La predestinata
Caterina da Genova nacque nella primavera del 1447.
La nobilissima casa Fieschi, funestata da poco con la morte del padre Giacomo, veniva allietata dalla nascita di questa bambina, che doveva darle la gloria indistruttibile dell’eroismo cristiano.
L’infanzia di Caterina fu infatti un magnifico preludio alla sua vita di santità. Appena quattrenne si dilettava della preghiera, e fu sorpresa più volte in ginocchio sul pavimento a contemplare, meditando, un bel quadro della Pietà che ornava la sua camera. Cristo dolorante fu quindi il suo libro prediletto, nel quale seppe leggere i misteri della vita e dell’amore per cui rifuggiva dal lusso, dalle raffinatezze, dagli agi proprii della sua casa, e sentiva imperioso il bisogno di unirsi, nella sofferenza, al suo Signore. Eccola perciò vivere appartata, schiva dei divertimenti, amante della penitenza al punto di dormire sulla paglia e riposare il capo delicato sopra un duro legno. Ma ciò non le basta. Essa anela ad un’ unione più intima con Dio, e sogna di raggiungere la sorella Limbania, monaca nel monastero di S. Maria delle Grazie.
A tredici anni Caterinetta manifesta il suo desiderio ardente, ma trova forte e decisa opposizione e piega serena il capo alla volontà del Signore.
Nella tormenta
Il calcolo finanziario e politico aveva fissato lo sguardo su Caterinetta, e coronò il suo sacrificio. La mamma, Francesca Di Negro, cedendo forse alle insistenze dei fratelli, che miravano ad accrescere la potenza del casato e a rafforzarne il prestigio, risolvette di darla in sposa a Giuliano Adorno. Così, a sedici anni, la mistica colomba cade negli artigli dell’avvoltoio. Tale infatti può definirsi Giuliano, il quale rotto al vizio ed ai divertimenti, non comprese e disprezzò la virtù della sposa. Per cinque anni Caterina visse desolata nella solitudine d’ una casa dove l’amore era muto e la virtù derisa, finché cedette alle lusinghe dei parenti, e cercò la gioia nei passatempi e nella vita frivola dell’aristocrazia.
Fu un’ illusione. Le delizie del mondo crebbero il travaglio del suo spirito, ed Ella non ebbe più pace. Recatasi infine, per consiglio della sorella Limbania, ai piedi d’ un confessore, fu talmente presa dalla grazia divina che, senza profferir parola, quasi fuori di sé, tornò a casa trasfigurata. E nella camera solitaria, mentre sfogava in dirotto pianto la piena del suo cuore, Le apparve Gesù, carico della croce, tutto grondante di sangue. A tal vista Caterina, oppressa da dolore indicibile, si pose a gridare ad alta voce: Amore! Non più, non più peccati!
La penitente
In quel grido di dolore e d’ amore si celava l’addio solenne della debolezza della carne e la decisione irrevocabile di percorrere senza posa la strada della virtù. E cominciò l’espiazione, nel pianto e nell’esercizio di una rigorosa penitenza. Negò ai sensi ogni lecito piacere, afflisse il corpo con veglie prolungate, tormentando con spine il breve riposo. Fu allora pure che Caterina cominciò il suo stretto digiuno, come Cristo nel deserto, passando l’intera Quaresima senza prendere cibo di sorta, contenta del Pane degli Angeli, che riceveva ogni giorno nella S. Comunione.
Santa costumanza che ha del miracolo e che la Fieschi mantenne per tutta la vita estendendola anche all’ Avvento. Eppure non aveva che 26 anni, e il mondo e la sua condizione erano per Lei pieni ancora di mille attrattive. Ma Caterina tutto disprezzò, appagata dal suo Dio Crocifisso, intenta a mortificare con il corpo lo spirito, attenta a scoprire le sue passioni e inclinazioni per rintuzzarle e vincerle. Non dobbiamo quindi meravigliarci se, dopo 4 anni di lotta continua, Caterina riportò completa vittoria su se stessa. In un terreno così sgombro crebbe e ingigantì il divino Amore, che doveva essere l’artefice della sua futura grandezza, come già era il termine ultimo d’ ogni sua aspirazione.
