“Nessuno deve rimanere indietro”

Omelia nella Santa Messa per il Mondo del Lavoro nella Solennità di San Giuseppe
20-03-2019
 Arcidiocesi di Genova
Solennità di San Giuseppe, Martedì 19.3.2019
Santa Messa per il Mondo del Lavoro
 
OMELIA
“Nessuno deve rimanere indietro”
Autorità
Cari fratelli e Sorelle del mondo del lavoro.
 
1.         Dignità e lavoro
Com’è nostra tradizione, ci ritroviamo in cattedrale per la Messa sotto lo sguardo di San Giuseppe, Patrono della famiglia e dei lavoratori. L’accostamento mette già in evidenza che non è possibile fare famiglia se non c’è lavoro. Inoltre, dobbiamo aggiungere che – se i lavori possono cambiare – il lavorare deve essere stabile, poiché ognuno vuole la dignità di guadagnarsi il pane e di partecipare alla costruzione del bene comune. Se l’uomo nella sua essenza è relazione, allora questa deve declinarsi in ogni espressione della vita, compreso se stesso, e compresi gli organismi, le imprese, le Istituzioni. Se la società civile non coniugasse la flessibilità – che sembra oggi inevitabile – con la irrinunciabile stabilità, non sarebbe una comunità di vita, ma un incrocio di interessi individuali e corporativi, un mero calcolo di costi e ricavi. La comunità, invece, ha a cuore il bene delle singole persone e delle famiglie, e in questa ottica tutto il resto – economia, sviluppo, finanza – concepisce, organizza e promuove. Per questo deve sostenere con decisione formazione ed impresa avendo di mira i singoli e le famiglie.
 
2.         Informazione
Ma anche informazione! Troppe persone – di ogni età e condizione – sono alla ricerca di lavoro, o perché l’hanno perduto o perché non l’hanno mai trovato. La ricerca è onesta, il bisogno vero, spesso drammatico: obblighi da onorare, il desiderio ammirevole di farsi famiglia. Sono persone che hanno voglia di lavorare, che non hanno pretese indebite, tanto più smarrite perché, a volte, hanno da offrire unicamente il proprio impegno, il bisogno di ritrovare dignità ai propri occhi e a quelli degli altri. Ma spesso non sanno dove guardare, e si presentano con il segreto desiderio di essere almeno considerati. A volte, l’indole personale potrebbe essere più intraprendente, qualcuno sembra ormai arreso, ma più spesso non sanno dove orientarsi. Ecco la necessità di favorire in ogni modo l’informazione su possibilità lavorative, di far conoscere luoghi, organismi dedicati, che aiutino a superare lo smarrimento, ad aprire un percorso, a impedire che ci si rassegni in attesa di qualcosa che neppure si sa, e che può essere solo illusorio.
 
3.         Conversione culturale
Senza dubbio, tutti dobbiamo cambiare qualcosa nel nostro modo di pensare e di lavorare: la voglia di rinnovarsi, di non rimanere fermi a vecchi schemi, il non cedere all’inerzia del “si è fatto sempre così”, il riconoscere che le rendite di posizione sono sempre più incerte, che il mondo è in movimento con pro e contro inevitabili, è una grande sfida per tutti.
Ma è necessario essere più consapevoli che l’economia cresce veramente non solo in base a numeri e percentuali, bensì anche se si riduce la disuguaglianza della ricchezza, se i poveri e i più deboli – perché meno attrezzati nelle conoscenze e nelle abilità – non rimangono ai bordi della strada, diventando i resti di una società che vuole essere civile, ma civile non è. Bisogna essere più convinti che, insieme a impegnativi profili di ordine pratico, la questione più decisiva, anche in ambito economico, è di tipo culturale ed etico: le derive dell’evasione fiscale e della corruzione – non dimenticando la maggioranza della popolazione onesta – l’inadempienza ai propri obblighi civili, la miope soddisfazione del successo individuale, l’inerzia nel creare reti virtuose, un certo disinteresse per la cosa pubblica, sono atteggiamenti e comportamenti che nascono da una coscienza morale distorta o insufficiente. Non è un problema astratto: la questione morale ha ricadute pratiche che coinvolgono la società intera. Il futuro dipende primariamente dal sentire spirituale ed etico di un popolo, dalla sua coscienza collettiva, senza la quale ogni altra risorsa risulta insufficiente e può addirittura diventare dannosa. Nessun progresso è vero se non ha un’anima che lo umanizza.
Neppure ci si può appellare, forse nel tentativo di discolpare visioni e interessi parziali, alla speranza che la ricchezza di pochi porti un vantaggio per tutti. La nota teoria dello ‘sgocciolamento” non sembra aver prodotto gli effetti attesi, né a livello di un singolo paese, né a livello globale. Senza cadere in ideologie note, è certamente necessario che sia perseguita un’equa perequazione delle risorse e delle responsabilità. Per questa ragione saranno sempre necessari i cosiddetti corpi intermedi in una logica di leale partecipazione al bene generale: questo chiede l’impegno di tutti, poiché l’idea che uno possa risolvere tutto illude e contraddice l’uomo.
 
4.         Il cancro dell’individualismo che isola
Il nodo centrale della questione culturale sta, dunque, nello sciogliere il cancro dell’individualismo che – nella storia – si è rivelato perdente. Il lavoro ha sempre una valenza relazionale, e quindi ha un valore sociale che richiede senso di solidarietà e spirito di partecipazione, sia nei lavoratori che negli imprenditori. Il bene particolare è sempre in rapporto al bene comune, e l’affermazione di uno non chiede la sconfitta dell’altro: al contrario, tutte le parti possono vincere quando non lottano le une contro le altre, e cercano intese e collaborazioni. Ciò è possibile se si abbandonano vecchie contrapposizioni, e in cima ai pensieri si pone uno scopo nobile come il bene di una città o di un Paese, cioè il bene delle persone. La tragedia sempre viva del crollo del Ponte Morandi ha sprigionato un sentire più alto e un consenso più coeso e fattivo: questo patrimonio spirituale non deve disperdersi, e Genova deve continuare!
 
5.         San Giuseppe
Cari Fratelli e Figli, le mie parole non suonino fuori luogo in questa Celebrazione Eucaristica.
La nobilissima figura di san Giuseppe ci ispira a parlare di queste cose: lui ha lavorato nella bottega di falegname, ha guadagnato il pane per Maria e Gesù, il Figlio di Dio, ha nobilitato in modo unico la fatica umana. San Giuseppe ci ricorda che il lavoro fa parte della giustizia, cioè di quel crescente percepire ogni uomo come qualcosa di unico e sacro, di libero e responsabile; soggetto di diritti e di doveri. Giustamente, possiamo dire che egli ha diritto di lavorare perché ne ha il dovere. Parlando di noi, i segni che ci si muove in questa direzione ci sono e devono essere consolidati; tenendo conto, però, che se lo sviluppo e la crescita hanno tempi propri, le persone ne hanno altri, poiché si vive giorno per giorno con esigenze e impegni, e la dignità umana non si può rimandare.
Maria Santissima, Madre della Sacra Famiglia e Regina di Genova, ci guardi, e sostenga ogni nostro sforzo perché nessuno resti indietro.
 
                                                                                        Angelo Card. Bagnasco
Arcivescovo Metropolita di Genova
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