“Scrivo a te, famiglia”

Lettera pastorale per l'anno della famiglia

La luce della famiglia
Tra le luci dell’universo, vi è la famiglia: vedere un papà e una mamma con i loro figli, commuove e apre al sorriso. Certo, non bisogna correre sulle cose, vivere distratti così da non vedere altro che noi stessi e i nostri interessi. Ognuno ha i suoi compiti, ma niente dovrebbe occuparci a tal punto da riempire tutto lo sguardo rispetto agli altri, al mondo. Ogni cosa, infatti, è più di ciò che appare a prima vista.
Andando per strada – spesso per i vicoli del centro storico – incontro nuclei familiari con figli piccoli, adolescenti, più grandi; e sento la grandezza unica e incomparabile di questa realtà, grembo d’amore che genera nuove vite, scuola e palestra di umanità. Se cristiana, la famiglia è anche luogo di fede. La coppia è legame, cosa che oggi è spesso percepito come un limite insopportabile. Ma la questione non è il legame, bensì l’amore. È l’amore, infatti, il legame fondamentale e la sorgente di ogni altro vincolo. Il matrimonio è scelta d’amore – è noto – però si sta dimenticando che l’amore non è solo sensibilità e sentimento, ma volontà e decisione. È scelta di accogliere per sempre l’altra persona nella vita: è legarsi per donarsi.
L’innamoramento iniziale deve mettere radici profonde nei due cuori, altrimenti inaridisce. Deve diventare amore attraverso i piccoli atti quotidiani, quei gesti che – nel sentire generale – vengono ritenuti noiosi e pesanti; che sembrano mortificare la spontaneità del singolo, il suo slancio vitale, i suoi interessi. Come se scegliere qualcosa non fosse necessariamente rinunciare a qualcos’altro. Non si può pretendere o illudersi di poter scegliere tutto, perché altrimenti ci si sente prigionieri e depressi. Scegliere una strada è escluderne altre: fare coppia e sposarsi è scegliere non solo una persona (la moglie o il marito), ma una forma di vita. Qui sta la grandezza della famiglia, e prima ancora della persona. L’amore di coppia non è sempre effervescente e facile, senza sacrificio. Credere o aspettarsi questo, è credere ad una devastante bugia – oggi molto pubblicizzata – che crea delusione e infelicità.
Specialmente l’amore coniugale – come ogni forma d’amore – non si nutre di esperienze eccezionali, di estasi, ma del quotidiano dove ognuno fa i conti con i propri limiti, umori, sensibilità, entusiasmi e aspirazioni. E con quelli del coniuge e degli altri. Ma è proprio questo il terreno buono dell’amore di coppia e di famiglia. Dobbiamo riscoprire l’elogio della vita quotidiana che si ripete giorno dopo giorno, poiché, nella solidità, si gusta la gioia genuina come il pane di casa. Fuori da questa logica, si ricerca l’ebbrezza, si corre dietro a ciò che scintilla e promette, ma che è come le stelle cadenti nella notte. Un attimo e ritorna il buio.
Ci poniamo ora due domande: riesco a vedere gli altri, la bellezza e la bontà che mi circonda, oppure sono assorbito da me stesso? Dobbiamo curare gli occhi col collirio della saggezza, della fede e della preghiera. Abituarci a vedere la luce non significa non rilevare le ombre, ma impedire che il cuore diventi buio. Sono convinto che, in famiglia, l’amore si costruisce giorno per giorno con pazienza e fiducia nella fedeltà alle cose quotidiane? Oppure vivo la vita ordinaria come monotonia e peso? Sarebbe il modo di rendere banali anche le cose grandi, perché private dell’amore.
Dio è amore
Dio ci ha creati per amore e ci ha fatti per amare: fuori da questa esperienza, la persona non sa più chi sia, dove stia andando e quale senso abbia il suo vivere. È un albero secco, un deserto arido e senz’acqua. Ma, se tutti siamo impastati d’amore e abbiamo bisogno di amare ed essere amati, l’amore però è realtà seria e impegnativa.
Dio ci insegna cos’è l’amore: Egli, nell’intimità del suo cuore, è comunione fedele e feconda. Il mistero della Santissima Trinità ci rivela che l’unico Dio-Amore è Dio-Comunione. Potremmo dire che Dio è Famiglia: Padre-Figlio-Spirito Santo.
