Te Deum
Discorso di fine anno 2021
Cari fratelli e sorelle,
parlo a voi che per i motivi più disparati, nei modi più diversi, vivete e incarnate la città di Genova oggi. A chi di voi si sente parte di questa chiesa, o di altre comunità cristiane, o ancora di altre fedi, e a chi si sente lontano da ogni fede.
Io vorrei oggi cercare i punti di vista, i vissuti più fragili, sofferenti e invisibili che sono nella nostra città, perché siano al centro delle nostre preoccupazioni, senza cadere nella trappola delle emergenze. È lo sguardo preferenziale del cristiano e di una chiesa che sta affrontando una grande sfida, locale e globale: quella della sinodalità. Papa Francesco ha indetto un sinodo con l’obiettivo, facendosi guidare dallo Spirito, di «andare avanti insieme, di ascoltarci reciprocamente e di avviare un discernimento del nostro tempo, diventando solidali con le fatiche e i desideri dell’umanità». (Papa Francesco 9 ottobre 2021) Ci stiamo impegnando per favorire la partecipazione, l’ascolto, il confronto, il camminare insieme come metodo fondamentale che ci deve convertire. Non siamo isole. E da soli siamo inutili.
E quali sono oggi i punti di vista “dal basso” sulla nostra Genova nei cui panni siamo chiamati a metterci?
I senza tetto che dormono nelle stazioni e sotto i portici. Chi affonda nel tunnel delle dipendenze e dell’azzardo. Chi si trova in carcere e non ha le opportunità per reinserirsi. Chi viene trattato e maltrattato da straniero, penso in particolare allo snellimento delle procedure. Chi affronta una disabilità, ogni giorno. Chi ha problemi di salute mentale. I tanti giovani incerti, sfiduciati, precari nonostante lo studio e il duro lavoro. I giovani che vanno via a malincuore. Gli anziani vittime di solitudine e di un abitare individualista che ha reso più difficile fare comunità. Le famiglie spezzate, la sofferenza dei separati e dei loro figli. Le famiglie che guardano il mondo da edifici degradati e inquinati. Le donne che subiscono violenze e discriminazioni. Chi non trova lavoro. Chi trova solo lavoro non dignitoso o non etico. Chi muore di lavoro. Chi perde o non trova casa. Il problema abitativo si conferma in assoluto il più grave, tanto da rappresentare una vera e propria emergenza. La spesa per l’affitto, l’amministrazione e le utenze arriva ad assorbire, in molti casi, la totalità delle entrate del nucleo familiare.
E si potrebbe continuare. La pandemia ha accentuato tutto questo!
Ma penso anche allo sguardo, poco considerato, di tutte le persone che insegnano nella scuola con passione. Le famiglie che “tirano avanti” nella quotidianità, bisognose dell’appoggio della comunità cristiana e di politiche famigliari adeguate anche in ordine alla natalità. Chi opera nei contesti sociali dando il proprio meglio nonostante scarsi mezzi. Chi lavora in porto o in fabbrica facendo battaglie per i diritti, la sostenibilità, il disarmo. Chi lavora nell’assistenza sanitaria. I giovani che studiano e creano cultura, spazi sociali, movida sana, esperienze di partecipazione. Chi tiene vive le piccole realtà di quartiere o di paese, centri, botteghe, imprese famigliari, locali di ritrovo e di sport, associazioni, assistenze, orti e parchi. Chi esprime talenti artistici e promuove eventi che veicolano valori umani importanti, ridando vita e stimoli alle piazze, con scarsi mezzi. Chi si spende nel volontariato e nella battaglia per una ecologia integrale. Le comunità immigrate che arricchiscono la nostra società con altre culture, energie, sensibilità. E potrei continuare.
Il Sinodo che abbiamo avviato vuole metterci in ascolto – e dovremo inventarne i modi – di tutte queste voci, delle realtà più fragili, complesse e lontane che non fanno notizia, non luccicano in vetrina. Lì nasce oggi Gesù, da lì viene la Buona Notizia di un altro mondo possibile. E lì dobbiamo portarla. Come Pastore mi sento chiamato a dare voce, ma anche di conseguenza a denunciare le ingiustizie strutturali che fanno soffrire tante persone.
Abbiamo anche il coraggio di dirci le responsabilità che non ci stiamo prendendo: le troppe case e spazi che teniamo vuoti a fronte di un grande bisogno e di affitti troppo cari specie per i giovani; l’accumulo e la difesa di patrimoni – laddove ci sono – invece che l’investimento a beneficio della collettività, di progetti sociali e di lavoro giovanile… E intanto la “Mensa di città” prepara 500 pasti al giorno per i poveri!
E ciascuno può continuare con l’esame di coscienza, che una fede viva trasformerà in scelte concrete.
Come farci carico di tutto questo, senza soccombere al peso o all’indifferenza, senza perdere l’entusiasmo?
Il Vangelo chiama i cristiani – ma qualunque persona di buona volontà – a liberare una speranza coinvolgente ed incoraggiante. Ho trovato questa speranza nei primi incontri del Sinodo svolti in tutta la città: un entusiasmo di dire la propria e ascoltare gli altri; domande comuni nell’esperienza dei parroci; la consapevolezza di lavorare sul coinvolgimento. Vediamo dove lo Spirito ci porta, se camminiamo insieme. Non abbiamo la presunzione o la tentazione di avere già tutto chiaro da subito, o di alzare le braccia.
La più grande minaccia di questa città non è solo diventare vecchia anagraficamente, ma permearsi di una mentalità dove il rinnovamento è difficile, qualunque sia l’età e la provenienza; dove si chiede autonomia senza responsabilità; dove ci si lascia pervadere dal soggettivismo e dall’individualismo. La spiritualità cristiana è una via di liberazione, una sorgente di coraggio, una capacità di ascolto e cambiamento delle strutture, perché è conversione nel profondo, è voglia di popolo e non di oligarchie, voglia di fraternità e non di masse di anonimi consumatori.
La più grande forza di questa città è avere tanta bellezza e umanità a portata di mano. Possiamo immaginare un mondo migliore perché abbiamo questa bellezza da svelare e accogliere.
Lasciamoci alle spalle la città dei “sì, però”. Scegliamo invece il “sì, quindi”!
Nelle tante persone che incontro trovo continuamente i semi di una speranza concreta, che se sapremo coltivare e diffondere, in dialogo con le altre comunità religiose e con le realtà vive di questa città, può darci orizzonti comuni di una Genova più felice, più vivibile perché più fraterna.
Il cammino sinodale della chiesa universale, l’insegnamento di Papa Francesco, il modo di vivere di quanti di voi si spendono ogni giorno con passione, umanità e coraggio, ci siano d’ispirazione per l’anno che comincia.
Davvero, noi sappiamo che il Signore Gesù è venuto per darci la vita e darcela in abbondanza; questo è il ‘sogno’ di Dio. Tutti possiamo abbracciare questo ‘sogno’ ed essere uomini e donne che lo portano avanti. A tutti voi un augurio per il nuovo anno che il Signore ci dona; sia davvero un anno come il Signore vuole per ciascuno di noi come persone, come comunità e come Città.
Genova, 31 dicembre 2021
+ Marco Tasca