Una ‘cultura del prendersi cura’: intervista a Don Matteo Pescetto

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In vista dell’ appuntamento organizzato dall’Ufficio Cultura diocesano a Palazzo Ducale di “Incontro alla Città” di mercoledì 19 aprile sul tema ‘La cura fraterna dell’altro “Bello e dolce è che i fratelli vivano insieme (Sal 133,1)’ che vedrà la presenza del Cardinale Gianfranco Ravasi, biblista e teologo, già Presidente del Pontificio consiglio della cultura, abbiamo voluto approfondire l’aspetto della ‘cultura del prendersi cura’ insieme con Don Matteo Pescetto, Coordinatore dell’Ufficio diocesano per la pastorale della salute, disabilità, terza età.

Don Matteo, la cura è un atto culturale e non esiste vita senza cura. Eppure, spesso nella pratica è continuamente svilita: i medici prescrivono terapie, gli infermieri le somministrano… come si può tenere lo sguardo di attenzione sulla persona, creare – nel caso dei medici – una relazione vera con il paziente che dovrebbe essere il primo gesto di cura?

Salute, disabilità e anziani fanno oggi parte di quella cultura dello scarto di cui spesso parla il Papa e che . purtroppo ha larga parte nella mentalità generale di oggi, ammalata di efficientismo e incapace di guardarsi indietro come ricevuta in dono da chi ci ha preceduti in questa vita, ed ancor più incapace di sollevare lo sguardo al Cielo per guardare più lontano, oltre la contingenza di questo mondo terreno che passa. Se di cultura parliamo, credo che anzitutto sia necessario porsi proprio questa domanda: gli anziani e i malati, di cui siamo chiamati a prenderci cura come famiglie e poi come comunità umana e cristiana, chi sono? Non sono forse la generazione che ci ha donato la vita? I Nonni! I genitori anziani, che ci hanno chiamato alla vita per amore e che si sono presi cura di noi…dobbiamo domandarci perché dobbiamo prenderci cura di loro?! Per gratitudine, per amore riconoscente? Non voglio essere polemico, ma una società che si domanda perché e come prendersi cura degli anziani, è una società destinata all’estinzione, perché incapace di riconoscere le radici…secca e muore. A questo segue il “come” saper curare la persona. Gli antichi ci hanno consegnato la regola d’oro della vita sociale: “fare agli altri quello che vorremmo fosse fatto a noi”, ripreso poi da Gesù e portato a perfezione con la legge nuova del Vangelo: “amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi”. La legge della reciprocità, così piena di buon senso e umanità sembra quasi passata di moda, come se ci dimenticassimo che un giorno potrebbe capitare a noi… La malattia, come la vecchiaia sono realtà della vita quotidiana che richiedono di essere anzitutto accolte nel loro valore umano e poi cristiano: San Lorenzo le definì i tesori della Chiesa dinanzi all’Imperatore Valeriano! sono la carne sofferente del Signore affidata alle nostre cure.Detto questo, non credo che si debba scaricare su medici o infermieri la responsabilità di certa mancanze, tenendo conto che la carenza di personale e relativi turni massacranti non permettono spesso un rapporto umano. Con tante belle eccezioni, che constato spesso all’ospedale, visitando i malati, che mi parlano sempre bene del rapporto umano… Io stesso ho ricordi meravigliosi degli anni al Gaslini, per i vari interventi alle braccia. Era una vera famiglia.

Chi sono oggi le persone capaci di importanti gesti di cura?

Per rispondere a questa domanda vorrei rimandare alla mia personale esperienza, rispondendo che è capace di importanti gesti di cura chi è stato oggetto di cura, chi nella malattia ha imparato la preziosità del dolore e della sofferenza e quanto la vicinanza e l’amore posso fare al pari e anche più delle medicine. Quindi vorrei dire che ogni cristiano, del quale Dio stesso si prende cura con infinito amore, fino a dare il Suo Figlio Unigenito crocifisso è, in virtù della fede e della carità chiamato a farsi prossimo. Certo poi ci sono “scuole” come i pellegrinaggi a Lourdes con le nostre associazioni (Ordine di Malta, OFTAL e UNITALSI), dove si tocca con mano che il malato e l’anziano come il disabile posso essere e sono di fatto al centro delle giornate trascorse sotto lo sguardo di Maria.

