Eccellenza Carissima,
Cari Confratelli nell’Episcopato, nel Sacerdozio e nel Diaconato,
Cari Fratelli e Sorelle nel Signore,
Cristo è la luce che non tramonta, la porta del cielo, la vita eterna: è il nostro destino, la gioia senza fine, la risurrezione dei morti. Egli è il cuore della fede, e noi oggi, di fronte al mistero della morte, lo proclamiamo con rinnovato vigore. Sì, Cristo è la sostanza dei nostri giorni, il Sole che scaccia le oscurità dell’ anima e della vita, le notti del mondo e della storia.
Ringrazio l’Arcivescovo per avermi chiesto di celebrare con Lui e con tutti voi l’Eucaristia di suffragio per Mons. Paolo Rigon, Confratello e Amico: gli siamo tutti riconoscenti per i molteplici servizi alla Diocesi, per la fedeltà ai suoi compiti nelle comunità parrocchiali, nell’ insegnamento, nella formazione delle Religiose, nell’ insegnamento, nel presiedere il Capitolo Metropolitano e, in modo particolare, per il lungo servizio come Vicario Giudiziale del Tribunale Ecclesiastico Regionale e Diocesano. Il Signore lo ha chiamato a sé alle porte dell’Avvento, quasi volesse dire che Don Paolo aveva concluso la sua attesa ed era pronto per entrare nella sala del convito eterno.
La parabola delle vergini – che ci ha introdotti nell’ attesa del Messia, nel desiderio dello Sposo, nell’invocazione affinché i cieli piovano il Giusto getta come un lampo sulla sua vita sacerdotale. Sembrava che egli passasse in punta di piedi, portando le difficoltà, a volte anche pesanti della salute, con pazienza e fiducia, ma soprattutto seminando attorno a sé il bene, una specie di luminosità che non era una posa, ma uno stile interiore che cercava di sciogliere i nodi con equilibrio e saggezza. Questo accadeva nelle situazioni matrimoniali difficili, accadeva con i confratelli e nella Chiesa, come se l’olio della sua lampada in attesa del Signore, fosse proprio questo tratto di parola e di gesto che non era scontato.
Quest’ olio non si può dividere, si può solo imparare, restarne beneficati, desiderarlo per sé, con umiltà chiederlo allo Spirito di Verità e di Amore. Lo sappiamo: non era solo un’indole, ma un dono dall’alto, e certamente era anche un’ ascesi nascosta che si nutriva di preghiera.
Solamente se teniamo fermo il nostro sguardo in Dio possiamo guardare i volti con una bonomia che non è ingenua ma riflesso della sapienza di Gesù. Solo stando con Lui – non in una vicinanza accostata, ma in una intimità affettiva -possiamo trovare quell’ unità interiore che ci permette di unificare; possiamo gustare quella libertà vera che non cerca l’affermazione personale ma il dono di sé. Solo nel cuore a cuore con Gesù possiamo diventare – con la parola e con il silenzio, con lo sguardo e con la presenza – olio che lenisce, scioglie, rischiara e riscalda.
Il Vangelo conclude con l’invito a vegliare: “Vegliate, dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora”. Il nostro Confratello non conosceva l’ora in cui l’Eterno sarebbe entrato nella sala del suo cuore per il grande incontro, ma sapeva che sarebbe accaduto, e di questa consapevolezza ha vissuto. Come possiamo dire questo? vediamo da ciò che abbiamo intravisto. Egli ha fatto la sua strada lasciandosi guidare da Dio, e Dio gli ha dato quella serenità che è dono per chi lo riceve e per tutti. Quel sorriso che traspariva dallo sguardo prima di diventare parola, continuerà dal cielo ora ancor più benefico, perché si immerge nella misericordia del Padre.
Angelo Card. Bagnasco
Arcivescovo Emerito di Genova