Pasci i miei agnelli

S.Messa di ringraziamento per il pontificato di Benedetto XVI
24-02-2013
Genova, Cattedrale di San Lorenzo ,
24 febbraio 2013
Cari Fratelli e Sorelle nel Signore

Cristo è luce delle genti e con la sua luce, “splendente sul volto della Chiesa”, desidera illuminare tutti gli uomini. Siamo chiamati, infatti, all’unione con Gesù: “da Lui veniamo, per Lui viviamo, a Lui siamo diretti” (Concilio Vat. II, LG 3). Le parole del Concilio Vaticano II ci aprono una prospettiva affascinante della vita e del nostro destino; ci rivelano di essere un grande popolo che annunzia il Signore e cammina verso di Lui. La Chiesa è il suo corpo, il Tempio dello Spirito Santo, ed è quindi una sola complessa realtà “risultante da un duplice elemento umano e divino” (id. 8). Per questo la Chiesa è un mistero, cioè il sacramento dell’unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano (cfr id. 1), il luogo dove Gesù si fa incontrare dall’uomo, gli dona la sua luce e la sua vita – la vita della grazia – lo rende nuova creatura, lo abbraccia con il suo Spirito. La Chiesa non è una organizzazione ma un organismo, una realtà vitale; è il “noi” dei credenti nell’ “io” di Cristo. Per questo, guardare la Chiesa con occhi solo umani non coglie la realtà piena, resta in superficie. Nonostante difficoltà e ostacoli, essa è salda nella mani del suo Signore e guarda avanti con serena fiducia. La sua “barca” Gesù l’ha affidata all’umile pescatore di Galilea, volle che “la Chiesa cattolica – come dice il Concilio – (fosse) governata dal successore di Pietro e dai Vescovi in comunione con lui” (id. 8). Il Maestro, come un tempo sul lago, è sempre presente nella barca: comunque vigile e rassicurante. Ma, come allora, ci chiede la fede!
Cari Amici, giovedì 28 il Santo Padre Benedetto XVI concluderà il Pontificato. Siamo qui oggi per ringraziare il Cristo Signore, Pastore grande delle anime, perché ce lo ha donato per questi otto anni. Siamo qui per pregare per la sua amabile persona. Le reazioni molteplici, che si sono succedute alla inattesa notizia, sono state di dolore e di immediato sconcerto; ma soprattutto sono state un’onda incontenibile di affetto per un Pastore che è entrato nel cuore di tutti con discrezione, in punta di piedi, e ha offerto alla Chiesa e al mondo le parole antiche della vita e dell’amore, della misericordia e della salvezza.
Non penso certamente di poter rileggere gli anni dell’intenso ministero petrino di Benedetto XVI. Ma permettete che ne metta in rilievo almeno due aspetti. In ragione dei miei compiti, ho avuto la grazia di poterlo incontrare personalmente di frequente: ogni volta mi sentivo avvolto da una grande paternità. Una paternità intrisa dall’attenzione e tenerezza che la sua riservata persona emana. L’ascolto attento, il domandare puntuale, la parola lucida, mi hanno fatto toccare l’affetto del Papa per la Chiesa che è in Italia. Ogni volta, sono uscito dalle udienze confermato nella fede e sostenuto nelle responsabilità.

Fin dall’inizio del suo Pontificato, il Santo Padre ha indicato nella fede la questione principale, e non si mai stancato nel richiamarci al primato di Dio: “all’inizio dell’essere cristiano – scrive nella sua prima Enciclica – non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva” (Deus Caritas est, 1). Mettere al centro della nostra vita Dio o il nostro io, è la questione decisiva non solo per essere discepoli ma anche per essere messaggeri del Vangelo: ma “ciò comporta sempre una lotta, un combattimento spirituale, perché lo spirito del male naturalmente si oppone alla nostra santificazione”. Circa le tentazioni di Gesù nel deserto, il Papa diceva: “Il loro nucleo centrale consiste sempre nello strumentalizzare Dio per i propri interessi, dando più importanza al successo o ai beni materiali. Il tentatore è subdolo: non spinge direttamente verso il male, ma verso un falso bene” (Angelus, 17.2.2013). In fondo si tratta del medesimo messaggio del Vangelo odierno della trasfigurazione: per entrare nella vita vera è necessario percorrere la via della croce. Su questa strada – la riforma spirituale, la conversione – Benedetto XVI ci sospinge con la parola e l’esempio per un rinnovamento della Chiesa.
Ma vi è un altro tratto che vorrei mettere in rilievo: la chiarezza e il coraggio del Papa nel parlare al mondo moderno, affrontando le categorie più care alla contemporaneità come la coscienza individuale, la libertà, la laicità, e tutte quelle questioni di ordine morale che tanto agitano la storia contemporanea. Non ha mai avuto timore o soggezione del pensiero unico che circola e spesso condiziona pesantemente il pensare comune. Ha cercato le parole migliori per farsi intendere da tutti coloro che cercano sinceramente la verità e il bene, senza mai tirarsi indietro quando è stato investito da critiche e derisioni. Al di sopra di lui, della sua umile persona, vi era un Altro a cui rispondere e a quale restare fedeli fino al martirio se fosse stato necessario: il Signore! Ed è questa consapevolezza che dona libertà e coraggio: quando un credente – a cominciare da noi Pastori – non ha da difendere se stesso, non cerca di affermarsi, ma guarda a Gesù e in Lui guarda al mondo, allora è libero di dire la verità, quella verità che libera e salva anche se non tutti vorranno sentirla e alcuni la irrideranno. Il coraggio della verità, in Papa Benedetto, non è mai stato freddo o arcigno, perché è il coraggio dell’amore: esso proviene da Dio che è verità e amore. E’ sostenuto dalla consapevolezza che solo questa, anche se controcorrente, è la strada della vita e della felicità, il segreto del bene e della umanità vera. Lontano, l’uomo crede di essere padrone di sé mentre invece diventa preda di sé; si crede libero senza legami, mentre si fa prigioniero di mostri che lo divorano perché più astuti e lungimiranti. Veramente tutto il luminoso magistero del Santo Padre è stato un atto di fedeltà a Dio e all’uomo, un atto d’amore a Dio e all’umanità.
Cari Amici, possiamo non essere grati? Siamo qui per questo, per fargli arrivare il nostro abbraccio spirituale tramite la via più sicura ed efficace, l’Eucaristia. Egli resterà sempre nei nostri cuori e nella nostra preghiera, così come ha chiesto di recente: “Continuate a pregare per me – ed ha aggiunto – per la Chiesa, per il futuro Papa. Il Signore ci guiderà” (Udienza Generale, 13.2.2013).
Sì, mentre preghiamo per lui, vogliamo pregare con lui anche per il Conclave e per colui che – già presente nel cuore dello Spirito Santo – dovrà rispondere alla triplice domanda di Cristo: “Pietro mi vuoi bene tu più di costoro?”. Allora – come un giorno in riva al lago di Tiberiade – l’eletto si sentirà dire: “Pasci le mie pecorelle” (Gv 21). Come nel Cenacolo, tutto si svolga sotto lo sguardo materno di Maria, la Madre di Gesù e della Chiesa.

Angelo Card. Bagnasco
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