Presentazione del Catechismo della Chiesa Cattolica
commentato da 23 Cardinali
Roma, Bonus Pastor, 11 Ottobre 2022
Cari Confratelli
Cari Amici
Mi rallegro di questo incontro che mette in rilievo il Catechismo della Chiesa Cattolica proprio nel giorno della Costituzione Apostolica “Fidei Depositum,” del Santo Pontefice Giovanni Paolo II, per la pubblicazione di quest’opera provvidenziale. Com’è noto, grazie all’idea e al generoso impegno del Dott. Marco Italiano, è uscita l’edizione commentata da 23 Cardinali, segno, questo, di attenzione e di lucida consapevolezza che il Catechismo è punto di riferimento indispensabile per la fede del popolo cristiano.
Ciò tanto più in un tempo nel quale la cultura diffusa sembra avvolgere tutto in una nebbia indefinita che uccide il pensiero, poiché nella confusione nasce l’incertezza, e quindi la divisione della persona in se stessa e della società. La storia insegna che, nell’indistinto, chi ha interesse può meglio manipolare e profittare. Ma qui si tratta non di interessi di breve termine, bensì della vita eterna delle anime, quindi del bene supremo per il quale il Figlio di Dio si è fatto uomo, ha dato la vita, ci ha aperto alla verità.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica è come un cammino a piccoli passi nel mistero di Cristo. E’ una bellezza senza confini, che non solo la fede, ma anche la ragione possono cogliere.
Nel Catechismo si parla di noi! Infatti, senza il Creatore, la creatura svanisce (cfr GS 36), e noi non sappiamo chi siamo. Infatti, senza la Vita piena e definitiva, la vita terrena è una scintilla nel buio; senza il grande Bene i nostri beni sono fragili; senza il grande Amore i nostri affetti non sono veramente fecondi. Nel Catechismo si parla di Dio e quindi si parla anche di noi, non perché Lui sia una nostra proiezione consolatoria, ma perché senza Dio noi non saremmo: Egli è la risposta a ciò che siamo.
Alcune considerazioni.
- Nel Catechismo si parla di noi
Ne Catechismo si parla di noi perché lì troviamo la nostra sostanza, la realtà di ciò che siamo e facciamo; la risposta all’interrogativo radicale di Albert Camus: “Vi è solamente un problema filosofico veramente serio: quello del suicidio. Giudicare se la vita valga la pena di essere vissuta” (Il Mito di Sisifo, Bompiani 1969, pag. 15).
Non si tratta solo del “significato” di ciò che facciamo, ma del “senso” di ciò che siamo: la questione, infatti, non riguarda in primo luogo gli ideali che possiamo avere per agire, ma di qualcosa di previo e di più profondo, si tratta della vita in sé, della sua natura, del cos’è e del perché. E’ in gioco, quindi, il valore della vita, la nostra radicale consistenza su cui impiantare ogni ideale.
La consistenza – sia di un essere umano che di un’azione o di una cosa – si rivela innanzitutto nella sfida con il tempo che tutto fragilizza, e brutalmente fa comprendere che solo ciò che va oltre la porta del tempo ha sostanza, e quindi è veramente concreto! Gli ideali alti per cui vivere danno certamente uno spessore spirituale ed etico alla vita, ma il primo valore non è qualcosa che si pone su di lei, ma che è lei stessa. Se essa in quanto tale riesce a resistere alla caducità cosmica che tutto divora, e alla vacuità che tutto insidia, allora ogni frammento di bene che la vita genera diventa immortale. La sfida alla morte è di estrema attualità nel mondo moderno, tanto da apparire in alcune sue forme illusoria e patetica.
Nel Catechismo si parla di noi perché si parla dell’Eternità da cui veniamo, verso cui andiamo e di cui siamo impastati; e l’Eternità è il Dio della vita e dell’Amore. E’ questa la verità di Dio, del Quale siamo partecipi per creazione e per grazia.
- La consistenza della vita
Il Catechismo va oltre questa prima inquietudine, che si fa domanda tragica in A. Caus, e diventa il “male di vivere” in Cesare Pavese di fronte alla possibilità del nulla come destino.
