Alla Settimana Sociale ci si è preparati – come Diocesi di Genova, nel contesto ligure e come Nord Italia – con un lavoro introduttivo di approfondimento a partire dal documento che – intitolandosi proprio “strumento di lavoro” ha costituito il punto di partenza comune, l’occasione di riflessione e di allineamento di quanti hanno intrapreso il percorso che porta a Taranto.
E’ lì che viene ricordata una frase di Luigi Einaudi preziosa per leggere il presente, ogni presente ma questo (ed i temi caldi che lo innervano) ancora di più: “Ogni crisi economica è anche crisi morale e spirituale”. Ed è sempre lì che viene offerta la prospettiva da cui guardare al tema della Settimana Sociale. Alcune frasi sono punti di riferimento necessari: “Abbiamo bisogno di un nuovo umanesimo che abbracci anche la cura della casa comune, premessa che dà origine al principio del bene comune globale. E che non dimentichi di custodire la bellezza del creato. Per questo la cura della bellezza è, infatti, aspetto sostanziale che caratterizza la responsabilità dei cristiani di rendere conto della speranza che è in noi…..L’approccio dell’ecologia integrale permette di capire che gli squilibri multidimensionali che caratterizzano il nostro sistema sociale ed economico richiedono un’analisi multidisciplinare che aiuti a cogliere le connessioni e a delineare e attuare un’azione politica integrata che ne tenga conto. All’origine dell’ecologia integrale c’è una visione in cui il bene comune si dilata sino ad abbracciare le persone e l’ambiente….. Il bene è sempre un bene relazionale.”
Il contenuto non è di quelli che si leggono passandoci sopra velocemente; sono frasi dense, che è stato necessario capire con la testa ed il cuore, tanto portano dentro una logica nuova (quella che le due Encicliche – Laudato sii e Fratelli tutti – hanno così efficacemente descritto) e che si sono via via illuminate nel confronto e nel racconto delle esperienze vissute (la realtà supera sempre la ns. immaginazione) che sono poi quelle “buone pratiche” che tanto peso hanno nella trama della Settimana sociale.
Insomma, a Taranto non si va senza fatica, la fatica del lavoro che dà frutto e che la rende gioiosa. Così è il viaggio della compagnia umana che da Genova va a Taranto, una compagnia umana con nomi e volti precisi (Giampiero, Manuela, Maria Rosa, Luca, Francesco e Terry) raccolti attorno all’arcivescovo, il cui sorriso accogliente accompagna la fatica delle giornate.
I lavori hanno inizio. Il messaggio del Santo Padre, letto dall’Arcivescovo Santoro, colpisce i partecipanti, perché la proposta di contenuti assume una forma comunicativa così evocativa da stupire. Il Papa sottolinea che “siamo chiamati a essere lievito che fa fermentare la pasta” e ancora “Per rialzarci dobbiamo convertirci a Dio e imparare il buon uso dei suoi doni, primo fra tutti il creato. Non manchi il coraggio della conversione ecologica, ma non manchi soprattutto l’ardore della conversione comunitaria”. Per questo prosegue “abbiamo bisogno di speranza… e camminare con audacia sulla strada della speranza, che possiamo immaginare contrassegnata da tre “cartelli”. Il primo di questi viene definito dal Papa” attenzione agli attraversamenti. Troppe persone incrociano le nostre esistenze mentre si trovano nella disperazione, non sappiamo chi, cosa incontreremo e tutto ci interpella, chiede il nostro interesse “La fantasia dello Spirito ci aiuti a non lasciare nulla di intentato perché le loro legittime speranze si realizzino”. Il secondo è il cartello “divieto di sosta – non possiamo fermarci, sulle strade del mondo tutto ci aspetta e ha bisogno che ci siamo Ci mette in moto come credenti e discepoli di Gesù in cammino per le strade del mondo, sull’esempio di Colui che è la via e ha percorso le nostre strade”.
Il terzo è “obbligo di svolta – Il cambiamento d’epoca che stiamo attraversando lo esige. Ci attende una profonda conversione che tocchi, prima ancora dell’ecologia ambientale, quella umana, l’ecologia del cuore.