Il Papa, nel messaggio per la XXX Giornata Mondiale del Malato, ha sottolineato che è necessario superare la cultura dello scarto e della mera assistenza, e che occorre ritornare ad una visione cristiana del dolore, che unita all’offerta del Cristo sulla Croce è dono prezioso per tutto il Corpo Mistico; come la malattia può essere vista come tempo di grazia anche per chi si prende cura di un malato?

Oggi credo che la prima urgenza sia ridire al mondo che Gesù ci ha salvato offrendo al Padre il dolore di ogni uomo e di ogni tempo – di cui si è fatto carico con l’incarnazione fin dal primo istante del suo concepimento nel grembo verginale di Maria in forza della Sua umanità – sull’altare della Croce, il Mistero di infinito amore che celebriamo in questi giorni santissimi di Passione Morte e Risurrezione del Signore. Questa è la dignità infinita del dolore di ciascuno. E va annunciato ai nostri cari ammalati anziani e disabili, perché, come mi insegnò l’allora padre spirituale del seminario, alla vigilia del mio primo ricovero per allungare le braccia nel luglio del 1996, “il Signore, caro Matteo, mette nelle tue mani, anzi, nelle tue braccia un tesoro di grazia! Accetta tutto e tutto offri per te e il tuo sacerdozio, per i tuoi compagni e il loro sacerdozio e per tutti coloro che incontrerai nella tua vita sacerdotale”. Subito non compresi molto cosa volesse dire… Ma quando poi lo feci, la grazia dello Spirito Santo illuminò mente e cuore e da allora, come mi ripeteva poi spesso il nonno medico, “so cosa farne delle mie sofferenze”, che siano fisiche, morali o spirituali. Da allora invito sempre i malati chi incontro ad offrire tutto soprattutto per le vocazioni sacerdotali – intenzione che Gesù stesso ha affidato alla nostra preghiera – ed è per questo che come ufficio si è voluto preparare per tutte le realtà, ospedaliere, RSA, parrocchie e famiglie, un’immaginetta con la Grotta di Lourdes e la preghiera per le vocazioni, da affidare a tutti i nostri malati, anziani e disabili. Il dolore e la malattia, uniti all’offerta di Gesù sulla croce, sono il tesoro più prezioso che abbiamo!

Nella S. Messa per la Giornata del Malato che è stata celebrata recentemente in Cattedrale, l’Arcivescovo nell’omelia ha rimarcato il senso di gratitudine che occorre avere per chi opera per la salute e per la ricerca, per i volontari, e soprattutto ha ringraziato i sacerdoti che svolgono servizio agli ammalati negli ospedali e nelle case di cura. Quanti sono i sacerdoti nella nostra Diocesi che svolgono questo ruolo e perché è importante la loro presenza?

Quanti sono i sacerdoti che si occupano dei malati? Credo e spero di poter dire tutti! Perché uno dei grandi errori di oggi, di questa cultura della scarto, è di pensare esattamente questo: dei malati si occupano i cappellani ospedalieri. Negli ospedali si è di passaggio, e certamente i cappellani, tra i quali spiccano i tre Camilliani al Galliera insieme al nostro don Andrea Fasciolo e al sottoscritto, più i padri Cappuccini, quattro a San Martino e due al Gaslini, svolgono un compito stupendo insieme alle suore e ai volontari che, speriamo, possano tornare sempre più numerosi. Ma i malati sono nelle case e ogni parroco li visita, ai diaconi – quando si ha la grazia di averli – insieme ai ministri straordinari della Comunione. La vera pastorale della salute è lì, nelle nostre case e nell’impegno che ogni cristiano riscopra la preziosità del dolore e del prendersi cura dichi soffre.

a cura di Michela De Leo