Discorso tenuto nella Diocesi di Tortona in occasione dell'incontro con il clero diocesano
07-03-2016
Diocesi di Tortona
7.3.2016
Incontro con il Clero
‘La Chiesa Italiana dopo Firenze’
Il Convegno Ecclesiale di Firenze (9-13.XI.2015) si inserisce nella storia italiana del dopo Concilio, quando i Vescovi decisero – nell’intento di continuare lo stile sinodale della grande Assise – di darsi degli orientamenti pastorali comuni per ogni decennio. Orientamenti generali che fossero declinati nelle singole Diocesi. Questa prassi – pur con difficoltà e risultati diversi – contribuì a creare un certo sentire comune, un humus generale; una prassi che doveva mettere in movimento un costante esercizio di collegialità attraverso gli Organismi di Partecipazione. Ogni Vescovo infatti, volendo tradurre nei modi possibili gli Orientamenti, mette in atto il discernimento con i suoi sacerdoti e laici, e tale cammino rifluisce inevitabilmente nel Corpo Episcopale che ha la responsabilità del munus regendi (cfr Conc.Vat.II LG 27). A metà di ogni decennio, è tradizione che vi sia il Convegno Ecclesiale Nazionale dove, con i Delegati Diocesani, si cerca di fare il punto sul tema degli Orientamenti in chiave di bilancio e, per quanto possibile, di rilancio. E quanto è avvenuto a Firenze. Cercherò ora di offrire una sintesi programmatica all’interno del discorso del Santo Padre, raccogliendo anche lintenso lavoro dei gruppi nonché le due relazioni.
1. ‘In Gesù Cristo il nuovo umanesimo’
Bisogna ricordare le ragioni della scelta del tema. Si parla ovunque di analfabetismo religioso ma, purtroppo, bisogna parlare anche di analfabetismo umano o antropologico, poiché è stato cambiato il vocabolario della vita. Da questo cambiamento tutti siamo colpiti e, poco o tanto, rischiamo di esserne segnati. L’ABC dell’umano – come vita e morte, amore e libertà, famiglia e amicizia, individuo e persona – è cambiato nei suoi significati così che, parlando, non di rado si usano le medesime parole ma ognuno intende significati diversi: se si parla di libertà, qualcuno pensa alla capacità di scegliere il bene e la giustizia, ma un altro pensa alla possibilità di fare ciò che vuole a prescindere da tutto. Alla verità si è sostituita l’opinione, e la ragione – signora in campo tecnico- scientifico, ma negletta in campo etico – è sempre più allontanata dalla realtà, che invece dovrebbe semplicemente essere riconosciuta per quello che è. La verità delle cose, così, si allontana sempre di più e viene confinata nella soggettività di ciascuno. In questa situazione, anche l’umano si svuota di sostanza e diventa sempre più rarefatto, sempre meno ancorato al dato oggettivo, sempre più definito in forza dell’ autonomia individuale e dei suoi desideri. Tutto ciò che appare solido, oggettivo, stabile, definitivo, è percepito come vincolante, un peso, un limite alla libertà anziché come condizione della sua stessa possibilità. Quindi è da temere e da rifiutare concettualmente. Si sta costruendo un’altra ‘grammatica’ dell’umano, attraverso cui ripensare e ridefinire tutto, anche la persona e la sua vita. Paradossalmente però, questo nuovo mondo categoriale, che si accredita come liberazione da norme e tradizioni oscure, consegna la persona ad una fragilità radicale perché consegnata ai propri desideri, pulsioni, sentimenti passeggeri, emozioni.
Viene alla mente quanto Gesù dice a proposito del costruire sulla sabbia o sulla roccia. Credo che il primo modo oggi per esaminare ‘pianta della ridefinizione’ di tutto sia quello di guardare i ‘frutti’: questo albero porta frutti di maggiore felicità personale? Costruisce una società più giusta e solidale? Non sembra! Un modo di pensare totalmente sciolto, affidato esclusivamente alla propria soggettività individuale, può dare un senso di delirio di autonomia e di potenza, come già Nietzsche aveva descritto, profetizzando la fine dell’uomo comune e l’inizio del superuomo. Ma, alla lunga, genera smarrimento fino alla noia e all’angoscia; genera una società liquida (Bauman), dove è impossibile aggrapparsi a qualcosa e dove ci si ritrova soli in balia di se stessi. Questo stato di cose, questa mutazione culturale genetica, predica l’inesistenza della natura umana e il primato della cultura e della storia. Potremmo parlare di storicismo e di culturalismo: ‘Dobbiamo stare attenti alle nuove colonizzazioni ideologiche che subentrano nel pensiero umano, anche cristiano, sotto forma di virtù, di modernità, di atteggiamenti nuovi, ma sono colonizzazioni, cioè tolgono la libertà, e sono ideologiche, cioè hanno paura della realtà così come Dio l’ha creata’ (Papa Francesco, Discorso all’assemblea plenaria della Pontificia Accademia,3.3.2016). Ecco perché il Convegno ha avuto come tema ‘In Gesù Cristo il nuovo umanesimo’, perché dobbiamo stare dentro la storia come lievito e sale. E, inoltre, perché la sfida educativa – propria degli Orientamenti del decennio – ha al centro la visione dell’uomo senza la quale non si dà nessuna possibilità educativa.
