ho molto desiderato celebrare questo momento con voi, nel giorno in cui il Signore Gesù ha istituito il Sacerdozio e l’Eucaristia nel clima della lavanda dei piedi. L’ho desiderato per dirvi ciò che ho nel cuore.
1. La prima cosa è ringraziarvi perché ci siete e costituite il mio Presbiterio Con voi mi sento a casa. Sento la vostra benevolenza, capisco che mi siete vicini nonostante i miei limiti, spero che sentiate la mia stima e il mio affetto di padre, fratello e amico.
2. Grazie per quello che fate come Pastori. Con il Vescovo condividete la gioia e la responsabilità della cura del nostro popolo. Forse pochi vi ringraziano per ciò che fate ogni giorno. Forse non molti si accorgono della vostra costante dedizione, del sacrificio per guidare le vostre comunità: tutto sembra così scontato! Purtroppo, anche in famiglia, troppe cose si danno per scontate, fino a quando le cose si rompono! E questo non è un buon modo di vivere.
Il clero di Genova è genovese: e questo vuol dire concretezza, fedeltà al compito, poche parole e più fatti; a volte anche con il pericolo di chiusura nel proprio perimetro, ma che non oscura la dedizione convinta e sincera. Ebbene, io oggi sento il bisogno di dirvi la mia stima, di manifestarvi il mio apprezzamento, di confermarvi pubblicamente la mia fiducia. I limiti e gli errori ce li portiamo dietro come tutti, e nessuno li nega. Con la grazia di Dio, però, vogliamo migliorare a aiutarci anche in questo. Ma ciò non intacca la fiducia, anzi la conferma di fronte al desiderio di essere pastori secondo il cuore di Cristo; nostalgia che dimora in ciascuno di voi, in ciascuno di noi.
3. Non scoraggiatevi mai! Di fronte alle nostre insufficienze non abbiamo il diritto di scoraggiarci: di piangere i nostri peccati sì, di fare cammini di conversione sì, ma di scoraggiarci no! Sarebbe andare contro l’amore di Dio: siamo poveri uomini, ma amati e scelti da Cristo.
Non scoraggiatevi neppure di fronte alle possibili ingratitudini e incomprensioni. Sappiamo che non dobbiamo attenderci la gratitudine degli uomini; non dobbiamo lavorare per questo, perché sarebbe come perdere tutto: hai già ricevuto la tua ricompensa. Ma il Signore non ci proibisce di sentire che la stima e lapprezzamento degli altri ci fanno bene.
E infine, non scoraggiatevi davanti alle sfide dei tempi: questo tempo è il migliore dei tempi perché è il nostro, quello che la divina Provvidenza ci ha assegnato. E allora siamo in buona compagnia! Ogni ora della storia presenta sfide e opportunità. Le sfide sono molte e delicate: luomo è sempre più confuso su se stesso, sulla vita e sulla libertà, sulla famiglia e sull’amore, su ciò che è bene e ciò che è male. Ma la sfida include sempre anche una grazia: sì, perché l’uomo, se è smarrito, non vuole esserlo: sente che la confusione non è la sua casa. E questo è uno spiraglio di speranza, è una via pastorale, dove Gesù ci precede e ci attende con il nostro zelo.
4. In ogni cosa cercate la volontà di Dio. Immersi e agitati da un gran numero di impegni derivanti dalla vostra missione, come è possibile non essere divisi e sommersi? Come fare per giungere alla sera senza l’amara sensazione di avere corso dietro alle cose, anzi di essere stati rincorsi e dominati dalle cose: bisogni, colloqui, scadenze di ogni tipo, pretese, dissidi, aspettative?
Sembra che una delle nostre principali tentazioni sia la moltitudine, quella delle persone e delle cose che esigono da noi tempo, attenzione, energia. E l’unità della vita? Anzi, l’unità dell’anima, dell’intelligenza e del cuore? La moltitudine deve essere dominata, altrimenti ci domina e ci fa vivere nella dispersione. Il Concilio Vaticano II, a questo proposito, raccomanda un certo ordine, quello delle attività pastorali fin dove è possibile. E poi quello ‘degli esercizi di pietà’: senza l’Eucaristia, la Confessione, la meditazione e altro che ben conosciamo, non andiamo lontano. Ma tutto ciò – ricorda il Concilio – è sì necessario ma non è sufficiente. E afferma: ‘L’unità di vita può essere raggiunta dai Presbiteri seguendo nel loro ministero l’esempio di Cristo Signore, il cui cibo era il compimento della volontà di Colui che lo aveva inviato a realizzare la sua opera’ (P.O. 14). Ecco il centro attorno al quale fare unità. Fare le cose per il Signore, per la sua gloria, dona pace interiore comunque le cose vadano, dà sintesi alla vita. I Santi la chiamano ‘retta intenzione’. L’esercizio della retta intenzione aiuta a pensare in grande, a tenere fermo il fine delle nostre azioni: non la nostra gloria o il nostro gusto personale, ma la gloria di Dio che è la salvezza dell’uomo.
Concludo questo mio colloquio di famiglia, con le splendide parole del salmo: ‘Il Signore fa sicuri i passi dell’uomo e segue con amore il suo cammino. Se cade non rimane a terra, perché il Signore lo tiene per mano’ (Sl 36). Cari Amici, ritorniamo spesso su queste parole, sono rivolte a ciascuno di noi. Lasciamole cantare nel nostro cuore, e lasciamoci tenere per mano da Colui che ci ha chiamati per nome.