Arcidiocesi di Genova
Sabato 17.7.2021
Messa d’Esequie per
Mons. Carlo Canepa
OMELIA
“La veglia nella notte”
Cari Confratelli nell’Episcopato, nel Sacerdozio e nel Diaconato
Cari Fratelli e Sorelle in Cristo.
Facciamo nostre le parole di san Girolamo:
“Ti ringraziamo, o Dio, di averlo avuto, anzi, di averlo ancora,
perché chi torna al Signore non esce di casa”.
Questo ringraziamento è per aver avuto con noi Mons. Carlo Canepa, Confratello buono, generoso ed amico. Ma è anche una professione di fede nella vita eterna, nel Paradiso al quale siamo chiamati per grazia.
Un “prete ruspante” e attento
Canonico onorario del Capitolo Metropolitano e Cerimoniere vicario nelle celebrazioni presiedute dall’Arcivescovo, Don Carlo ha amato la Diocesi e l’ha servita in qualunque forma gli è stata chiesta, con una obbedienza pronta, convinta e lieta. Non ha scelto, ha accolto.
Il Signore ama chi dona con gioia, è scritto; e a don Carlo non mancava lo spirito positivo in qualunque situazione. Lo sguardo con il quale affrontava situazioni facili o complesse, serene o dolorose, non era ingenuo, ma illuminato dalla fiducia in Dio che – l’unico – sa scrivere diritto anche su righe storte. Per questo la porta del suo cuore era sempre aperta ad ogni urgenza, non importava se che chiedeva anche spostamenti e fatiche ulteriori. Se necessario – con lo sguardo fisso a Dio e alla Chiesa – sapeva andare anche sulle grondaie con semplicità, senza mai far mostra di sé, amandosi pensare con ironia un “prete ruspante”.
I malati erano un costante pensiero del suo cuore, pronto a rispondere a richieste improvvise e ad assenze, pago di poter accompagnare dolori, paure, partenze verso il Cielo. Un occhio fraterno era per i Confratelli, intuendo difficoltà, stati d’animo, desideri: una parola, un silenzio, uno sguardo amichevole, una battuta, un gesto paziente, esprimevano una concretezza non incline ai sofismi e ai proclami, ma piuttosto ispirata da un sano realismo e desiderosa di efficace prossimità.
La vigilanza dell’amore
Il Vangelo ascoltato ci parla delle vergini che attendono l’arrivo dello sposo nel cuore della notte: tutte lo desiderano, ma i modi sono diversi. Le distingue la vigilanza che è – in questo caso – il volto serio dell’amore per il Signore che deve venire.
Tutti noi, nelle diverse vocazioni ricevute, siamo chiamati ad attendere il Signore del quale non sappiamo l’ora. Pensando a quell’incontro, vengono in mente le parole di Gesù: “io sono la porta delle pecore”. Noi Pastori lo ripetiamo ai cristiani: il Signore Gesù è il grande Pastore delle anime, è il pascolo alto e ubertoso, ne è la via e l’unica porta. Egli è venuto nel tempo a Betlemme, viene nel mistero della Chiesa e nelle circostanze della storia, verrà al momento della nostra morte, tornerà alla fine del mondo nella gloria. Tutto ci sollecita a vegliare in una veglia d’amore e di fiducia.
Per Don Carlo, il Signore è venuto nel segno della malattia e nel cuore della notte, è venuto come dono del suo compleanno: in quel giorno il nostro Confratello è nato alla luce del mondo, in quello stesso giorno è nato alla luce dell’eternità.
Tornando alla parabola evangelica, il vegliare delle vergini è diverso: le une hanno la scorta dell’olio, le altre no, e lo chiedono a quelle prudenti. Queste sembrano chiuse ed egoiste, ma non è così: semplicemente non lo possono dare, poiché il rapporto con Dio chiama in gioco la libertà personale e risponde della serietà del proprio amore.
Molte cose possono contagiare gli altri, ma non possono essere spartite: è il caso dell’amore per Dio, della preghiera, del desiderio dell’anima, del bene compiuto. Ecco dove la parabola ci conduce: essa ricorda la nostra responsabilità, poiché Dio ci ha chiamati per nome uno ad uno, e con ognuno ha intessuto una storia d’amore, anche se dentro ad un popolo che ci aiuta ma non ci sostituisce. Don Carlo questo lo sapeva, e la generosità pastorale per la comunità non l’ha distratto dalla intimità con Cristo, una intimità che è olio della lampada, e che non può essere scambiato con altri beni.
La casa e il grande libro
Mi ha sempre colpito la sua canonica: poteva apparire piena di oggetti religiosi o d’arte, o cimeli storici di cui Don Carlo conosceva ogni dettaglio. Ma, in realtà, era una casa piena di fede e di storia vissuta. Era questo il senso di tante presenze religiose, e questo faceva parte di quell’olio per alimentare la luce dell’attesa. Così come le foto di persone care, di sacerdoti, parroci deceduti, dei quali ricordava morte e miracoli, e che spesso citava raccontando un aneddoto, una sentenza, una originalità. Non era un archivio storico e curioso, ma olio di esperienza e di saggezza che andava ad alimentare la lampada per la Luce soprannaturale che si avvicinava ogni giorno di più, e per la quale voleva essere pronto per varcare la soglia dell’ottavo giorno.
Ora, lo affidiamo alla misericordia di Dio, certi che egli pregherà per i suoi cari, i Confratelli, la sua, la nostra gente. Chiederà al Principe dei pastori vocazioni al Sacerdozio e alla via consacrata, chiederà per tutti una fede più grande, il coraggio della verità evangelica, la fiducia nelle prove, il dono della vigilanza e della gioia sacerdotale.
Un grazie a quanti gli hanno voluto bene, collaborato nelle diverse Parrocchie, e a quanti lo hanno assistito: sono molti. La sua malattia aveva suscitato un clima particolare nella comunità, una tensione positiva, una concordia operosa, una preghiera più calda e insistente. Era come se una folla invisibile lo abbracciasse per non lasciarlo andare. Ai suoi ammirevoli familiari, a chi ha avuto per lui affetto filiale, a quanti lo hanno pensato davanti alla Madonna, il grazie che sale dall’anima e diventa preghiera. Tutto è custodito nel libro del cielo; è il libro che rimarrà per sempre, poiché è scritto sul palmo della mano di Dio, anzi nel suo cuore.
Angelo Card. Bagnasco