Punto di ascolto “Emergenza casa”: prima risposta ai problemi abitativi – ne abbiamo parlato con Don Massimiliano Moretti

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Da qualche settimana è nato in Diocesi il punto di ascolto “Emergenza casa”, con sede in Via Tommaso Reggio 43.
L’idea di questo “sportello” è andata via via prendendo forma nell’ambito del Percorso diocesano di formazione socio-politica alla luce della Dottrina Sociale della Chiesa.

Il punto di ascolto ha lo scopo di fornire una prima assistenza alle persone che si trovano improvvisamente ad affrontare problematiche abitative, per lo più generate dalle conseguenze economiche e non dell’emergenza sanitaria in corso.

Abbiamo incontrato don Massimiliano Moretti, coordinatore del Percorso, Vice Direttore Armo e parroco di Santa Zita, per meglio approfondire come opera questo punto di ascolto e per una riflessione più ampia sulla crisi economica e abitativa legata alla pandemia in atto.

Don Massimiliano, da inizio pandemia la Diocesi, attraverso molteplici forme, sta sostenendo chi si trova in difficoltà. A causa del Covid-19 sono molte le persone e le famiglie che si sono trovate improvvisamente nel bisogno. In particolare Caritas con il Progetto Tobia sostiene economicamente quelle categorie che sono state fra le più colpite dalle chiusure dovute alla pandemia. Quali emergenze ha riscontrato nella sua esperienza come parroco?

Il tema della mancanza del lavoro è stato quello più scottante, soprattutto nel piccolo commercio. Sono molti i negozi che hanno chiuso.
Ma c’è anche un altro tema da non sottovalutare, ed è quello del cosiddetto “smartworking”, ossia il lavoro da casa. Questa modalità, se gestita bene, può essere utile sia per il lavoratore che per l’azienda; ma bisogna fare attenzione a non assolutizzare queste forme di lavoro digitale.

Per fare un esempio pratico, nella mia parrocchia purtroppo alcuni mesi fa ho celebrato un funerale di una persona che, a causa dell’isolamento dovuto al lavoro da casa, e ad alcune precedenti problematiche, si è tolta la vita. Non dobbiamo dimenticare che il lavoro talvolta, come nel caso sopra citato, è l’unica fonte di legami veri e concreti. Bisogna, in questa fase, non perdere di vista le relazioni che nascono in ambito lavorativo, le dinamiche di gruppo.

Recentemente in Diocesi è nato il punto di ascolto denominato “Emergenza casa”, per cercare di intercettare chi, famiglie o singoli, non riesce più a far fronte alle rate del mutuo o all’affitto rischiando così di perdere la casa. Ci sono in Diocesi delle iniziative che già offrono aiuto in questa direzione, anche alla luce dello sblocco degli sfratti il prossimo 30 giugno?

Il tema dell’emergenza casa è stato affrontato in questi anni in particolare nell’ambito del Percorso Diocesano di Formazione Socio-Politica.

Quest’anno sono stati messi in campo alcuni laboratori che provassero ad incidere anche in maniera “politica” sulla condizione dei territori, portando il nostro piccolo contributo. Da qui è nato il progetto sulla casa: nelle parrocchie il problema abitativo è forse quello più urgente al momento. Per questo si è pensato di lavorare ad un progetto che potesse il più possibile essere esteso ai Vicariati e alle parrocchie della Diocesi. Sia Mons. Tasca che Mons. Anselmi sostengono questo percorso.

Caritas diocesana aiuterà questa operazione con le sue strutture ma il desiderio è che il progetto diventi nel tempo sempre più capillare e presente sul territorio.

Con i partecipanti al Precorso politico abbiamo riflettuto molto sull’importanza di vivere accompagnati sempre dal Vangelo.

Siamo nel tempo di Pasqua, e in questo momento, come Percorso Diocesano, sentiamo l’urgenza di non limitare la vita cristiana alla sola celebrazione domenicale della Messa. Questo non significa agire come una ONG, o svolgere un servizio di assistenza sociale: il compito primario di ogni cristiano è credere che Gesù è risorto, risorgere insieme a Lui provando a far risorgere tanti fratelli e sorelle che vivono oggi in estrema difficoltà.

