Carissimi Fratelli e Sorelle,
anche quest’anno desidero raggiungervi nelle vostre case tramite i nostri Sacerdoti. Come Pastore, desidero dire una parola alla comunità cristiana, e come figlio di Genova, rivolgo un messaggio di rinnovata vicinanza a tutti i miei concittadini.
La tragedia del crollo del ponte sul Polcevera ha lasciato sbalorditi e ha ferito tutti: non possiamo tacerlo. È proprio della nostra indole essere prudenti e – magari senza darlo a vedere – riflettere su ciò che accade per coglierne i moniti e gli insegnamenti, per fare tesoro dell’esperienza. Nei giorni della catastrofe, che ha impressionato il mondo, Genova ha reagito con compattezza: subito! Ha sprigionato le migliori energie con generosità grande ma non insolita: ha dato prova di sé, della sua anima, che custodisce con un riserbo che a volte può apparire distacco. Siamo fatti così. Genova infatti, al di là di certe leggende, è una città di cuore in ogni senso: solo, vuole sapere dove vanno a finire risorse ed energie. E questo è saggio.
Le ferite sono visibili e grandi: insieme alle vittime e ai loro familiari, pensiamo agli sfollati, ai feriti, alle imprese e agli esercizi della zona. Pensiamo ai disagi di quanti – specialmente lavoratori – ogni giorno devono spostarsi da una parte all’altra della Città; alle ricadute sulle attività genovesi e oltre.
Abbiamo toccato con mano che il dolore ha il potere di accomunare, di far sentire quanto siamo fragili ed esposti. Commiserarci è peggio! Ci riporta brutalmente alla nostra piccolezza, ci invita ad essere umili, a non coltivare sogni di gloria che ci allontanano gli uni dagli altri, induriscono i sentimenti, rendono egoisti e miopi davanti alla realtà.
Non vogliamo che in noi vinca il demone del sospetto e della paura, che oggi invade troppi cuori e nazioni. Se il dolore ci ha ricordato l’inesorabile fragilità della condizione terrena, ci ha anche fatto riscoprire quanto i legami umani siano necessari, facciano parte di noi: sono il tessuto non solo della famiglia, dell’amicizia, del lavoro, ma anche di una società che si dichiara civile.
Vogliamo che la prova faccia crescere la speranza e la fiducia, la convinzione che contare gli uni sugli altri ci permette di camminare insieme, ci dà la possibilità di attraversare – come su un ponte sicuro – le incertezze e i vuoti dell’esistenza. La fiducia genera coraggio e ardimento davanti alle sfide, così come testimoniano i nostri padri che hanno affrontato i mari, e con dura fatica hanno strappato ai nostri monti fasce di terra per trarne sussistenza e radicare se stessi. Questi vincoli, che ci uniscono gli uni con gli altri, richiedono una affidabilità solida: senza di essa sarebbe difficile vivere insieme. Quando la tocchiamo, come in quei tragici momenti, allora la semplice presenza degli altri ci permette di varcare il vuoto, anche se non
sempre è possibile colmarlo: come vorremmo riempire il vuoto di coloro che hanno perso i loro cari!
La comunità cristiana ha il dono di sapere che la fiducia ha il nome e il volto di Gesù, il Figlio di Dio: Egli ci mostra che di Dio ci possiamo fidare sempre, anche se non sempre le vicende umane sono chiare ai nostri occhi. La fede, infatti, non dissipa tutte le nostre tenebre, ma illumina il cammino passo dopo passo, giorno dopo giorno. La sua risposta ai nostri tormenti è innanzitutto una Presenza che ci precede e ci accompagna, fedele come la divina Eucaristia nelle nostre chiese.
Sappiamo che, nell’ora del buio, tutti dobbiamo fare qualcosa: nulla è troppo piccolo, perché il Signore – come nella parabola del Vangelo – si serve di quanto ognuno può fare per compiere i miracoli che solo Lui conosce. Una preghiera, un aiuto, un sorriso, una stretta di mano, una disponibilità offerta, una parola semplice o un silenzio discreto… nelle mani di Dio tutto, per vie misteriose, diventa conforto per noi e per gli altri, forza per non arrendersi, desiderio di futuro. Ogni atto è come una piccola luce che illumina la notte. Anche la nostra fede ne deve uscire più forte: nella prova il volto di Gesù sofferente si rende più visibile, e chiede di essere riconosciuto, rincuorato e soccorso nei fratelli. Ci ricorda che la dignità di ognuno riflette quella stessa di Dio.
A te, Genova, che ti adagi fra cielo e mare nel cuore della Liguria, voglio dire una parola da figlio e da vescovo. È una parola che raccoglie le voci delle generazioni, l’eco dei secoli; che nasce dall’amore per te, e che prende sostanza dalla tua storia di civiltà e di fede: non dimenticare chi sei! Le tue tradizioni civili e cristiane hanno punteggiato i tuoi vicoli – cuore della Città – di edicole religiose come compagnia e richiamo, hanno ispirato opere nobili, hanno alimentato la capacità di vivere insieme – Città aperta e ospitale – per guardare avanti e superare con tenacia le prove. Non dimenticare che i nostri Padri ti hanno consacrata a Maria Madre e Regina. E Lei continua a guardarti in mezzo a gioie e travagli, mentre il Bambino Gesù tra le sue braccia le chiede “et rege eos”. Potrà la Madre di Dio non ascoltare l’invocazione del suo Dio? “Conducili tu” o Maria: sostienici nel presente e nel futuro.
Genova, 8 dicembre 2018
Solennità dell’Immacolata Concezione
Card. Angelo Bagnasco
Arcivescovo di Genova