Il pianto e l’incanto

Omelia pronunciata alla Giornata Mondiale della Gioventù di Cracovia il 29 luglio 2016 nella S. Messa per i giovani delle Marche
29-07-2016
G.M.G. Cracovia 29.7.2016
Santa Messa per i Giovani delle Marche
OMELIA
‘Il pianto e l’incanto’
Cari Giovani Amici
‘Mi affido al Vangelo come alla carne di Cristo’ diceva Sant’Ignazio di Antiochia, Vescovo Martire del II secolo. Noi oggi vogliamo far nostre queste parole e, nel contesto liturgico che è spazio di preghiera e di incontro, desideriamo insieme vedere il Risorto che è tra noi, desideriamo incontrarLo e abbracciarLo.
1. A che cosa ci affidiamo? Per rispondere dobbiamo introdurci nella scena del Vangelo, entrare a Nazaret, mescolarci alla folla che ascolta Gesù nella sinagoga. Che cosa dice? Il Vangelo non lo riporta, ma è qualcosa che desta non solo meraviglia ma ammirazione. Le domande che i presenti si pongono l’un l’altro, infatti, ce lo fanno capire: ‘Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi?’
Di fronte a tale reazione, viene da interrogarci sulle nostre reazioni interiori davanti a Gesù: è possibile che diventiamo pian piano indifferenti, freddi; è possibile che lentamente ci abituiamo alle sue parole di vita. E’ tragicamente possibile che ci abituiamo all’amore di Dio. Ma abituarci all’amore significa morire di freddo. Così come abituarci alla fede vuol dire spegnere la luce della vita. Quando il Vangelo diventa un libro già letto, di cui crediamo di conoscere già l’epilogo; quando l’Eucaristia è vissuta come un gesto di amicizia tra noi, quasi un gergo di vicinanza e non l’entrare nel mistero di Cristo, nelle sue braccia; non l’essere sollevati sulle ali dello Spirito fino al cuore della Trinità, fino al centro del nuovo mondo; quando il nostro animo perde ogni vibrazione, ogni sussulto, nel chiedere perdono dei peccati; quando vediamo i fratelli nella fede come dei vicini noiosi e pesanti da evitare, quando tutto in sostanza appare scontato, già visto, che non ha più nulla da dire alla nostra vita, che non c’entra con i nostri slanci, speranze, prove e paure, allora non siamo neppure più come la gente di Nazaret che almeno inizialmente resta stupita e ammirata. Siamo amorfi.
Le Giornate Mondiali della Gioventù hanno anche questo scopo: di scuotere dal torpore, di risvegliarci dalla routine, di darci una spinta, di alimentare o accendere entusiasmo. Sappiamo bene che essere discepoli di Gesù non è senza fatiche ed ombre, senza inciampi e cadute. Sappiamo che la vita ordinaria è fatta di cose che si ripetono ogni giorno e che non sempre sono brillanti: ma questo fa parte dell’esistenza, fa parte dell’amore. Sappiamo che non possiamo vivere di eventi straordinari, di eccezioni al susseguirsi dei giorni e dei doveri, ma sappiamo anche che – ciò nonostante – è possibile che nel fondo del cuore dimori la pace e la gioia; che è possibile non perdere la capacità di sorprenderci e di rallegrarci per il bene che scopriamo nelle piccole cose di tutti i giorni, in famiglia, nelle nostre parrocchie, nei gruppi, negli ambienti di lavoro e di svago. L’ordinario contiene sempre cose straordinarie: il tempo contiene sempre germi di eternità. Basta a noi accorgerci.
2. La prima, positiva reazione della gente, presto si tramuta in ostilità: ‘Non è costui il figlio del falegname?’. Gesù è uno di loro, un giovane di paese, normale come tutti i giovani di Nazaret. Come mai parla così? Con un’autorità che non comanda, ma che s’impone per sapienza e bellezza? ‘Da dove gli vengono dunque tutte queste cose?’. Il cuore della gente, dopo la prima sorpresa e ammirazione, emette un verdetto di scandalo: forse erano diventati improvvisamente invidiosi, forse capivano che quella sapienza denunciava i loro comportamenti, forse avvertivano che Gesù li portava ad un livello più alto, in un’aria troppo trasparente e piena di luce per i loro occhi, forse sentivano la delusione rispetto ai prodigi che aveva fatto altrove e di cui avevano parlato, forse ‘! Di fatto, l’animo della gente si capovolge contro Gesù e lo rifiutano.
E noi che cosa avremmo fatto? Anzi, che cosa facciamo? Ci lasciamo prendere dalla paura? Paura di che cosa? Di vedere la verità del bene e del male, di ciò che siamo e di ciò che vorremmo essere? Paura di amare? Ma, ancora di più, di essere amati? Com’è difficile lasciarsi amare! Chiede di arrenderci all’amore, chiede di non porre ostacoli, di togliere barriere, di fidarci di chi ci ama. Se poi l’amante è Dio, allora la fiducia dev’essere cieca, la resa senza condizioni, l’abbandono totale. L’obbedienza è la forma dell’amore che Gesù chiede ai suoi. La gente di Nazaret non sembrava disposta a questo, ma forse l’aveva intuito e per questo si era scandalizzata di quell’uomo che appariva come uno di loro. Per questo Gesù, amareggiato e triste, dice che ‘Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua’.
3. Il Vangelo conclude con alcune parole che suonano come una sentenza, un criterio di fede: ‘A causa della loro incredulità non fece molti prodigi’. Che cosa hanno da dirci? Ci ricordano che il cuore indurito, che non s’arrende neppure per prova al Signore, ferma la mano di Dio. Arresta la manifestazione della sua potenza. La storia della fede nei secoli ci attesta che – salvo eccezioni – Dio si manifesta con prodigi e segni quando i cuori sono aperti alla luce: come a dire che solo chi desidera la luce può vederla, solo a chi invoca umilmente Dio si rivela, solo se il cuore è disposto a giocarsi con Lui Lui scrive a quattro mani una storia d’amore, e fa capolavori. L’incredulità è sinonimo di grettezza, e la grettezza dell’anima impedisce alla luce di entrare, all’amore di espandersi, allo Spirito di rivelarsi con i suoi miracoli.
Cari giovani amici, non vogliamo essere gretti di cuore, chiediamo al Signore della misericordia di aprire i nostri cuori, di scaldarli con il fuoco, di aprirli, di irrompere con la sua presenza, di farci capaci di commuoverci fino alle lacrime davanti al suo cuore trafitto d’amore. Chiediamo di sentire la nostalgia delle vette della santità, e di non avere paura di piangere se ci sappiamo inadeguati alle altezze della vita cristiana. Nulla è impossibile a Dio se noi ci abbandoniamo a Lui. La Vergine Santa ne è l’esempio e ci sarà sempre vicina nella traversata del tempo verso il cielo.
Angelo Card. Bagnasco
Arcivescovo Metropolita di Genova
Presidente Conferenza Episcopale Italiana
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