Carissimi Fratelli e Sorelle,
la pace e la gioia del Signore siano con voi!
Il bisogno di fiducia fa parte dell’uomo
Con questo saluto non solo ci auguriamo un grande bene, ma anche affermiamo che solo il Signore Gesù porta la gioia vera e la pace. E’ dunque con questo augurio che vengo a bussare alla porta delle vostre case, ma soprattutto del vostro cuore. Anche quest’anno vorrei dire una parola semplice e breve sulla famiglia, in continuità con la Lettera Pastorale precedente “Di generazione in generazione”. Siamo nel decennio che i Vescovi italiani hanno dedicato alla sfida educativa, e quanto ci sia bisogno di formazione – intelligenza e anima, coscienza morale e cuore – lo vediamo tutti. Vorrei toccare un aspetto che è naturale nella missione educativa, come anche nel vivere quotidiano, ma scontato non è: la fiducia, sia quella che si deve avere verso gli altri, sia quella che si deve avere verso se stessi. Quanta sfiducia circola! Senza fiducia si vive male, nella insicurezza interiore che genera disagi e problemi. La fiducia ha la sua originaria sorgente in Dio: è Dio che, donandoci il Figlio Gesù, ci rivela quanto ogni uomo è importante per il suo cuore, quanto siamo preziosi ai suoi occhi. In sostanza, ci dona amore e fiducia. Nello sviluppo educativo umano, però, il bambino fa la primissima esperienza di fiducia in famiglia. Ma come e a quali condizioni? La cultura nella quale viviamo non ci aiuta, anzi, è di ostacolo: tende a corrodere il modo di concepire la vita, la famiglia, il lavoro, il senso del dovere e di Dio. E i segnali dello smarrimento sono evidenti. Interrogativi sempre più pressanti pesano su tutti, specialmente sui giovani: dove sta andando la mia vita? E’ possibile essere onesto, sacrificarmi per gli altri? vale la pena farmi una famiglia, mettere al mondo dei figli? quale futuro avanza? Come cristiani non possiamo stare a guardare! Ecco perché i Vescovi italiani hanno messo al centro del decennio pastorale l’impegno per l’educazione.
Educare è generare la persona e il cristiano
Il primo e fondamentale luogo dove si educa è la famiglia. Da che mondo è mondo, i genitori sono i primi e insostituibili educatori dei figli per diritto naturale. Nessuno si può sostituire quando essi ci sono. La Chiesa e lo Stato devono affiancarsi ma non sostituirsi in questo diritto-dovere insito nella generazione. Non ci vogliono ragionamenti complicati per capire questa verità , basta ascoltare il buon senso e guardare l’universale esperienza. Il compito non è facile, non lo è mai stato, tanto meno lo è ai nostri giorni.
Ma la grazia di Dio non manca. I genitori devono accendere nei figli “l’uomo e il figlio di Dio”. Sì, perché concepire e dare alla luce una vita è un “miracolo” di Dio al quale ai genitori è dato di partecipare; ma essi devono anche “dare alla luce” una persona e un cristiano. E questo è un altro miracolo che chiede la forza della grazia e una gestazione lenta, paziente, spesso sofferta, che muta negli anni e che terminerà solo in Cielo. L’educazione è proprio questo: generare l’uomo spirituale e morale, l’uomo del corpo ma anche dell’anima. E’ condurre la persona oltre se stessa per introdurla alla realtà intera, per affrontare la vita, e così accompagnarla verso il suo pieno sviluppo.