Bisogna però continuare a camminare nel mistero di Cristo, poiché egli rivela il volto di Dio che è Padre, e il volto dell’uomo che è creatura e figlio. Se da una parte scopriamo di essere un pugno di argilla a “immagine e somiglianza” di Dio, creature di confine fra terra e cielo, segnati dalla nostalgia dell’eterno, sinfonie incompiute, inquiete e tese verso una pienezza che non è nelle nostre mani, ma che è da attendere e invocare dall’Alto, d’altra parte il Mistero del Verbo Incarnato segna nella storia un “punto di non ritorno”.
Esso è un novum che sconvolge ogni aspettativa umana e trascende ogni desiderio: il Verbo eterno si fa visibile, assume la carne mortale e rinnova l’universo. In Lui, la Verità di Dio si dà a vedere e si fa ascoltare. Il nostro, è dunque un cammino nella realtà dell’Eterno, dell’Invisibile che fonda e sostiene il mondo visibile: non è una realtà vaga e anonima, uniforme e panteista dove gli esseri sono assorbiti come a volte si pensa. E’ la realtà di cui Gesù rivela il nome e il volto: luce, amore, essere, cioè Dio-Comunione.
- Decisione e desiderio
Camminare nel Testo richiama alcuni atteggiamenti. Innanzitutto è necessario decidere di mettersi in movimento: si tratta a volte di vincere l’iniziale punto di inerzia che è, poco o tanto, insito nella nostra natura, e che oggi è potenziato dalla società vorticosa, assillata dal fare e dall’ efficienza. Quanto più, unfatti, siamo inseguiti e costretti ad agire, tanto più possiamo essere insidiati dalla pigrizia fisica o mentale nel tempo libero: leggere e pensare, infatti, è anche impegno e fatica.
Ma se la decisone nasce dal desiderio, allora essa è una convinzione forte. Si tratta del desiderio di conoscere e di entrare nel mistero che ci circonda e ci sostiene, da cui veniamo e verso cui andiamo, mistero che Gesù ha rivelato nella sua divina-umanità.
Il desiderio ispira la decisone di prendere il sentiero del libro sapendo che quelle pagine non sono delle righe, ma una storia d’amore scritta da Dio, e da anime che hanno pensato, pregato, vissuto e scritto. Soprattutto, sono una Realtà viva che ci interpella, e che chiede di investire mente e cuore.
- L’incontro e la curiosità del cuore
Se tale cammino richiede coinvolgimento e fiducia, chiede anche pazienza e tenacia, poiché la tentazione di prendere e lasciare, di rimandare, di essere troppo intermittenti per mille motivi, che non sono sempre vere ragioni, è facile. Ma, nella misura in cui si procede – come accade in montagna – l’orizzonte si allarga e ci prende, anche la fatica si alleggerisce perché la vetta risplende e ci attrae superando lo sforzo. A questo punto, potremmo parlare di “curiosità del cuore”, che fa sintesi e dà ragione degli atteggiamenti accennati e delle azioni conseguenti.
Ma perché dovrebbe mettersi in moto la “curiosità del cuore”? Perché se il Kérigma è il primo incontro con Cristo, una specie di colpo di fulmine, un amore a prima vista, il Catechismo ne è il prosieguo.
L’analogia con le relazioni umane è illuminante. Il sentirci attratti improvvisamente da una persona a volte non lo spieghiamo neppure a noi stessi. Gli elementi esterni ci sono, ma non riescono a chiarire il fatto che siamo rimasti toccai, che quella figura è apparsa ai nostri occhi significativa in mezzo ad altri anche con caratteristiche più evidenti; che ha messo in moto un’ attenzione particolare: forse una parola, uno sguardo, un gesto, qualcosa che è come un presagio e una promessa di un mondo che sentiamo ci fa bene perché vero e nobile. Qualcosa che forse può corrispondere a domande, attese, orientamenti di vita.
E’ accaduto, ma se si fermasse qui tutto svanirebbe: bisogna conoscere quel mondo interiore, cioè la verità di quella persona, il suo vero io: esso va oltre a ciò che appare poiché non è certo una somma di dati. E questa conoscenza può confermare il primo incontro, oppure possiamo rimanere delusi o traditi.