2. ‘Gesù è il nostro umanesimo’ (Papa Francesco)
Il Santo Padre, nel suo discorso a Firenze, è entrato in modo diretto nel cuore della questione, dicendo di non voler disegnare in astratto un nuovo umanesimo, ma di volerlo descrivere alla luce dei sentimenti di Cristo: ‘Possiamo parlare di umanesimo solamente a partire dalla centralità di Gesù, scoprendo in Lui i tratti del volto autentico dell’uomo. E, la contemplazione del volto di Gesù morto e risorto che ricompone la nostra umanità, anche di quella frammentata per le fatiche della vita, o segnata dal peccato (Discorso al Convegno Ecclesiale di Firenze, 10.11.2016). Da questa contemplazione il Papa coglie alcuni tratti dell’umanesimo cristiano, tratti che in realtà dovremmo scorgere sul volto di ogni umanesimo veramente umano. Innanzitutto mette in evidenza l’umiltà che salva dalla ricerca della ‘propria gloria’. In secondo luogo il disinteresse: ‘L’umanità del cristiano è sempre in uscita. Non è narcisistica, autoreferenziale. (…) Qualsiasi vita si decide sulla capacità di donarsi. E’ lì che trascende se stessa, che arriva ad essere feconda’ (id). E infine la beatitudine: ‘il cristiano è un beato, ha in sé la gioia del Vangelo’ (id).
3. Una Chiesa umile, disinteressata, lieta
Il Papa afferma che questi tratti disegnano il volto dell’antropologia cristiana, ma devono delineare anche il volto della Chiesa chiamata a riflettere il volto di Gesù ‘luce delle genti’ (Conc.Vat.II, LG 1), senza alcuna preoccupazione di potere, di immagine, di denaro. Ricorda tre riflessi.
– Una prima conseguenza di questi ‘sentimenti di Cristo’ che si devono vedere sul suo Corpo Mistico, è la capacità di ‘riconoscere l’azione del Signore nel mondo, nella cultura, nella vita quotidiana della gente’ (Papa Francesco, Discorso al Convegno Ecclesiale di Firenze, cit)). Tutti noi abbiamo la grazia di stare con la gente ogni giorno, di conoscerne gioie e preoccupazioni, di condividerne la vita. Sappiamo bene che, sotto la superficie che schiuma sotto i riflettori, vi è la vita brulicante di tanti, specialmente i più umili, che portano avanti l’esistenza a testa alta, con dignità e onestà. E possiamo scorgere, in mezzo a grovigli inevitabili, la presenza dello Spirito che ha le sue vie e i suoi tempi nei cuori e nelle situazioni; che sa scrivere diritto su righe storte. Sollecitare e sostenere nei credenti il senso del Dio-con-noi, la vita della grazia, la fraternità operosa, la gioia di vedere il Signore all’opera – ecco la lettura religiosa che avevano i profeti e i Santi! – è compito e grazia per noi Pastori, chiamati ad essere Maestri di fede essendo, però innanzitutto uomini di fede.
In questa prospettiva, il Santo Padre ha messo in guardia da due tentazioni, di cui aveva già parlato nell’Esortazione Evangelii Gaudium: il pericolo del pelagianesimo che confida nelle proprie forze e nelle strutture, e quello dello gnosticismo che riduce la fede a ideologia. Le due posizioni, a ben vedere, sono lontane dal mistero dell’Incarnazione.
– Una seconda conseguenza è ‘l’inclusione sociale dei poveri’, che ha attraversato anche tutto il Viaggio Apostolico in America Latina, e per cui le nostre Parrocchie, Associazioni e Istituti operano generosamente ogni giorno;
– Infine, il Papa ha raccomandato ‘la capacità di incontro e di dialogo per favorire l’amicizia sociale nel vostro Paese, cercando il bene comune’ (id). A proposito del dialogo, sono illuminanti alcune puntualizzazioni: ‘Dialogare non è negoziare (…) ma è cercare il bene comune per tutti (…) Molte volte l’incontro si trova coinvolto nel conflitto. Nel dialogo si dà il conflitto – continua il Santo Padre -: è logico e prevedibile che sia così. E non dobbiamo temerlo né ignorarlo ma accettarlo’ (id). Inoltre ‘il modo migliore di dialogare non è quello di parlare e discutere, ma quello di fare qualcosa insieme, di costruire insieme, di fare progetti’ (id). Infine, ‘la Chiesa sappia anche dare una risposta chiara davanti alle minacce che emergono all’interno del dibattito pubblico: è questa una delle forme del contributo specifico dei credenti alla costruzione della società comune. I credenti sono cittadini’ (id).