Ma c’è un’altra manifestazione dell’amore vero: l’incarnazione del Figlio Gesù. È un atto di salvezza, un atto di amore: Dio, nel Figlio, è uscito da sé per venirci a cercare e per ricondurci a casa, il suo cuore. L’amore è un continuo “esodo” per andare incontro alla persona che si ama; è rinunciare a qualcosa di sé, dei propri gusti e programmi. Non è perdere la propria personalità, ma arricchirla nella comunione con l’altro.
Gesù ci dona la vita fino alla croce. Ecco il volto dell’amore: essere dono. Il dono esce da sé per offrirsi all’altro, in un certo senso non s’appartiene. Se questo accade nel rapporto dell’uomo con Dio, vale anche tra noi. Il “per sempre” dell’amore di Dio per il mondo si riflette nel “per sempre” dell’amore coniugale. La “fecondità” dell’amore di Dio si riflette nel “grembo fecondo ” della coppia. La “gelosia” di Dio si riflette nell’ “unicità” sponsale di un solo uomo e di una sola donna.
Perché questa meraviglia risplenda nel mondo, affinché l’uomo e la donna siano l’espressione visibile dell'”immagine e somiglianza di Dio” e segno dell’amore perenne di Cristo per la Chiesa, Gesù stesso è entrato nell’amore coniugale con la sua grazia di luce e di gioia: è il sacramento nuziale.
Siamo giunti, così, ad una terza domanda: cerco di vivere l’amore in famiglia come “dono”, accettando di uscire da me stesso, di superare i miei confini di idee, umori, sensibilità, aspettative…? Oppure più spesso non cedo? Se siamo sposi cristiani, pensiamo al sacramento di cui siamo ministri e che ci assicura la grazia per vivere il matrimonio in qualunque circostanza? Oppure è solo un ricordo più o meno lontano? Una fotografia? Preghiamo insieme?
La grazia dei figli
Ho detto prima che, girando per la Diocesi, sorrido non appena vedo una famiglia. Guardo il papà e la mamma nella loro unione e nel loro delicato compito di educare i figli. Penso che essi inconsapevolmente costruiscono il mondo, fanno storia, edificano il futuro.
Molte sono le vocazioni e le responsabilità su questa terra, ma quella di generare ed educare i figli è una delle più umili e grandiose. Procreare un uomo ha un tempo, ma educare una persona non ha tempo. Dura tutta la vita dei genitori e continuerà dal Cielo.
Esisterebbe il futuro senza i figli, e senza accompagnare il loro aprirsi alla vita e il loro crescere? La società che cosa sarà se i genitori – nella reciprocità e ricchezza delle loro differenze – non educheranno delle persone mature, solide, che sappiano stare in piedi davanti ai colpi rudi del tempo, capaci di assumere responsabilità e di educare a loro volta nuove generazioni?
Uno dei pericoli maggiori che vediamo è il “si” (si pensa, si fa, si dice), cioè uno schema anonimo e impersonale di pensare e agire che toglie responsabilità e uniforma dentro ad una massa indistinta. Diminuendo la capacità di giudizio critico, naturalmente qualcuno ci guadagna. Per questo il giovane deve essere aiutato a scoprire la distinzione del vero dal falso, del bene dal male, del giusto dall’ingiusto, e apprendere quella buona severità che consiste nell’unione di verità, fedeltà e coraggio.
Quanta fiducia e pazienza, quanta forza e tenerezza occorrono per educare i ragazzi e i giovani! Essi avranno fiducia in se stessi se sentiranno la fiducia dei genitori; saranno sereni se respireranno serenità in casa; impareranno ad amare se saranno amati; forti nel bene se sentiranno la solidità affidabile della famiglia; scopriranno il Signore, se la casa sarà una “piccola chiesa”.
Per educare, i genitori devono essere loro per primi delle persone mature: la loro stabilità interiore non deve dipendere dal denaro e dalla carriera, dal successo, dalla salute e dalla apparenza; ma dall’essere ognuno ben radicato dentro di sé. Che abbia carattere! Ciò non significa essere rigidi nei propri atteggiamenti, ma consiste nel legame del pensiero, del sentimento e della volontà con il proprio “centro spirituale”. Altrimenti vi è la dispersione della persona, si cercano falsi “centri” fuori della propria anima. È lo smarrimento.
