Seminario Arcivescovile di Genova
Sabato 14 Gennaio 2023
OMELIA
“Il Sacerdote, l’uomo della gioia”
Cari Confratelli nell’Episcopato, nel Sacerdozio e nel Diaconato
Cari Fratelli e sorelle nel Signore
- Ringrazio S.E. Mons. Arcivescovo per il fraterno pensiero a celebrare insieme la Divina Eucaristia in occasione dei miei 80 anni. Quale modo migliore per vivere le tappe della vita se non in famiglia? Qui sono cresciuto, ho iniziato il mio ministero, da qui sono partito come Vescovo, qui la Provvidenza mi ha fatto tornare come fratello, Padre e Pastore. Nella memoria del cuore scorrono i volti dei miei Papi, degli Arcivescovi, dei Superiori e formatori, dei miei compagni, di tanta gente che ho incontrato in Parrocchia, in università, negli scout, in FUCI, all’ Apostolato Liturgico, in seminario e Facoltà teologica, nell’ Istituto Superiore di Scienze Religiose. E poi ovunque – in Italia, in Europa e oltre – ho avuto la grazia di andare nel nome di Gesù e per mandato della Santa Chiesa. A tutti sono debitore, consapevole dei miei limiti e peccati, e tutti porto davanti a Dio. A chi avessi fatto torto chiedo perdono.
- Ringrazio il Signore che mi ha dato i miei genitori e mia sorella, persone semplici, laboriose e cristiane. E lo ringrazio perché mi ha fatto nascere nonostante i pericoli della guerra e la dolorosa vicenda della galleria delle Grazie presso Porta Soprana, quando – era il novembre del 1942 – i miei genitori corsero verso la galleria per ripararsi dai bombardamenti. Giunti all’ingresso che dava su una scala stretta e ripida, videro la folla ammassarsi impaurita, e mia madre – incinta di me – si rifiutò di entrare, disposta piuttosto a rimanere per strada. Trovarono però rifugio nell’allora cinema Grattacielo, da dove – terminato l’allarme – uscendo videro portar fuori dalla galleria le molte vittime del panico creatosi nell’angusto ingresso e nella scala. Dopo anni, i genitori mi dissero che in quel pericolo mi affidarono alla Santa Vergine. E la Madonna mi ha sempre, sensibilmente accompagnato come stella che orienta, presenza che sostiene e consola.
- A voi, cari Confratelli nel Sacerdozio, ripeto con affetto e stima: più importante di quello che fate è quello che siete. Se siete contenti di essere Sacerdoti, allora il resto viene, ognuno con talenti diversi ma tutti con l’identica passione per Cristo e le anime.
Vi ringrazio di avermi accolto, nel 2006, con una benevolenza che negli anni ho sentito rivestirsi di affetto: ciò mi ha sostenuto nell’obbedienza ai diversi compiti. Quando un Vescovo sente la vicinanza del suo popolo, e innanzitutto del suo clero, allora si sprigionano in lui energie che non pensava di avere. I figli hanno bisogno del padre come riferimento e sostegno, ma anche il padre ha bisogno dei figli, della loro paziente benevolenza e collaborazione. La famiglia è fatta di parole e gesti, di ruoli che si rispettano e si integrano affinché il vivere insieme non sia un essere accostati, ma una comunità di vita e di destino attorno a Cristo.
- Cari Amici, loderemo mai abbastanza il Signore Gesù per la grazia del Sacerdozio? Potremo mai abbastanza apprezzarlo e cercare di viverlo? In questo tempo nel quale vi è una certa contrazione delle vocazioni e del Clero, sono convinto che sia racchiusa una triplice grazia.
La prima riguarda i Pastori: siamo chiamati noi per primi a riscoprire la bellezza del nostro Sacerdozio, a rispettare noi stessi da dentro a fuori, sapendo ciò che Cristo ha fatto di noi. Il sacramento ricevuto è più grande delle nostre persone, noi ne siamo a servizio sempre, ovunque e comunque.
La seconda grazia riguarda il popolo di Dio: anch’esso ha bisogno di riscoprire la preziosità unica del Sacerdote, la grazia della sua presenza come insostituibile Pastore, Maestro della fede, Dispensatore della grazia, Sposo della Chiesa.
