Mamma e papà. Finora in Italia non c’è stato bisogno di aggettivi per spiegare chi siano i genitori di un bambino. Unica eccezione è l’adozione, quando cioè quel padre e quella madre non ci sono più, e allora si cerca di dare ai bambini i genitori cui loro hanno diritto, cercando chi può prendere il posto del madre e del padre perduti o mai conosciuti. Ma con la sentenza di ieri la Consulta non si è limitata a stabilire l’illegittimità costituzionale di una norma di legge, cioè del divieto alla fecondazione eterologa contenuto nella legge 40: i giudici costituzionali – che non sono nuovi a iniziative del genere – si sono spinti molto oltre e hanno indicato alla società italiana un nuovo orizzonte antropologico, nel quale per spiegare chi sono i genitori serviranno gli aggettivi.
Con la fecondazione eterologa si distingueranno i genitori legali/sociali/intenzionali – quelli che hanno cercato il figlio mediante fecondazione in vitro – da quelli genetici/biologici/naturali/ – coloro che hanno ceduto i propri gameti (ovociti e spermatozoi) alla coppia. Ci saranno cioè una madre e/o un padre conosciuti e socialmente riconosciuti, quelli con cui il bambino crescerà, e un padre e/o una madre nascosti, quelli che hanno realmente contribuito con il loro seme a generare il bambino, che quindi sarà considerato figlio non di chi lo ha concepito, ma di chi ha manifestato l’intenzione di diventare genitore. Tutto programmato a tavolino, prima ancora del concepimento. Evidentemente la Consulta è certa che questa situazione sia coerente con la nostra Carta costituzionale, mentre la legge 40 – nella forma originale, dove si dava ai bambini nati con la fecondazione in vitro la certezza di crescere con chi li ha generati – secondo loro coerente non era. Alla discriminazione fra i bambini nati da fecondazione omologa – che cioè conosceranno i genitori naturali e vivranno con loro – o eterologa – cioè concepiti con gameti estranei alla coppia e che cresceranno lontano da almeno uno dei due genitori naturali – questi giudici non hanno dato importanza. Ma le certezze della Corte Costituzionale finiscono qui, indipendentemente dalle motivazioni che accompagneranno la sentenza, che per essere attuata dovrà attendere una intervento del Parlamento. Ci sarà bisogno, infatti, di una nuova legge che stabilisca se solo uno dei due genitori intenzionali può accedere all’eterologa o se entrambi possano farlo; bisognerà poi decidere se il bambino avrà il diritto o meno a conoscere i propri genitori naturali, ed eventualmente anche i parenti più stretti (sorelle, fratelli), e quale legame si potrà stabilire fra loro… Ci sarà bisogno di un registro come quello che già c’è in Gran Bretagna, che tenga conto dei nati da eterologa, per evitare che parenti stretti si uniscano a loro insaputa. Sarà poi necessario stabilire anche le modalità con cui organizzare le banche dei gameti: si sceglieranno anche in Italia, come avviene altrove, ovociti e spermatozoi su catalogo, in base alle caratteristiche fisiche, etniche o al grado di istruzione di chi li “offre”? E quella dei gameti sarà una “donazione” a tutti gli effetti, o si introdurranno le cosiddette “indennità” per i donatori, cioè forme di pagamento surrettizie, senza le quali è molto difficile che giovani donne si sottopongano a trattamenti ormonali pesanti e a un successivo intervento chirurgico per “regalare” i propri ovociti a estranee? E fino a quante volte si potranno “donare” i propri gameti? E si potranno “donare” gameti fra consanguinei (cioè madri e figlie, o sorelle, potranno scambiarsi gli ovociti, e padri e figli o fratelli il liquido seminale)? Il fatto è che l’eterologa non è una variante tecnica di una procedura di fecondazione in laboratorio, ma l’attuazione concreta di una nuova visione degli esseri umani e delle loro relazioni fondanti, dove l’oggettività dei rapporti fisici e delle reti parentali è letteralmente evaporata, soppiantata da “desideri” e “intenzioni”. Anche nel nostro Paese si affaccia purtroppo una società in cui persino il legame più profondo che gli esseri umani conoscono, quello fra una madre e suo figlio, viene frammentato, sminuzzato nelle sue componenti “genetiche”, “gestazionali” e “sociali”, e niente lo potrà sostituire nella sua pienezza. Certo non il «mercato della vita», lucrativo e gelidamente organizzato, che già stiamo vedendo crescere altrove. È su questo, e non su norme tecniche, che dovremo riflettere e confrontarci, nei prossimi mesi, nei luoghi del dibattito pubblico e nelle aule parlamentari: dobbiamo esserne consapevoli fin da ora.
Assuntina Morresi (Avvenire – 10 aprile 2014)