Oggi forse sembra un’illusione tutto questo, una realtà di tempi andati. Ma è davvero così? O non è quanto si vuole far credere per screditare e indebolire la famiglia? Per accusarla di tutti i mali presenti? Per descriverla come un’oppressione da cui liberarsi in nome di altre possibilità più “normali” per l’uomo d’oggi? Mi chiedo: il cosiddetto uomo moderno è più felice di quello “antico”? A me sembra più insoddisfatto e smarrito, anche se il suo cuore non cambia, perché cerca e cercherà sempre la felicità piena e duratura.
Tutti conosciamo – ieri e oggi – difficoltà e prove in ogni coppia e famiglia. Ma sappiamo anche che fanno parte dell’amore: quanto più esso mette radici, tanto più può incontrare ostacoli nel sottosuolo di ognuno. Ma anche sappiamo che, con la grazia di Dio e la forza del Sacramento, l’amore ne esce più maturo. Ci sono anche ferite gravi e situazioni dolorose in cui si trovano non pochi fedeli che, dopo aver celebrato il matrimonio, hanno divorziato e contratto nuove nozze. La Chiesa è Maestra e Madre: è vicina con cuore di misericordia nella verità del Vangelo e nella fiducia. Essa non esclude nessuno dal suo seno.
Si dirà che, se Dio li manda, i figli sono una grazia, ma che lo Stato non aiuta nel grande compito. È vero, aiuta troppo poco! E per questo – senza entrare nei particolari – bisogna che la collettività si faccia sentire e insista: la famiglia, infatti, è la comunità originaria, la cellula vitale, il domani.
A ben vedere, la società ne è consapevole poiché – almeno per principio – riconosce nell’uomo e nella donna che si sposano la nascita di un “soggetto” con doveri e diritti ai quali lo Stato si obbliga. Esso attesta che il nuovo nucleo è una realtà stabile che genera futuro per tutti, essenziale non solo per la continuità ma anche per l’organizzazione pratica del vivere comune. Se i giovani sono pochi e la società invecchia, ad esempio, con quali fondi saranno pagate le pensioni e le altre previdenze?
È vero che per una coppia non sempre è possibile la grazia dei figli nonostante il desiderio e la disponibilità. La Chiesa, però, ha sempre affermato che la fecondità non è legata esclusivamente alla generazione dei figli, ma si allarga alla cura degli altri, piccoli e grandi che siano. E i casi sono innumerevoli.
Emerge così un’ultima domanda: come genitore, parente, formatore in generale, curo la mia formazione spirituale per essere riferimento educativo? Riferimento, non perché dà delle cose, ma per il patrimonio spirituale e morale che lo rende affidabile agli occhi dei ragazzi e dei giovani? Ho un “centro spirituale” che unifica sentimenti, pensieri, volontà? E come mi prendo cura degli altri fuori della famiglia nei limiti delle mie possibilità?
Cari Amici, sono alcune considerazioni su una realtà meravigliosa – la famiglia – che avrebbe bisogno di ben altro spazio rispetto ad una Lettera. Siamo nel decennio pastorale sul tema dell’educazione. I Vescovi italiani intendono rilanciare – insieme alla missionarietà – l’avventura educativa. Dopo l’anno degli adolescenti e quello della fede, vivremo “l’Anno della Famiglia”.
Invito tutti a camminare insieme: ognuno come meglio può e ritiene. La preghiera, la riflessione su questa Lettera Pastorale, la partecipazione alla Scuola Vicariale di formazione e ogni altra iniziativa Diocesana, vicariale o parrocchiale, sono occasioni offerte a tutti e a ciascuno.
Vi ringrazio per la vostra attenzione e con affetto vi benedico, chiedendo la vostra preghiera e assicurando la mia per voi e per le vostre famiglie.
Genova, 29 agosto 2013
Festa della Madonna della Guardia
 
Card. Angelo Bagnasco
Arcivescovo Metropolita di Genova
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