Ciò accade tanto più nell’incontro con Cristo, sapendo che la fede non è un mistero oscuro, ma la conseguenza della luce abbagliante, luce dove possiamo inoltrarci e adattare la vista. Mi pare che, sulla natura del primo incontro, sia illuminante ciò che scrive André Gide: “ Non perché mi sia stato detto che eri il Figlio di Dio ascolto la tua parola; ma la tua parola è bella al di sopra di ogni parola umana, e da ciò riconosco che sei il Figlio di Dio”.
Ecco perché possiamo dire che il Catechismo è un atto d’amore della Chiesa ai credenti e al mondo: ci prende per mano e ci introduce nella bellezza di Cristo. Il Catechismo è una dilatazione di Lui, è un entrare di più nel suo cuore, è scoprire meglio il Tu di Dio, è lasciarci plasmare dal suo pensiero, è essere assimilati – con l’aiuto della preghiera e dei sacramenti – alla fede della Chiesa, che è la fede degli Apostoli, dei Santi e dei Martiri, dei Padri e dei Dottori, del Popolo di Dio attraverso i secoli e i millenni. In una parola, camminando per i sentieri della verità di Cristo, entriamo sempre più nel giardino del suo amore.
- Una bellezza senza confini
Il catechismo è, come dicevo all’inizio, addentrarsi nella bellezza senza confini.
Pavel Florenskij parla della bellezza come bontà, sul filo della cultura greca e dell’oriente cristiano, e annota che sia il conoscere che l’amare hanno un medesimo dinamismo: sono un esodo, un uscire da se stessi, e questo percorso non è mai scontato e definitivo, ma è sempre da custodire e coltivare.
Per questa ragione conoscere vuol dire amare, e ciò per un semplice motivo: perché si ama solo ciò che si conosce, e, quanto più si conosce la verità e il bene, tanto più radicato e solido è l’amore. La bellezza senza confini è Cristo, poiché è Bontà infinita, poiché Dio è Verità e Amore. Camminare, allora è immergersi nella suprema Bellezza scoprendo che, nonostante le fragilità e le bruttezze di cui siamo capaci, la Bellezza di Dio è più grande, ci salva e ci abbraccia. Scopriamo e facciamo esperienza che la bellezza è la nostra casa.
Echeggiano le parole di F. Dostoevskij: “la bellezza salverà il mondo”. La bellezza estetica può salvarci dalla banalità, da una visione tetra e disperata dell’esistenza, dalla ostilità verso il mondo, ma la bellezza ontologica che è la bontà divina, cioè la Bontà originaria, suprema, ed esemplare delle cose belle e dell’uomo, questa ci salva veramente. La bellezza di Cristo ci salva dal male radicale, cioè dal peccato dell’ autoaffermazione, dalla volontà di potenza. Gesù ci redime dal male dei mali, dall’orrido, dai peccati personali che illudono, promettono e tolgono tutto.
- La fede è credere nella verità di Cristo e fare le sue opere
Cari Amici, auguri a tutti noi per una buona lettura, cioè per un cammino paziente e tenace che ci introduca sempre più nella bellezza di Dio che è apparsa nel Verbo Eterno.
La fede è innanzitutto credere non fare: è credere alla verità rivelata e fare le opere della fede. Il credere alla dottrina, che compendia le verità, è la base per pastorale e per la carità evangelica. Senza, si afferma la prevalenza della prassi. La verità dottrinale non ostacola l’incontro, ma gli dà un’anima e lo scopo: giungere ad incontrare il Salvatore, poiché senza il pane della tavola l’uomo è povero, ma senza Dio è poverissimo. Il deposito della fede non è astratto e freddo, perché è Cristo che si dispiega nelle corde dell’uomo, anima e corpo, affinché il cuore non perda la via del cielo. Con la luce gentile della verità e la forza della grazia, potremo non solo credere in Dio, ma vivere di Lui, ed essere trasfigurati in Lui. Potremo meglio testimoniare la gioia di essere cristiani e cattolici, per rispondere al mandato di Gesù: “Andate, e fate discepoli tutti i popoli (…) insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mt 28, 19-20). Grazie.
Card. Angelo Bagnasco
Arcivescovo emerito di Genova