“Che cosa dice il Natale?”

Omelia pronunciata in Cattedrale nella S. Messa di Mezzanotte
25-12-2017
Arcidiocesi di Genova
Santo Natale 2017
 
OMELIA della notte
‘Che cosa dice il Natale?’
Cari Fratelli e Sorelle nel Signore
Notte di mistero e di luce! Duemila anni fa, mentre l’umanità era immersa nel sonno, il cielo si apriva e scendeva il Salvatore. Il Natale è questo per i cristiani, e il mondo intero ne sente il fascino inspiegabile e – in qualche modo – fa festa.
1. Siamo usciti dalle nostre case e abbiamo respirato l’aria notturna, popolata da sentimenti e ricordi di tempi più o meno lontani, ma sempre vivi e cari. È una notte che risveglia nostalgie buone, il desiderio di un mondo migliore, dove essere buoni è bello e la giustizia si fa diritto per tutti. Un mondo dove le persone si riconoscono con simpatia e i rapporti sono veri non strumentali. Non è forse questo il sogno segreto che sta alla base di ogni altro desiderio? Proprio per tale ragione siamo usciti di casa e siamo venuti fin qui, forse anche chi non frequenta abitualmente la chiesa. Anche chi è scettico o indifferente forse avverte un’aria diversa che sprigiona un fascino sottile. Come gli antichi pastori, noi pure abbiamo visto – o meglio sentito – la luce della stella, una luce che non vediamo, ma che parla all’anima e dice vieni! E noi siamo qui convenuti!
2. Questa cattedrale è come Betlemme, dove il Signore scende per incontrarsi con noi, per presentarsi a noi nei panni di un Bambino. Perché? Per non spaventarci con la sua gloria – Lui il Re dei Re -, per indicarci la strada della vita e della gioia, quella della non presunzione, della non arroganza, della non vanità, quella del non vuoto, la strada non dell’io ma di Dio! Viene a dirci di posare su di Lui il nostro sguardo affaticato, perché guardare Lui è riposare, è essere rigenerati, è vedere il cielo, un mondo che il nostro cuore confusamente desidera, ma che continuamente ci sfugge. Sì, guardando quel Bimbo noi vediamo il cielo e quindi possiamo vedere la terra, possiamo scoprire in ogni volto una bellezza originaria e un valore sacro e inviolabile perché proveniente da Dio. Quella carne, debole e indifesa, ci dice la verità di chi siamo, e dove è diretta la marcia della vita, qual è il nostro futuro, quello definitivo perché eterno.
3. Cari Amici, la poesia del presepe ci aiuta a puntare lo sguardo sul Bambino Gesù. Vi prego, nessuno corra via distratto: lasciamo che la sua tenerezza sciolga le nostre difese, che la sua povertà ci parli di quanto conta veramente, che le sue mani tese ci accolgano. Come vorremmo stringere quel Bimbo tra le nostre braccia! Ma come vorremmo anche essere stretti noi da quelle piccole braccia tese! Sì, essere da Lui abbracciati per essere avvolti, anzi invasi dal calore di un Dio-Bambino-per-noi! Non si può vivere con il gelo nell’anima: moriremmo dentro anche se siamo vivi fuori, vivi, e forse ricchi e potenti! Abbiamo bisogno che qualcuno non solo ci sia vicino per il lavoro, per il tempo libero, per condividere la vita: ma è tutto così poco! Abbiamo sconfinato bisogno, infatti, non solo di essere conosciuti, ma di essere riconosciuti: riconosciuti nella nostra esistenza, nella bontà del nostro essere al mondo. Sentirci dire ‘È bello, è importante che tu esista!’: è come la rugiada nel campo arido, come il tepore sulla terra gelata, come un raggio di sole nell’oscurità, come la stella polare che rassicura e orienta.
4. Ci accorgiamo che siamo in una società individualista che genera individui soli? Ci rendiamo conto che diventiamo sempre più isolati gli uni dagli altri: persone, famiglie, gruppi, popoli, Nazioni? Ci vogliono far credere che – senza legami – saremo più liberi e autonomi, che la vita è un mare in tempesta, e che ognuno deve pensare a se stesso; che gli altri – anche i più vicini – non sono compagni ma concorrenti della vita. Vogliono farci vivere nel reciproco sospetto. Ma qual è il risultato? Siamo forse più felici e liberi? La società che si costruisce è più solidale e vivibile, più umana? A ognuno la risposta!
Il Divino Bambino ci parla un linguaggio diverso: come ogni bimbo non può usare le parole, ma è Lui stesso la parola che ci parla con soavità e con una forza tale che nessun discorso umano ha. Sono duemila anni che il mondo si difende da quel Bambino, ma quella fragile carne non cessa di parlare e di indicare la via della vita e della gioia. L’umanità – nonostante durezze e chiusure – continuerà a sentire il richiamo di quella divina presenza, continuerà a desiderare quella compagnia che conforta e rigenera.
Perché continuerà a cercare Gesù fino alla fine del mondo? Noi sentiamo che la solitudine non è la nostra casa, per questo la compagnia degli affetti veri corrisponde al nostro essere umano e la cerchiamo. Ma – nello stesso tempo – sappiamo che solamente l’eterno può corrispondere appieno al nostro cuore, perché solo l’eterno è radicalmente affidabile, non verrà meno. Non è forse questo il motivo per cui il Signore Gesù – il Dio-con-noi – ci parla in modo particolare? Ci affascina e ci attira?
Lasciamoci dunque affascinare, lasciamoci conquistare: arrenderci a Lui non è perdere noi, ma guadagnarci; abbandonarci a Lui è essere veramente liberi; servire Lui è essere salvati dalla superficialità che ci assedia e da quanto interiormente ci opprime. La Madonna e San Giuseppe, gli angeli e i pastori non sono coreografia del presepe: sono presenze vive che ci invitano ad andare senza timore verso il Dio-Bambino. Andiamogli incontro; Egli ha percorso l’infinito per noi.
Angelo Card. Bagnasco
Arcivescovo Metropolita di Genova
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