In conclusione, il Papa ha esortato la Chiesa italiana ad essere ‘inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti (…) una Chiesa lieta, col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza’ (id). Ha dunque indicato uno stile che è anche sostanza, e che le nostre comunità cercano di vivere nelle mille forme di prossimità, accoglienza e servizio per tutti.
4. ‘Ma allora che cosa dobbiamo fare?’ (Papa Francesco)
‘Che cosa ci sta chiedendo il Papa? Spetta a voi decidere: popolo e Pastori insieme’ (id). Dentro al quadro finora esposto, il Santo Padre pone il quesito e ci indica il criterio pratico, quello di rileggere gli obiettivi del decennio pastorale alla luce dell’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium, nella linea della sinodalità che si esprime ai vari livelli della partecipazione ecclesiale. Pertanto, tenendo presente l’obiettivo della sfida educativa, il Consiglio Permanente del gennaio scorso ha preso in esame quattro attenzioni intimamente connesse tra loro:
– in primo luogo lo slancio missionario nella sua duplice forma ‘programmatica e paradigmatica’ (Papa Francesco, Discorso al Celam, Rio de Janeiro, 28.7.2013). Questo slancio, questa santa inquietudine, devono sempre più dare forma ad ogni nostra azione ecclesiale. Parlare di missionarietà non è fuori luogo rispetto all’educazione, ma ne è il presupposto in quanto annuncia Cristo, fondamento, modello e pienezza del vero umanesimo;
– in secondo luogo, l’attenzione rinnovata alla famiglia, primo, originario luogo dell’educazione dei figli. E’ necessario non solo difenderla da ogni confusione che di fatto ne sminuisce la peculiarità unica e irripetibile, ma anche dobbiamo sostenerla in ogni modo nella sua vocazione damore e nella sua missione di generazione e di educazione. Essa deve essere aiutata anche ad acquisire una crescente e riconosciuta soggettività sociale e politica. Deve, cioè, avere voce in capitolo nel dibattito pubblico; e perché questo avvenga è necessario che le voci delle singole famiglie diventino una sola voce alta, compatta, convinta e argomentata;
– il terzo ambito di attenzione è la scuola, il più ampio spazio sociale che ha il compito di affiancare – mai di sostituirsi – alla famiglia per coadiuvarla, secondo le proprie prerogative, nell’educazione dei figli. Anche la scuola deve sempre meglio essere sostenuta e valorizzata in modo che sia luogo di autentica formazione integrale, e non solo della pur necessaria trasmissione di nozioni e capacità tecniche. Il mondo della scuola e quello della famiglia sono chiamati sempre più a interagire con rispetto e spirito costruttivo, in ordine al bene educativo delle giovani generazioni. La chiesa, fedele alla sua missione, è pronta a condividere il suo patrimonio di cultura e di metodo attraverso forme e strumenti che sono da creare e proporre;
– Infine, ma non ultima per importanza, c’è la cattedra dei poveri, nei quali il Signore si rende presente in modo singolare e dai quali, servendo, a qualunque età siamo ricondotti ai valori essenziali della vita, alle cose che contano, ai rapporti di reciproca solidarietà, ad uno sguardo di benevolenza non come atto ma come atteggiamento del cuore. Quanto più ci facciamo alunni della loro cattedra, tanto più diventiamo consapevoli che tutti abbiamo da imparare e da ricevere con umiltà e gratitudine.
Cari Confratelli e Amici, vi ringrazio per il vostro paziente ascolto. Spero di esservi stato di un qualche aiuto. Pensando a ciò che Cristo ha fatto di noi con il sacramento dell’Ordine – una cosa sola, Preti e Vescovi – termino con le parole di sant’Ignazio di Antiochia che ci esorta a stare uniti: ‘Il vostro collegio dei presbiteri (…) è strettamente unito al Vescovo come le corde alla cetra. Per questo, dalla vostra concordia e dalla carità armoniosa che dimostrate, si innalza un canto a Gesù Cristo’ (Ai cristiani di Efeso, IV). Grazie!
Angelo Card. Bagnasco
Arcivescovo di Genova