Il richiamo all’ecologia integrale e la provocazione del “nuovo umanesimo fondato in Cristo” sono i due punti centrali dell’intervento del Cardinal Bassetti: questo modo nuovo e antico di porre la questione ecologica costituisce il nucleo di tutto il percorso. La continuità con le parole dell’introduzione ai lavori dell’Arcivescovo Santoro appare evidente, soprattutto laddove racconta di Taranto e della sua storia dolorosa. Ma è il suo richiamo al protagonismo come frutto di una visione diversa del ruolo di ognuno di noi a scaldare i cuori. Ed è quando richiama la necessità di “uno sguardo contemplativo che si traduce in fatti”, che si chiarisce il metodo su cui la Settimana è costruita. Nessuno sarà spettatore, pur restando nel pubblico ad ascoltare per gran parte del tempo. Cresce la consapevolezza che c’è in ballo qualcosa che ci riguarda.
Il programma è denso, incalzante, come se davvero troppa fosse la ricchezza da farci star dentro; riflessioni, tavole rotonde, interventi, dialoghi – interrotti solo dall’incontro dei partecipanti con le “buone pratiche” e dal momento dei lavori in gruppi – riempiono le quattro giornate, impossibile sintetizzare la ricchezza con la speranza di essere esauriente (inutile provarci). Vale la pena invece provare a riprendere due fili di questa trama complessa che si intrecciano. Il primo prezioso viene offerto come risposta alla domanda (quella con la D maiuscola): “Come si fa ad affrontare la crisi ecologica?” Occorre un pensiero pensante che si fondi sulla saggezza, che impari a formulare le domande a partire dalla passione per il senso della propria esistenza, rimettendo al centro i nostri desideri. C’entra l’ontologia, insomma. Anche per occuparsi delle questioni ambientaliste nelle loro dimensioni tecniche. E questo resta un punto forte della proposta di Taranto. Il secondo è il filo del metodo. Quello che segna i tre passi necessari: vedere (analizzare, studiare a partire dalla realtà per conoscere, produrre più conoscenza), interpretare (giudicare a partire da un valore) e scegliere (decidere, cioè incidere con responsabilità). Tutto il lavoro preliminare, tutti gli approfondimenti sulle quattro declinazioni (organizzazioni e imprese di ecologia integrale; rigenerazione urbana e comunità locali; educazione per il bene comune; sostenibilità e cittadinanza attiva nei territori) hanno avuto questa attenzione. Solo così si impara e si incide. Perché, come ha ricordato qualcuno, tutto passa attraverso l’educazione, ma “l’educazione per un atto di speranza che guarda al futuro”
I giovani sono stati al centro di alcuni momenti significativi: ben introdotti ed accompagnati da padre Occhetta e da suor Smerigli, va a loro il merito di aver contribuito a proporre un Manifesto, cui saremo invitati a guardare con attenzione particolare. Ancora parole segnano la giornata conclusiva. Sono parole importanti che tirate fuori dalla grande ricchezza vogliono come suggerire un’attenzione particolare: alleanza, come approccio alla relazione, a tutte le relazioni, da quelle personali a quelle istituzionali, che si modelli sulla reciprocità e sulla valorizzazione della capacità rigenerativa; buone pratiche, come segno di un cambiamento possibile perché praticato; conversione, come strada faticosa e quotidiana della radicalità del cambiamento come processo. Il momento finale è non a caso collocato sotto l’etichetta “prosecuzione”: non si tratta di concludere ma di continuare. Cantiere permanente lo definisce Santoro. “Essere noi il cambiamento che vogliamo”: per questo introduce quattro proposte, quattro “piste di conversione” tanto semplici quanto nette: 1) la costruzione di comunità energetiche, di luoghi in cui gruppi di cittadini e imprese diventino prosumer – cioè produttori e consumatori di energia insieme – perché attraverso lo specifico dell’energia si sviluppino e consolidino occasioni di relazioni comunitarie a tutto tondo; 2) la finanza sostenibile, che passa attraverso scelte di gestione del risparmio carbon free, 3) il consumo responsabile, che valorizzi le filiere produttive caporalato free che esistono e che debbono essere sostenute; 4) la proposta dell’alleanza contenuta nel Manifesto dei giovani, che è alleanza intergenerazionale e tra forze diverse di buona volontà, anche qui molti sono gli esempi di una concreta applicazione del principio di sussidiarietà. L’auspicio è che “possiamo veramente diventare un popolo in cammino in grado di aiutare il nostro paese nella delicata transizione ecologica, sociale e spirituale verso il bene comune”.
Teresina Torre