“Le mani stese sul mondo”

Omelia pronunciata in Cattedrale nella S. Messa dell'Ascensione del Signore
24-05-2020

Arcidiocesi di Genova

Domenica 24.5.2020

Ascensione del Signore

OMELIA

“Le mani stese sul mondo”

 Cari Fratelli e Sorelle

finalmente torniamo a celebrare la divina Eucaristia con il popolo. Dopo un lungo digiuno eucaristico possiamo nuovamente accostarci al banchetto della vita e offrire croci e speranze. Abbiamo avuto modo di la Messa è un dono, che nulla è scontato, neppure ciò che è facile e quotidiano: in famiglia, in chiesa, nel lavoro. La pandemia ha fatto crescere la consapevolezza di ciò che siamo e di ciò che facciamo: una nuova coscienza deve vivere in noi, non sofisticata e capricciosa, ma più saggia, che si rende conto di ciò che vale, che merita il nostro rispetto, che dobbiamo custodire con amore, difeso con coraggio, vissuto con umiltà. Parlo soprattutto della nostra fede. Siamo qui e tutto ci parla della fede che – insieme alla vita considerare come il dono più grande abbiamo ricevuto. Non dobbiamo sminuirlo, nasconderlo, vergognarci, ma esserne grati. Questo tempo di costrizioni ci faccia riscoprire la bellezza e la serietà della fede: non è una convenzione né un ornamento, ma è la vita con Gesù che ha dato se stesso per noi.

Abbiamo sperimentato che la solitudine può essere buona o cattiva, così come la compagnia, la casa e la strada, la parola e il silenzio. Dipende da ciascuno! In questa complessità vi è anche la terra e il cielo, la materia e lo spirito, il tempo e l’eterno, la finitezza alla quale siamo stati brutalmente richiamati e la tensione verso il per sempre della vita e dell’amore, della bellezza e della gioia: in una parola, l’umano e il divino che è in noi. Questa ricchezza può essere vissuta come un passivo contrasto, oppure come ardita armonia: anche qui dipende da ciascuno, ricordando che non siamo soli in questa avventura, ci sono gli altri, a cominciare dalla famiglia, e – soprattutto – c’è Gesù: “Non abbiate paura, io sono con voi tutti i giorni”. Si, le responsabilità che abbiamo sono grandi, ma Dio ci rispetta – è l’unico a farlo fino in fondo! – ed è con noi.

Ma veramente non siamo soli? Oggi la liturgia celebra l’ascensione di Gesù al Cielo: dopo quaranta giorni il Risorto si sottrae allo sguardo smarrito dei discepoli e torna al Padre. Ci ha dunque lasciati? Siamo diventati orfani, spaesati e indifesi come “pecore in mezzo ai lupi”? Siamo in balia del male morale e della morte? Ciò che colpisce è la gioia dei discepoli. Come era possibile? Gesù era stato rifiutato, deriso e crocifisso; il mondo non era cambiato, e Lui ora si allontana investendoli di un compito oltre le loro forze: ovunque insegnare quello che il Maestro aveva insegnato.

Come potevano presentarsi e dire: quel Gesù che avete rifiutato e ucciso è il Salvatore del mondo? Come possiamo noi? Ma qualcosa di nuovo era accaduto, qualcosa che rendeva possibile la loro gioia almeno per tre ragioni.

Il Risorto scompare tra le nubi, ma è come se Gesù, salendo al Cielo, li portasse con sé, in una intimità che non capiscono ma che avvertono come un’evidenza nuova. Finalmente comprendono le parole del Maestro: *“Vado e vengo a voi” (Gv 14,28): il suo andarsene lontano è al contempo un venire più vicino: l’ascensione non è dunque un’assenza, ma è una nuova presenza. Egli scompare agli occhi del corpo per farsi trovare ovunque, nella sua Parola, nell’Eucaristia e nei sacramenti, nella Chiesa, negli altri, specialmente i poveri. Tocca agli occhi della fede scoprirlo: Egli c’è, si fa a portata di mano, è all’altezza del cuore. Anche nel mondo moderno Dio non è assente né muto, siamo noi che dobbiamo ascoltare la sua voce sommessa come un soffio, e stargli accanto con l’obbedienza dell’amore.

Ma i discepoli gioiscono anche per un secondo motivo. Comprendono che incontrare il Signore significa salire verso di Lui: Gesù è disceso fino a loro non per lasciarli li, ma per farli salire fino a Dio. Non si tratta di un percorso psichico o sociologico, ma di rompere il guscio della chiusura e aprirsi all’amore divino, entrare nella logica della croce che è opposta al pensare mondano. E’ su questo piano che possiamo servire l’umanità e amarla veramente. Questo vale anche per il nostro modo d’incontraci: per i discepoli incontrarsi vuol dire aiutarsi a salire verso un modo diverso e più bello di vivere, dove il Signore è il centro, il principio e la fonte di ogni bontà. Incontrarsi non significa passare il tempo, ma aiutarci a non essere solisti, a vivere la grande appartenenza alla comunità cristiana. Solo allora siamo veramente liberi.

Infine, i discepoli scendono dal monte con l’ultima immagine dell’Amato: essa resterà come punto di riferimento e pegno di futuro: “Alzate le mani li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e venne portato su in cielo” (Lc 24,50 ss). Cristo benedicendo se ne va, e nella benedizione rimane: le sue mani restano stese sul mondo come un tetto che protegge. Questa gesto resta per sempre, esprime il volto di Dio e il posto degli uomini: Gesù tiene le mani distese su di noi e ci benedice. È questa la ragione della nostra fiducia, della speranza cristiana, della nostra gioia.

Angelo Card. Bagnasco

Amministratore Apostolico di Genova

 

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