La fiducia in se stessi genera sicurezza
Vorrei ora mettere in rilievo l’aspetto specifico di questa Lettera. Se pensiamo alla nostra famiglia, sentiamo – in un modo o in un altro – un’onda di calore. Questo calore benefico cresce quanto più andiamo avanti negli anni, anche quando i nostri genitori saranno in Cielo. Forse, anche nelle nostre famiglie ci sono state difficoltà e prove, e non parlo di quelle legate a lavoro, malattie, o altri disagi; parlo delle difficoltà dei rapporti di coppia e familiari. Non sempre tutto è ideale, né dei caratteri né degli affetti: ciò nonostante, la famiglia ha tenuto duro, ha retto alle inevitabili usure e stanchezze, agli alti e bassi. E noi, figli di ieri o di oggi, abbiamo intuito che su quella realtà , su quel piccolo nucleo, potevamo contare. Sentivamo che, in mezzo alle durezze dell’esistenza, c’era una zona franca, un punto certo nel quale trovare attenzione e ascolto, richiamo e incoraggiamento. Sapevamo che, dentro a quel grembo, i genitori avevano fiducia in noi nonostante i nostri limiti, errori, insuccessi o paure. Non era un nido dove fuggire dal mondo concreto, un mondo virtuale dove ci veniva risparmiata la parola severa, le regole, o dove eravamo messi al riparo dalle difficoltà. Al contrario! Era un luogo dove si faceva verità su di noi in modo saggio, dove si dava il nome giusto alle cose, la distinzione tra ciò che è bene e ciò che è male, tra doveri e diritti: un luogo dove la presenza certa del papà e della mamma – e spesso anche dei fratelli, dei nonni e degli zii – ci dava coraggio e forza. E così, dentro a quel grembo esigente e accogliente, abbiamo imparato ad avere fiducia in noi stessi, negli altri, nella vita. E la fiducia ha generato sicurezza. Abbiamo imparato a non avere paura delle prove, dei dolori, degli insuccessi, ma ad affrontarli, a superarli e a portarli con l’aiuto di Dio e degli altri. Abbiamo imparato che la morte, per quanto timore possa suscitare, fa parte della vita e che, oltre quella porta, Dio ci attende come Padre.
Il grembo fecondo della famiglia stabile
Quel luogo generatore – la famiglia – non era però un nucleo dai confini cangianti e dai tempi incerti, che difficilmente avrebbe potuto darci sicurezza affettiva. Ma era un nucleo definito e permanente, su cui sapevamo di poter contare come su roccia ferma e affidabile. E’ questa la vera identità e la missione della famiglia che nel nostro Paese, nonostante tutto, rappresenta ancora un punto di riferimento decisivo. Come sappiamo, esistono tendenze che mirano a cambiare il volto della famiglia, rendendola un soggetto plurimo e mobile, senza il sigillo oggettivo del matrimonio. Ma ci dobbiamo chiedere: una realtà variabile e provvisoria può offrire sicurezza? E ancora: i figli non hanno forse diritto a qualunque sacrificio pur di tenere salda e stabile la coppia e la famiglia? Non è forse questo l’atto d’amore e di educazione più grande che i genitori possono fare? E anche il loro preciso dovere? E laddove questo accade, non è nata un’unione più forte e matura, e anche più bella e felice? E i figli non ne hanno forse giovato per la loro educazione? Per questo la società deve stimare, salvaguardare e sostenere in ogni modo il bene primario della famiglia, per cui un uomo e una donna si scelgono nell’amore e si consacrano totalmente e per sempre l’uno all’altra con il vincolo del matrimonio. Ci si sposa per se stessi in forza del proprio amore – certo! – ma dentro ad una rete che è la comunità, nella quale ogni individuo e ogni nucleo vivono con legami virtuosi di reciprocità solidale, e verso la quale hanno diritti e doveri. Se poi, grazie alla luce della fede cristiana, sappiamo che Gesù ha elevato il matrimonio a sacramento nella Chiesa, cioè come luogo del suo amore fedele, segno visibile dell’alleanza sponsale tra Dio e l’uomo, sorgente di una grazia particolare e di santità, allora gli sposi sanno di non essere mai soli. Possono contare sulla fedeltà di Cristo che custodisce la loro fedeltà nuziale. Sanno che Dio stesso raccoglie e feconda le fatiche e le piccole cose di tutti i giorni: cose che esprimono la loro reciproca appartenenza d’amore e la loro dedizione ai figli, dono di Dio.
Cari Amici, vi benedico tutti con affetto.
Angelo Card. Bagnasco
Arcivescovo metropolita di Genova