Infine tutti – Clero e Laici – dobbiamo crescere nella fiducia verso il futuro: avere timore per il domani può essere umano, ma può anche esprimere sfiducia verso Cristo, Pastore grande delle anime, Pastore dei Pastori. Potrà Lui abbandonare la sua Chiesa che è il suo Corpo, la sua Sposa? Egli prova la nostra fede a volte facendo mostra di dormire, come sulla barca tra le onde, ma c’è! A noi tocca crescere nella preghiera, nella gioia di essere preti nelle prove per non sentire le parole severe e dolci di Gesù: “Uomini di poca fede, perché temete?”. Sì, il Maestro ci chiama ad andare oltre le misure umane e a gettarci nel mare della fede e della fiducia. Nelle contraddizioni del nostro tempo possiamo sentire dolore, ma non dobbiamo essere tristi, sfiduciati, arresi.
- Sui fronti delicati e difficili del vostro ministero, dove non sempre è scontata la fede con la sua autentica dottrina, non possiamo rinunciare all’annuncio della verità che è sempre un atto d’amore. Gesù ha ascoltato e parlato con parole nuove, ha perdonato indicando la via da percorrere, è morto non per compassione lasciando l’uomo com’era, ma per amore, elevandolo cioè fino a Dio con la sua grazia. Le sue parole non erano moderne ma attuali, cioè corrispondevano alle esigenze insopprimibili del cuore umano, alla sua sete di verità, anche quando essa chiede la fatica della conversione.
Nella nostra missione non siamo soli, ci porta il vento dello Spirito che prende dal deposito del Risorto e lo ricorda a noi, a volte smemorati e suggestionati da venti volubili. Ci sostiene il grande fiume di 2000 anni di santità e martirio, di umile fedeltà alla fede apostolica.
- Infine, cari Confratelli, ricordiamo: non siamo dei venditori di illusioni, dei messaggeri di una storia vecchia e patetica, dei poveri uomini che hanno paura di vivere e si rifugiano in favole consolatorie, come ci vogliono far credere. Non siamo i fuggitivi dalla storia, ma siamo ben radicati nel mondo nella misura in cui le nostre radici sono in cielo.
La Chiesa non nasce dal nostro fare ma dal nostro contemplare Cristo, risposta all’uomo moderno, confuso e smarrito, ma tanto più bisognoso non delle nostre parole, ma dalla Parola di verità e di vita. Solo questa illumina il mistero della sua inquietudine.
Ogni nostra iniziativa o parte dall’ Eucaristia, e allora è apostolica, oppure nasce da noi, da gusti personali o da slogan di stagione, e allora sarà sterile come la pesca degli Apostoli nel lago di Tiberiade. Possiamo, come loro, faticare tutta la notte, ma le reti resteranno vuote.
Il mondo ha bisogno di essere ascoltato da chi lo può salvare: la verità deve risplendere integra, e l’amore deve scaldare con la grazia, sapendo che solo Dio conosce il cuore dell’uomo. Per questo a noi tocca essere fedeli al perenne deposito della fede, lasciando che Dio sia Dio.
- Negli anni, visitando la Diocesi di Genova e ora ancor più le Chiese della nostra Italia, continua a colpirmi l’immagine dei campanili. È commovente vedere che ovunque – nelle città come nei borghi più sperduti dei monti, delle pianure e delle coste – le case si stringono attorno alla loro chiesa, e su tutti svetta il campanile che mi ricorda la missione di ogni Pastore.
Come il campanile, infatti, il Sacerdote nella sua vita porta in alto la croce di Gesù, la sua presenza salvatrice.
Come il campanile, il Sacerdote dev’essere visibile, sapendo che un modo semplice per annunciare il Signore è stare tra le case ed essere riconoscibile non solo per i credenti ma per tutti, anche per chi si dice non credente o di altre religioni, per chi non conosce la figura del Pastore ma ne può rimanere colpito e interrogato.
Come il campanile che effonde il suono delle campane per invitare, per accompagnare le circostanze liete o tristi della vita, anche il Sacerdote annuncia il mistero che Dio è con noi, che è disceso fino all’altezza del nostro cuore per dissetare le arsure del mondo.
Come il campanile che suona l’Angelus all’inizio, nel mezzo e al termine del giorno, anche il Sacerdote attraversa la storia in qualunque stagione e, con dignità senza esibizioni, fa risuonare la letizia che Dio è qui, che si è messo dalla nostra parte, che ci insegna a vivere e ci accompagna sulla via del cielo. Che Dio è fedele anche quando noi non lo siamo con Lui.
E quando un uomo ha questa missione, allora non ha paura, il suo cuore è abitato dalla gioia, è l’uomo della gioia, una gioia non fatua ma intrisa di sacrificio, e per questo più vera. Alla Grande Madre di Dio, titolo carissimo del mio essere Cardiale della Santa Chiesa di Roma, affido i miei giorni e tutti voi. Amen.
Card. Angelo Bagnasco
Arcivescovo emerito di Genova