50 anni di sacerdozio

Omelia pronunciata in Cattedrale nella S. Messa crismale del Giovedì Santo. Nell'occasione l'Arcivescovo ha festeggiato i 50 anni di sacerdozio
24-03-2016
Arcidiocesi di Genova
Giovedì Santo, Messa Crismale, 24.3.2016
OMELIA
’50 anni di Sacerdozio’
Cari Confratelli nell’Episcopato, nel Sacerdozio e nel Diaconato
Cari Fratelli e Sorelle nel Signore
1. La Messa crismale è un appuntamento desiderato perché, attorno all’unico altare – fedeli, diaconi, sacerdoti e Vescovo – in modo esemplare si manifesta la Chiesa di Cristo: è Lui che ci convoca e ci raduna, è Lui che scalda i nostri cuori con la sua Parola, è Lui che, con l’Eucaristia, ci dona l’abbraccio della vita nuova, è Lui che alimenta la fraternità del Presbiterio e rigenera la Chiesa; è Lui che ci rassicura tra le ombre del tempo, che ci purifica perché possiamo vedere le opere dello Spirito; è Lui che ravviva l’amore per le anime, l’inquietudine della missione, la carità pastorale; è Lui che ci ripete : ‘Non temete, io sono con voi!’. Che cosa saremmo senza di Lui? Che cosa sarebbe la nostra vita? Un giorno senza sole!
2. E’ per questo che siamo attorno a questo altare, fonte di tutti gli altari della Diocesi. Siamo qui per consacrare gli olii della grazia; per ringraziare Cristo del dono della vocazione; del mistero di poter parlare, noi poveri uomini, con l’Io di Cristo: ‘Io ti assolvo. Io ti battezzo. Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue’! Nel sacerdozio si nasconde l’audacia di Dio, che a piccoli esseri umani affida se stesso. E nella sua audacia troviamo una temerarietà che solo Dio può avere.
Ognuno ritorni all’inizio sacramentale dell’ordinazione e ripensi alle emozioni, ai sentimenti, ai propositi di quel momento, al Vescovo ordinante, ai genitori, ai Superiori che lo hanno formato e guidato, agli amici che guardavano con affetto, forse ammirazione e speranza: sì, con speranza perché, in fondo al cuore, tutti speriamo di incontrare un sacerdote con le parole e i gesti di Dio!
3. Anch’io faccio questo e, insieme ai miei quindici compagni di classe, mi rivedo prostrato sul pavimento di questa amata cattedrale che, come grembo fecondo e lieto, ci ha generati a novità di vita: piccoli uomini che il Signore ha guardato con occhi di misericordia e di elezione. Nessuno di noi si sentiva meritevole e degno, nessuno poteva prevedere nulla del proprio futuro: una sola cosa ci bastava, la fedeltà di Gesù, il desiderio sincero, pieno di slancio giovanile, di esserGli anche noi fedeli, di vivere consegnati a Lui che ci aveva chiamati per nome. Il Rettore Mons. Luigi Roba, i Superiori e i Docenti, ci avevano tanto parlato di preghiera, di sacramenti, di virtù da coltivare, di vigilanza, di fraternità, di amore alle anime, del prete come ‘alter Christus’. E di questo ci eravamo nutriti con passione e allegria, con una crescente amicizia sacerdotale che – negli anni – non sarebbe venuta meno, e ci avrebbe sostenuti nelle difficoltà. Abbiamo risposto a tanta grazia? I bilanci li fa il Signore, a noi l’affidarci alla misericordia, il dovere della lode, della confusione inesausta di fronte al mistero della chiamata, alla eccedenza del compito.
Cari Confratelli, non sminuiamo mai il nostro Sacerdozio: né con i nostri limiti e peccati, né con la tiepidezza o l’abitudine degli anni. La semplicità del nostro operare – all’altare, in casa, sulla strada – non sia mai banalità, ma frutto del nostro pregare in ginocchio, cioè del nostro adorare la grandezza di Dio nella nostra debolezza, grati che Dio ci ami nella nostra povertà.
4. Il fluire degli anni non deve farci assopire: il vero pastore sa che il primo modo per vigilare sul gregge è quello di vigilare su se stesso, ricordando le parole di San Pier Canisio mentre meditava su Gesù nell’orto degli ulivi: ‘Pietro dorme, Giuda è sveglio’. Ma che cosa vuol dire per noi Sacerdoti ‘vegliare’? Vuol dire che non puoi essere un buon servitore degli altri se trascuri la tua anima, la tua vita spirituale, il tuo essere con Cristo; vuol dire che pregare, meditare la Parola di Dio, non è tempo sottratto alla cura pastorale, ma ne è condizione. Vuol dire ricordarci che è impossibile vivere con il cuore freddo, e che il calore interiore – capace di riempire la vita, di rivestire ogni azione di eternità – non è il successo, il plauso, il seguito, ma l’intimità con Dio. Solo questo è il nostro fuoco, la fornace affascinante, il segreto della vita di sacerdoti e di celibi: il segreto è l’amore di Cristo da noi custodito e coltivato nella solitudine della preghiera personale, della liturgia, della fraternità presbiterale. Lontano da questo ‘cuore a cuore con Gesù’, tutto il peggio diventa possibile.
