognati da decenni: lo sbocco veloce oltre le colline è un volano indispensabile perché Genova non sprofondi. Isolarsi è un suicidio: oggi, poter comunicare più velocemente di altri significa avere una carta in più per concorrere nei mercati internazionali e intercontinentali. La saggezza popolare ha sempre detto che “presto e bene” non vanno d’accordo, è vero! Ciò nonostante, è necessario affrontare questa sfida, mostrare che tale incompatibilità è superabile con un di più di ingegno, di sacrificio, di squadra. Genova – come è scritto nella sua geografia – è il porto dell’Europa, e il suo destino non è solo quello di una città meritevole, ma anche del Paese. Genova deve dimostrare nei fatti che l’Italia non può fare a meno di lei.

Ma come è possibile questo? Esiste una soluzione? In quanto Pastore, non ho ricette da svelare, ma posso indicare una via. E la via maestra è quella di parlarci! Parlarci a cuore aperto, con intelligenza senza preclusioni, avendo come unico interesse il bene della gente, e quindi della città. Non ci si può sedere a nessun tavolo col presupposto di affermare la propria idea a prescindere. Qualunque tavolo ha senso, se tutti coloro che vi partecipano vogliono capire la complessità della situazione, il disagio che causa, la disperazione e i pericoli economici e sociali, ma anche – proprio dentro agli ostacoli – individuare insieme le prospettive possibili per affrontare l’oggi, in vista di un domani su cui si potrà ulteriormente ragionare. Ci vuole umiltà per rendersi conto e conoscere ciò che non si conosce per intero, per portare un contributo non ideologico ma di conoscenza. Bisogna lasciar cadere ogni forma di presunzione e di arroganza, atteggiamenti che allontanano dalla realtà, dai veri problemi della gente. Altra tentazione è quella di demonizzarsi a vicenda: è proprio vero che, ad esempio, il pubblico è solo male e il privato è solo bene o viceversa? Queste barricate non hanno senso, sono vecchie. La realtà dice che esiste conversione per tutti, e che tutti portano in sé del bene: solo se ci si mette insieme senza sospetti reciproci, senza credersi migliori degli altri, sveltendo i processi decisionali e burocratici, nella comune cultura dell’onestà, si arriva al bene generale. Mantenere caparbiamente veti incrociati, affinché nessuno possa intestarsi qualcosa di buono, è il modo migliore per non realizzare nulla, e – a livello nazionale – si da l’immagine di una città inconcludente e quindi inaffidabile. La cultura del parlarsi previo è segno di intelligenza, ci viene da lontano, da altre stagioni politiche, sociali ed economiche, nelle quali i diversi protagonisti del Paese si consultavano discretamente: metodo saggio e costruttivo, perché tutti avevano a cuore la vita del popolo. Dobbiamo avere maggior senso di appartenenza, di fierezza; non dobbiamo lasciarci andare al lamento che deprime, blocca la visione, non serve a risolvere i problemi.

Senza voler entrare nel merito delle questioni referendarie, da molti è stato detto che il risultato è  un serio monito per tutto il mondo politico. Sembra contenere un duplice messaggio: innanzitutto la volontà di partecipazione – ci siamo anche noi! – e poi il grande disagio economico e sociale nel quale la gente vive e che costituisce la priorità di ogni impegno. Il timbro di voce di questo monito è  soprattutto quello dei giovani e del nostro meridione. Le nostre parrocchie vedono continuare la fila di coloro che cercano lavoro perché non l’hanno mai trovato o perché l’hanno perso. Sono di qualunque età, ma tutti con il volto segnato da grandi preoccupazioni: gli adulti quelle della famiglia da mantenere, i più giovani quelle di una famiglia da fare. Questo richiamo – ci permettiamo di dirlo umilmente – i Vescovi italiani lo hanno anticipato pubblicamente molte volte. Non è stato considerato.  La nostra voce non è quella dei vati, di chi vede il futuro, ma è semplicemente la voce della gente che  abbiamo la grazia di ascoltare perché viviamo con loro, nonostante i nostri limiti. Questo monito non è limitato alla politica, alla quale è innanzitutto indirizzato, ma all’intera compagine sociale, ai molti soggetti del mondo dell’ impresa, della finanza, dell’economia, della cooperazione, della Chiesa stessa: è la rivendicazione di un diritto, e il grido d’aiuto per lo stremo nel quale moltissimi vivono, e che fa parlare di crisi occupazionale, abitativa, sanitaria. Siamo all’abc della vita!

