Nuova Ratio: il tema della formazione permanente del presbitero – il testo di Mons. Dianin

Proponiamo ai lettori de Il Cittadino la riflessione fatta alla presentazione della Nuova Ratio tenuta da Mons. Giampaolo Dianin, Visitatore apostolico dei Seminari. Segnalo in particolare la dimensione oramai assodata di “formazione permanente” del presbitero, quanto mai necessaria e che mai si esaurisce .

Don Fully Doragrossa, Rettore

1.IL QUADRO DI RIFERIMENTO: LA VOCAZIONE
Il primo paragrafo dell’introduzione condensa in poche righe il contenuto del mio intervento.
«Venite dietro a me vi farò diventare pescatori di uomini» (Mc 1,17). All’origine della formazione presbiterale sta la Parola di Dio che raggiunge il chiamato domandando di essere da lui accolta. Quando ciò avviene, la Parola comincia ad agire efficacemente in tutta la persona (“vi farò diventare”), rimanendo il fondamentale principio formativo verso una particolare configurazione a Cristo Signore, in unione d’amore, con la mediazione della Chiesa che riconosce, custodisce, accompagna l’opera di Dio.
C’è prima di tutto una Parola che raggiunge il chiamato e lo fa in tanti modi diversi, mi verrebbe da dire mai direttamente. La Parola raggiunge un giovane attraverso tanti segni che sono esperienze, incontri, testimoni, incroci della vita.
C’è qualcosa che colpisce il chiamato perché tutti questi segni dicono a lui qualcosa che ad altri, che hanno vissuto le stesse esperienze, non viene detto. La Parola si insinua delicatamente dentro le esperienze della vita.
Quella Parola contiene un invito: «Vieni dietro a me». Inizia così un cammino fatto di curiosità per capire, di inquietudine perché la domanda non si spegne e ritorna, fatto di ricerca, richiesta di aiuto e di accompagnamento, fino alla decisione di provare a mettersi in gioco.
Inizia così il discepolato, cioè la viva relazione con Gesù, che ha un inizio, ma non termina mai. Nell’ultima pagina del vangelo di Giovanni, quando Pietro vuole capire qualcosa sul futuro di Giovanni, Gesù è perentorio: «A te che importa, tu seguimi» (Gv 21,22).

Alla radice di ogni spiritualità presbiterale sta la relazione con il Signore risorto che marchia a fuoco l’esistenza e la conforma alla sua (Gv 20,27-28; 21,15-19). È il rapporto con Lui a custodire il presbitero e a costituire il cuore della sua formazione (9).
La Ratio divide le tappe (propedeutica, discepolare, configuratrice, sintesi pastorale) per darci degli obiettivi formativi sui quali operare come priorità, ma nessuna tappa termina per lasciare spazio ad un’altra.

“Camminare” per un presbitero significherà porre la propria fiducia in Colui che lo ha chiamato a lasciare la propria casa, a muovere i primi passi interpellato da una Parola che ha ridestato il suo cuore aprendolo alla speranza, sentendosi portatore di una benedizione che diventerà feconda per molti altri (Gen 12,1-4). Tale fiducia non è richiesta solo nel primo atto del cammino, nel momento della vocazione giovanile, ma rappresenta il fondamento e la ragione di ogni passo che, anche per il presbitero, si declina in una duplice prospettiva: egli cammina come discepolo, seguendo il Signore in un percorso di conversione permanente, e come missionario, andando incontro agli uomini e alle donne destinatari dell’annuncio che gli è stato affidato (9).
Quando quella Parola trova una porta che si apre nel cuore di un giovane e questo giovane comincia a mettersi in moto dietro a Gesù, comincia ad agire in modo efficace: «Ti farò diventare pescatore di uomini». Ad operare è Gesù, è lo Spirito, in quella tappa che chiamiamo configuratrice. È il cuore della formazione: lavorare per dare a un giovane discepolo la forma di Cristo pastore.

Nel paragrafo dell’introduzione vengono scandite tre affermazioni puntuali sulla configurazione: 1) si parla di una “particolare configurazione” perché ogni battezzato è chiamato ad essere discepolo ma anche sacerdote, re e profeta; quella del prete è una particolare configurazione. 2) Si dice “in unione d’amore”; dobbiamo puntare alto perché quella del prete è una scelta d’amore, una vocazione sponsale, verso Dio e verso i fratelli. 3) Infine si dice: “Con la mediazione della Chiesa che riconosce, custodisce, accompagna l’opera di Dio”. Anche qui le parole sono pesate e definiscono il compito di un educatore: riconoscere la chiamata, custodirla – e qui ritrovo il senso del Seminario – accompagnare l’opera di Dio, cioè non sostituirsi al primo formatore che è lo Spirito, né pensare che un prete sia opera nostra; noi accompagniamo l’opera di Dio.
E quando arriva il giorno dell’ordinazione, dopo che abbiamo fatto tanto e ci sembra di aver verificato tutto quanto era nelle nostre possibilità, quel giovane è steso a terra come in balia dello Spirito e noi ci mettiamo in silenzio e lasciamo che Dio operi e che faccia diventare quel discepolo un pastore.
L’imposizione delle mani e la preghiera di ordinazione aprono una pagina nuova che chiede ancora tanto lavoro ed è quello della formazione continua, di un discepolato costante e di una configurazione mai terminata questa volta a partire dalla vita e accompagnata ancora dalla Chiesa e dai suoi educatori.
La Ratio parla del seminario come “formazione iniziale” e della vita del prete come “formazione permanente” (8). Ogni rettore sa bene che dal seminario non escono prodotti compiuti ma questa definizione del seminario come formazione iniziale dice una verità che rasserena noi e impegna il presbiterio e il cammino successivo che deve essere altrettanto strutturato come lo è un seminario.

Il tema della formazione permanente non è collocato come capitolo finale della Ratio ma è all’interno stesso del testo. Continuamente si passa dall’iniziale alla permanente mostrando un legame forte e inscindibile.

Giampaolo Dianin
Vescovo di Chioggia
e visitatore dei seminari