La parrocchia di Santa Zita di cui è parroco è coinvolta in questa iniziativa?

La parrocchia è coinvolta, e al momento l’adesione dei fedeli al progetto è positiva. La proposta è stata quella di una colletta al mese, al di fuori delle offerte delle Messe domenicali. Chi può, dà quello che può: in sintesi il motto può essere questo.

In un mese abbiamo già raccolto circa 12.000 euro. L’adesione dunque è molto alta, e questo, da sacerdote, mi ha riempito di gioia. Da questa esperienza ho capito che intorno a noi c’è molto bene, un bene che va solo stimolato.

La partecipazione del “popolo di Dio” è dunque fondamentale.

Quanto è importante un’adeguata organizzazione per fornire un aiuto concreto a chi ha bisogno?

Io mi sono avvalso anche di persone che, pur non facendo parte di nessun gruppo parrocchiale ma frequentando la Messa domenicale, aveva professionalità e talenti da mettere a disposizione: commercialisti, avvocati, un ingegnere, in modo da dare una struttura qualificata a questa iniziativa.

Questo è stato anche un modo per dare corpo ai laici e alla loro azione.

Al momento, molta parte dell’impegno è anche dedicata all’ascolto delle problematiche. Con questo sportello cerchiamo anche di sgravare un po’ il grande impatto sui Centri di Ascolto.

La nostra è dunque una vera e propria presa in carico, un affiancamento nelle pratiche da sbrigare, un sostegno materiale.

Nonostante si stiano facendo passi in avanti nella campagna vaccinale, l’emergenza legata al Covid non è destinata a concludersi rapidamente. Quali sono le preoccupazioni più diffuse fra le persone che lei incontra ogni giorno?

C’è molta paura fra le persone, frutto di una grande confusione. Più il mondo è confuso più le persone sono vulnerabili, più qualcuno se ne può approfittare. Sarebbe opportuno oggi veicolare informazioni il più possibile corrette. Le persone perdono fiducia nelle istituzioni credendole magari nemiche, e progressivamente si rinchiudono nella solitudine.

Nella sua esperienza di Cappellano nelle aziende, lei ha l’opportunità di avvicinare molti lavoratori. Quale aria si respira, dopo un anno di fatiche e restrizioni causate dalla pandemia? E quali sono le principali preoccupazioni dei lavoratori, alla vigilia dello sblocco dei licenziamenti?

Noi Cappellani al momento abbiamo alcune difficoltà ad entrare nelle aziende a causa dei protocolli Covid. I lavoratori comunque nutrono ancora fiducia: le grandi aziende genovesi hanno messo in pratica efficacemente lo smart-working e dove è stato possibile sono scattate le forme di compensazione.

Va maggiormente attenzionato invece il piccolo commercio: qui in Santa Zita, per esempio, in pochi mesi hanno chiuso già quattro piccoli negozi.

Sulla base di quanto già organizzato da alcune parrocchie per far fronte all’emergenza abitativa, è possibile secondo lei realizzare iniziative analoghe?

Auspichiamo di sì. Questa iniziativa va metabolizzata. L’idea è nata dopo una lunga riflessione. I confratelli che vogliono aderire possono iniziare magari partendo da un caso fra quelli di cui vengono a conoscenza.

A Genova sono numerosissimi gli appartamenti che restano sfitti e che potrebbero essere messi a disposizione: la parrocchia potrebbe assumere il ruolo di mediatore fra chi ha disponibilità e chi ha bisogno.

Nonostante le difficoltà e le fatiche anche psicologiche dovute al prolungarsi dell’emergenza sanitaria, riscontra ancora il desiderio di solidarietà fra i fedeli e le persone che lei incontra ogni giorno?

Nel mio piccolo, posso dire che c’è molta più solidarietà di prima, se stimolata e accompagnata. C’è consapevolezza della difficoltà del momento e della difficoltà di molti. E c’è generosità laddove si percepisce l’utilità delle proprie azioni. La Chiesa deve avere proprio il compito di far emergere il bene.

E bisogna anche imparare a raccontare e narrare le cose positive che si fanno e che si realizzano.

Tutto il bene, quando è compiuto e messo a fattor comune, genera positività per tanti.

 

A cura di Francesca di Palma