Carissimi fratelli
e sorelle nel Signore,
la pace e la gioia di Gesù
siano con voi!
Perché una lettera pastorale sull’Eucaristia e la famiglia? Per imparare ad amare! Infatti, se contempliamo l’Eucaristia, impariamo ad amare nella verità: e la famiglia è il primo luogo dove le persone si vogliono bene. Subito ci vengono in mente non poche situazioni familiari in difficoltà: coppie più e meno giovani che dubitano del loro amore, che si lasciano; genitori e figli che attraversano contrasti anche aspri e dolorosi; rapporti difficili con le famiglie di provenienza. È fuori dubbio che l’amore è una realtà preziosa e delicata: quando è custodita e alimentata, allora diventa una forza straordinaria, nessuna prova può spegnerla, diventa più forte della morte. Non si può vivere senza amore. Senza amare e senza essere amati, la vita diventa sterile e ci sentiamo come un ramo secco. Anche le altre cose belle (la salute, il lavoro, le relazioni…), se non sono animate dall’amore, perdono valore, scolorano, causano soddisfazioni ma non riempiono il cuore. Il valore più importante e decisivo è la fede che ci apre a Dio; che illumina le prove e i dolori; che dona senso alle gioie; che svela il nostro destino. Ma la fede, in definitiva, è credere all’amore di Dio; è affidarsi al suo abbraccio; è rispondere con l’amore dei figli. Sì, la fede ci riporta nell’orizzonte caldo dell’amore. La divina Eucaristia è il sacramento vivo di quest’Amore che ci abbraccia, illumina la vita e ci insegna ad amare. È una permanente scuola d’amore. È per questo che gli sposi – ma anche i nostri ragazzi, i giovani, i consacrati – dovrebbero continuamente porsi a questa scuola che, mentre ci insegna la difficile arte di amare, fa fare l’esperienza di ciò che insegna. Ma perché amare, pur essendo bello, è difficile, tanto che non di rado i legami si spezzano? Sembra che oggi si abbia paura dell’amore: di amare e di essere amati. L’amore, infatti, mette in gioco; chiede serietà e solidità interiore. Oggi, invece, si dicono troppe bugie sull’amore. Così si crede che sia quasi un gioco, un’emozione forte che deve sempre gratificare. Quando ciò non accade, allora si resta delusi e si cambia.
Amare è donarsi
L’Eucaristia è la ripresentazione del sacrificio del Calvario. Sulla croce, Gesù ha dato la vita per noi: “Nessuno ha amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Giovanni 15,13). Il Figlio di Dio, “pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte, e alla morte di croce” (Filippesi 2, 6-8). Questo è l’amore! Chi, nel rapporto sponsale, ha paura di perdere se stesso, qualcosa della sua libertà; chi non è disposto a rinunciare per andare incontro all’altro, per diventare “una sola carne” come dice la Bibbia (cfr Genesi 2, 24), non gusterà mai la bellezza vera dell’amore. Continuerà a ritenere di poter fare tutto come prima del matrimonio – abitudini e preferenze – mentre deve tener conto che non è più solo. È nato un nuovo “noi”. Penserà che l’amore è solo godimento e mai rinuncia, è solo prendere e non anche dare, è sempre gioia e mai sofferenza; è solo esaltazione emotiva e non scelta che resiste al movimento delle sensazioni e delle emozioni. A volte, anche in questo delicatissimo campo, sembra dominare il criterio dell’efficienza secondo il quale l’amore deve essere un’esperienza sempre facile, e che ogni prova o ferita siano insuccessi da cancellare al più presto. Ma l’Eucaristia insegna diversamente: ci ricorda che l’esperienza dell’amore è soprattutto dono di sé, anche quando ciò è costoso. E in questo non scompare l’amore; anzi, sta qui la prova della sua verità e della sua forza, il terreno privilegiato della sua crescita. Gesù si rivela Re del mondo quando dona la vita per il mondo che ama. Oltre che nel cuore del Padre, la sua gioia sta nell’offrire la sua vita perché l’uomo viva!
Amare per sempre…
“Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Matteo 28,20). L’Eucaristia è il segno sacramentale più commovente della presenza reale di Cristo.
Nelle cose quotidiane. Amare è stare vicini anche quando si è fisicamente lontani: vicini con tutto se stessi per sempre, nell’assoluta fedeltà del pensiero, del cuore e del corpo. L’impegno oggettivo del matrimonio riguarda tutta la vita, qualunque cosa accada, perché è un impegno d’amore. Se fosse solo un’attrazione, delle emozioni intense, non sarebbe amore: la prima passa e si trasforma negli anni, l’amore resta. Amare allora vuol dire essere “fedele sempre: nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia”, così come gli sposi si promettono davanti all’altare. L’Eucaristia, nella sua solenne semplicità – come non pensare all’intimità del cenacolo? -, ci ricorda che la fedeltà del cuore si esprime innanzitutto nelle piccole cose quotidiane. A volte, invece, la ripetizione dei doveri quotidiani – in casa, tra i coniugi, verso i figli, i malati, gli anziani, gli amici… – viene sentita più come monotonia e peso anziché come volto concreto e fedele dell’amore. Può nascere la voglia della fuga, della ricerca di esperienze diverse: si evade, ci si avventura in novità che danno iniziali vibrazioni ma, in fondo, svuotano l’anima.
Amare è intimità
La Celebrazione Eucaristica è intessuta di parole, di silenzi, di gesti. Così come ogni rapporto d’amore.
Si nutre nel raccontarsi delle persone, nell’aprire – in solitudine – il cuore e svelare pensieri e sentimenti, difficoltà e speranze. Non si può correre sempre. Bisogna fermarsi e dare spazio all’ascolto reciproco, fatto di attenzione umile e affettuosa. Esso è assolutamente necessario per difendere e coltivare il rapporto, altrimenti ci si allontana progressivamente e, col tempo, ci si scopre estranei pur vivendo nella stessa casa. La comunicazione delle anime è più necessaria di tante esperienze spensierate.
Amare è fecondità
Con la croce Gesù ci ha fatti rinascere alla vita di figli di Dio. Non c’è amore vero senza fecondità, cioè senza che altri nascano alla vita grazie al nostro amore e al nostro sacrificio. Non si tratta solo della grande grazia dei figli per chi è sposato. Si tratta di mettersi a servizio con serietà e generosità di intelletto e di cuore. A servizio di chi ha bisogno: dei figli propri o altrui, degli anziani e dei malati, dei deboli e dei poveri, della comunità cristiana. Sapendo che quanto più doniamo amore attorno a noi, tanto più si accende la speranza. È la vita! E ricordando che Gesù ha reso gli sposi segno visibile dell’amore indissolubile e fecondo di Dio per l’umanità. È il sacramento del matrimonio.
Cari Fratelli e Sorelle, accogliete questa lettera con affetto così come io l’ho scritta. Spero che possa esservi di qualche aiuto per crescere nell’amore e, se è il caso, per superare qualche difficoltà. Penso in modo particolare, ma non esclusivo, ai giovani che si preparano al matrimonio, e agli sposi. Ma anche a quanti, giovanissimi e forse frastornati da troppi messaggi distorti, hanno bisogno di comprendere meglio la finezza e la bellezza dell’amore. Vi porto nella mia preghiera e nel mio cuore di Padre e Pastore, e vi benedico. Maria Santissima, Regina di Genova, ci sostenga col suo amore di Madre.
Angelo Card. Bagnasco
Arcivescovo metropolita di Genova