5. Il Signore ci ha scelti per andare e portare frutto. Il frutto, a cui si riferisce Gesù, è quello della vite. Come per l’uva c’è bisogno di tempo, di cura, di pioggia e di sole’così per la nostra vita c’è bisogno della serenità e della difficoltà, delle fasi di purificazione e di prova, come anche dei tempi di cammino gioioso con il Vangelo. Per questo, guardando agli anni trascorsi, insieme con voi ringrazio Dio per le difficoltà e le gioie, per le ore buie e per quelle felici, per la libertà dell’obbedienza di ieri e di oggi che mi dà pace anche in mezzo ai grovigli della vita e del servizio. E poi, il vino è immagine dell’amore: l’amore per Dio e per il prossimo. Questo duplice amore non è solo dolce e desiderato, ma porta in sé anche il carico della pazienza, dell’umiltà, dell’assimilazione alla volontà di Gesù. Non esiste amore senza sacrificio, senza la croce: la croce è sempre gloriosa, e la gloria è sempre crocifissa. Solo così la gioia germoglia ed è duratura. Ricordiamo che la prima forma di carità pastorale è lasciarci amare da Cristo, perché solo il suo amore ci rende capaci di amare i fratelli senza trattenerli. Solo così possiamo condividere da Pastori le vicende liete o tristi degli altri. Come non pensare alla tragedia accaduta in Spagna, alle giovani vittime, alla giovane Francesca della nostra Città? Per lei preghiamo, e ai suoi genitori, agli amici, segnati da un immenso dolore, diciamo la nostra vicinanza sincera e discreta. Così, non possiamo dimenticare i fatti barbari e assurdi di Bruxelles: continua, lucida e beffarda, la linea del terrore sanguinoso. Mentre preghiamo per i morti e i feriti, speriamo che l’Europa – anzi l’Occidente – ripensi alla strada che ha preso negando lo spirito, coltivando allegramente la cultura del nulla di ideali e di valori morali, rinnegando il grembo cristiano che l’ha generata.
6. Sono lieto e grato al Signore che mi ha concesso – lontano da ogni aspettativa e speranza – di celebrare il cinquantesimo di ordinazione sacerdotale nella cattedrale che mi ha generato Sacerdote e Vescovo; insieme al Presbiterio che mi ha custodito, e che ora amo con cuore di fratello e di padre. Nel mio cuore rivedo volti cari: gli Arcivescovi, Cardinali Giuseppe Siri, Giovanni Canestri e Dionigi Tettamanzi, i Vicari Generali tra i quali S.E. Mons. Martino Canessa, i Parroci della mia infanzia in Sarzano, i Confratelli a Santa Teresa in Albaro. A loro e a tanti altri sono debitore di buon esempio e saggezza. A voi, fedeli laici, dico il mio affetto e la mia riconoscenza. Ai nostri seminaristi rinnovo l’incoraggiamento. Vi prego, proseguite la via di Dio con fiducia e semplicità generosa. Intensifichiamo tutti la preghiera, perché il Signore mandi gli operai di cui abbiamo bisogno, e perché i giovani non abbiano paura di ascoltare e di rispondere prontamente. A voi, cari Confratelli, il mio abbraccio, grato per la vicinanza che sento e che ricambio come meglio posso. Percorriamo con maggiore intensità e convinzione la vita del nostro Presbiterio, cercando di ‘stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone, non disertando le nostre riunioni'(Ebrei10.24). Insieme a voi desidero riascoltare ora ciò che Sant’Ignazio di Antiochia raccomandava al Vescovo Policarpo: ‘Ti scongiuro, per la grazia di cui sei rivestito, di continuare il tuo cammino e di esortare tutti perché si salvino.(…) Abbi cura di mantenere l’unità, perché nulla vi è di più prezioso(…) Porta le infermità di tutti come un valido atleta.(…) Non ti spaventino quelli che sembrano degni di fede, ma insegnano false dottrine. Sta saldo come l’incudine sotto il martello (…) Dobbiamo sopportare ogni cosa per Dio, perché anch’egli, a sua volta, sopporti noi’. Maria, la grande Madre di Dio e nostra Regina, mi doni questa grazia che ogni giorno chiedo per me e per voi.
Angelo Card. Bagnasco
Arcivescovo Metropolita di Genova
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