Discorso pronunciato in Cattedrale sabato 6 giugno 2015 al termine della solenne processione del Corpus Domini
06-06-2015
ARCIDIOCESI DI GENOVA
6.06.2015 – Processione nella Solennità del Corpus Domini
‘Non avere paura di incontrare Dio’
Cari Fratelli e Sorelle,
ancora una volta abbiamo portato la divina Eucaristia – Gesù con noi – per le strade di Genova. E ancora una volta insieme, passo dopo passo, abbiamo sentito che mentre portavamo Lui, Egli portava noi. E’ qualcosa che non si riesce a spiegare, si intuisce e si vive per dono suo. E’ una certezza che non si può dimostrare, ma solo incontrare come Grazia: basta aprire il cuore, essere umili, desiderare di incontrarLo, invocarne la presenza e la compagnia.
Davanti alla semplicità disarmante del Mistero, ci sentiamo disarmare dalle nostre presunzioni, salvati dai nostri peccati che sfigurano il nostro volto; non ci sentiamo più soli di fronte al mare burrascoso dell’esistenza, in balia delle prove, facile preda di paure e angosce. Non è forse questo il Mistero Eucaristico? Lasciarci portare dal suo amore che si è fatto e continua a farsi dono di vita? Che vuole trasfigurarci nelle nostre povertà? Che ci offre umilmente – oh, l’umiltà di un Dio! – la sua compagnia, che ci chiede di camminare con noi! Sì, è tutto questo e molto altro ancora.
Cari Amici, abbiamo bisogno di riconoscere che la solitudine non è la nostra casa; che abbiamo bisogno degli altri per vivere, anche se vivere con gli altri non è mai scontato. Abbiamo bisogno – noi e la nostra società – di riscoprire la grazia dei nostri limiti, delle fragilità umane: no, non siamo dei superuomini, e la pretesa di bastare a noi stessi è un’illusione che crea morte dentro di noi e che fa morti attorno a noi. Le nostre fragilità ci salvano dall’isolamento, ci costringono ad uscire da noi per chiedere aiuto agli altri: in famiglia, agli amici, ai vicini di casa, ai Confratelli, nei luoghi di lavoro, nella comunità cristiana e in quella civile. Ci costringono a costruire la civiltà dei legami virtuosi dove ognuno chiede e dona aiuto, perché tutti viviamo la grazia di avere bisogno. Quanto bisogno abbiamo di avere bisogno degli altri! Dio ci ha creati grandiosi – al vertice del creato – e piccoli allo stesso tempo, perché insufficienti a noi stessi.
La cultura di oggi esalta ipocritamente l’autoaffermazione, una libertà talmente slegata da tutto da diventare prigioniera di se stessa. Spinge in ogni modo, attraverso un mare di bugie, per allontanarci gli uni dagli altri e per rinchiuderci nella prigione del nostro io, al solo scopo di meglio manipolare gli uomini, cose, situazioni. Al solo scopo di poter fare meglio ogni malaffare, speculando in ogni modo sui limiti e sulle fragilità umane; profittando sulle paure e gli smarrimenti che la solitudine crea e alimenta. In una società slegata perché ognuno è spinto a bastare a se stesso, ad essere individualistico, tutto può accadere: dalla corruzione più ramificata al rifiuto programmato di chi è nel bisogno, senza speranza, senza lavoro, senza terra, senza futuro. Alimentando le paure viene meno quello sguardo eucaristico che diventa carità evangelica, che crea rapporti di fraternità, che alimenta tutti alla responsabilità intelligente e proporzionata. Ognuno deve fare quello che può secondo le sue possibilità e secondo i suoi compiti.
Dio per primo, in Gesù, ci è venuto incontro perché non ci ripiegassimo su noi stessi, chiusi nelle nostre povertà, ritirati dal rapporto con gli altri, fuggitivi davanti al mistero della vita, passivi nei confronti della storia, indifferenti davanti alla sofferenza e al male. L’Eucaristia ci accoglie nei tabernacoli delle nostre chiese, ci avvolge nella divina liturgia, ci sospinge per farci ogni volta di nuovo lievito e sale nella pasta del mondo, testimoni visibili e, nella nostra povertà, credibili del Dio-con-noi. Ci incoraggia e ci sostiene perché diventiamo messaggeri e protagonisti di una società che non sia un mucchio di individui slegati, ma un grembo di legami buoni, di relazioni virtuose, per cui ognuno si possa sentire a casa.
Cari Amici, le apparenze di felicità sono molte, ma, se aguzziamo la vista, sono solo maschere di noia, se non di angoscia. La solitudine divora la gente, e la cultura ideologica dominante ride perché persegue il suo disegno di interesse: una società povera di rapporti è debole e preda facile di chi persegue in modo strategico i suoi scopi nefasti.
Guardiamo quella piccola ostia consacrata: sembra dirci – nella sua assoluta debolezza – di non avere paura di incontrare Dio; ci assicura che Dio è con noi; ci supplica di non vivere soli e isolati, chiusi nel nostro mondo, pensando di salvarci senza gli altri. E noi vogliamo lasciarci parlare da Lui, vogliamo stringerci a Lui per poterci stringere gli uni agli altri là dove viviamo ogni giorno, sapendo che è lì dove Lui ci attende per donarci la luce del suo sorriso e la forza del suo amore.
Angelo Card. Bagnasco
Arcivescovo Metropolita di Genova