Serpeggia una certa sfiducia nella politica, e ciò non è bene né giusto. Non si deve dare un giudizio generalizzato se alcuni sbagliano anche gravemente. Non si può  svalutare la politica per definizione: il Papa Paolo VI la definiva come un servizio alto di carità. Non si può demolire un impianto politico se si scoprono limiti e vizi, pur consapevoli che una cattiva politica genera mostri.  La rappresentanza democratica ha scritte in se stessa delle dinamiche proprie che la rendono possibile: gli uomini scrivono le regole per esprimere al meglio tale diritto,  affinché la democrazia sia reale. Sanare luoghi e organismi di partecipazione non significa doverli delegittimare.

La comunità cristiana continua ad esserci com’è suo dovere, consapevole che le forze sono sempre limitate nonostante la solidarietà di Genova, solidarietà che si è espressa anche nelle dolorose circostanze del terremoto nel centro Italia. Le risorse umane di volontariato invecchiano è non sempre ci sono rincalzi: perché? Le risorse economiche, che derivano dall’otto per mille e dalle offerte della gente, sono una provvidenza, ma insufficienti a fronte dei bisogni e delle richieste vecchie e nuove. In questo anno, le mense del mondo ecclesiale hanno offerto più di 250.000 pasti totalmente gratuiti, e altri 200.000 con qualche contributo pubblico. Delle mense beneficiano tutti coloro che, per qualunque motivo e provenienza, si trovano sulla soglia della povertà o nella miseria. Non di rado, anche il panino quotidiano è prezioso per sbarcare il lunario giornaliero!

Anche i dormitori per i senza dimora fanno del loro meglio, e si incrementano: attualmente sono circa duecento i posti disponibili ogni notte, e due altre sedi sono in allestimento come opera-segno del recente Congresso Eucaristico.

Non possiamo tacere, però, una stridente contraddizione pubblica: nonostante dichiarazioni – peraltro molto rare e languide – si sviluppa la piaga del gioco d’azzardo. La pubblicità è letteralmente invasiva, una vera violenza! L’affare azzardo rende più di 88 miliardi di euro all’anno: esso è stato studiato per far perdere, e produce povertà e malattia. Lo Stato è venuto meno al suo dovere istituzionale di contenere questa nuova droga, che non conosce né età né condizione sociale. Non solo non contiene il cancro del gioco d’azzardo, ma lo favorisce, e lucra in modo tanto più vergognoso in quanto le vittime sono in maggioranza le fasce più deboli.

I flussi migratori non si fermano poiché le situazioni di violenza, di guerre etero dirette, le carestie, le persecuzioni dei cristiani e di altre minoranze, la schiavitù, il terrorismo, il commercio umano, le molte forme di oppressione, continuano a dilagare e a spopolare intere zone del pianeta: creano esodi di disperati. La risposta non è quella di innalzare muri o scavare trincee, ma quella di un’accoglienza intelligente e vigile, capace di dare una prima cura per poi passare a percorsi di vera integrazione con quanti desiderano restare e diventare popolo con noi, mostrando – come accade a che a Genova – buona volontà, serietà, apprezzamento e rispetto della cultura ospitante, partecipando attivamente alla sicurezza sociale. Anche in questa emergenza, rispondendo agli appelli delle Autorità competenti, la comunità cristiana cerca di esserci: sono 280 i richiedenti la protezione internazionale, che l’ufficio Migrantes della Diocesi segue puntualmente; e altri 175 sono accolti dalle strutture dell’Auxilium.

Il terrorismo continua nel suo disegno lucido e folle: con la preghiera siamo vicini alle tante vittime che hanno insanguinato l’Europa, e siamo grati alle nostre Forze dell’Ordine: con la loro professionalità e attenzione rassicurano i cittadini. Siamo consapevoli che tutti dobbiamo contribuire alla sicurezza collettiva, nel rispetto delle competenze istituzionali.

Cari Amici, la storia è maestra di vita se noi siamo l’ascoltiamo con umiltà: Sant’Agostino scrive che gli uomini “amano la verità quando risplende, e la odiano quando riprende” (Confessioni, 10,23). L’intelligenza ci dice che dobbiamo amarla sempre: quando risplende, infatti, ci vuol bene perché ci conferma e incoraggia a procedere; quando riprende, ci vuol bene perché ci invita a non perseguitare nell’errore e nel male. Comunque, la verità ci ama sempre! Nel nuovo anno, la Santa Vergine, Grande Madre di Dio, ci porti il dono della saggezza della mente e la docilità del cuore per parlarci di più, e il dono di una fede più grande per essere nella pace interiore che tutti desideriamo.

                                                                                              Angelo Card. Bagnasco

                                                                                              Arcivescovo Metropolita  di Genova

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