La nuova via
È storicamente accertato che la Santa leggeva con predilezione e commentava mirabilmente le Laudi del francescano Jacopone. L’impeto lirico del poeta umbro, così ricco di sentimento mistico, tutto ardore e fuoco, si confaceva all’anima della Santa; la quale tuttavia non si arrestò a Jacopone, ma mirò più in alto, fissando lo sguardo in Francesco, che prese a modello e protettore. La povertà lieta e piena del Poverello, la sua semplicità, il suo appassionato amore per il Crocifisso, avevano già conquistato il suo cuore, sitibondo di rinuncia e caldo d’ amore. Volle quindi essere figlia e seguace del Serafino di Assisi, e si ascrisse al Terzodine. La gloriosa divisa del Terziario figura tra gli oggetti inventariati dopo la sua beata morte; ma Ella non aveva badato tanto alla veste quanto allo spirito! Amò S. Francesco, e si studiò di imitarlo, di divenir parte viva del grandioso e provvidenziale movimento da Lui suscitato. La storia ci dice che Caterina riuscì nell’intento tanto da meritare il titolo di Serafina. Serafina nell’ardore consuma il suo cuore e, nello stesso tempo, La rende instancabile nell’azione.
Come Francesco, la Fieschi sentirà infatti di dover lavorare per l’estensione del regno di Dio, come Lui proverà il bisogno di sacrificarsi per il prossimo, di andare incontro premurosa e sorridente alle umane sventure.
Le prime prove
Ed eccola così, sotto la guida del divino Amore, iniziare la sua attività benefica. L’amore suo sentiva il bisogno di espandersi, e i poveri, gli infermi divennero quindi per lei oggetto di meditazione e di cure veramente materne. In essi i suoi occhi intravedevano Gesù sofferente, in essi Caterina aveva un’ occasione propizia per dare al suo amore uno sfogo e porgere alla sua sete di sacrificio una coppa ricolma di amarezza.
Iscrittasi fra le Dame della Misericordia, nella pienezza della vita e della bellezza, salì premurosa nelle stamberghe dei reietti della fortuna. Tutto le si opponeva: la condizione, l’educazione, la natura; ma la volontà sua, sorretta da una forza prodigiosa, trionfava sulle esigenze umane. Come Francesco di fronte al lebbroso, dopo un subitaneo sgomento, Caterina seppe dominare le riluttanze per divenire l’umile ancella dei malati più ripugnanti, fino a baciarne le piaghe cancerose.
E il suo apostolato non si arrestò fra i muri anneriti dei suoi prediletti. Genova assistette meravigliata allo spettacolo edificante di questa figlia dei Fieschi, impalmata agli Adorno, che si aggirava frettolosa per le vie, sospinta dal desiderio ardente di soffrire e da un crescente entusiasmo di carità. Era la predica dell’esempio che il Poverello d’ Assisi aveva raccomandato ai suoi figli, e che Caterina inconsciamente ripeteva portando attorno il profumo delle sue belle virtù!
Negli ardori della carità
Ma la sua brama di dedizione non era appagata.
La virtù di Caterina aveva già trionfato sul marito, il quale, convertitosi a Dio, si era iscritto come Lei nel Terzordine di S. Francesco. Non le sarà quindi difficile indurlo ad abbandonare la ricca casa di via Lomellini per trasferirsi nelle vicinanze di Pammatone, e poi nell’ Ospedale stesso. La regina dell’amore è ormai nel suo regno! Per oltre trent’ anni le corsie dell’ Ospedale vedranno questa nobile donna, che ha fatta sua la casa del dolore, aggirarsi frettolosa fra i sofferenti, avvicinare i malati più ripugnanti, portare a tutti il sollievo della sua parola soave, il conforto delle sue cure amorose. Eletta Rettora (1489), Caterina deve sobbarcarsi le fatiche dell’amministrazione, che richiedeva una continua sorveglianza ed il governo del personale di servizio. Ella è presente a tutto. Iddio sostiene la sua sorprendente attività e la sua virtù eroica; ormai la Fieschi non vive che di Dio nell’entusiasmo di una carità miracolosa.
Nel bacio affettuoso ad una povera morente di peste abbiamo il fiore delizioso dell’ardente amore della Santa, che si eleva alle più alte vette dell’eroismo cristiano.
La fonte inesausta
Una vita così santamente operosa aveva il suo segreto nel Sacramento dell’ Altare. Caterina ogni giorno si accostava alla S. Comunione, ed era tale l’ardore che la sospingeva verso l’ Eucaristia, che il solo pensiero di restarne priva le procurava pene di morte. Una volta infatti credette in sogno di non potersi comunicare e ne provò così forte dolore, che, svegliatasi, trovò i guanciali molli di lagrime. Quando poi Genova fu colpita da interdetto, Caterina, non curante del disagio, di buon mattino si recava al Santuario del Monte per ascoltare la S. Messa e cibarsi del Pane angelico.
Gesù Eucaristico formava la sua forza, il suo conforto, la sua gioia, la sua vita. Era l’alimento che sostentava miracolosamente il suo fragile corpo, e dava al suo spirito ali e vigore per elevarsi all’unione con Dio.
È impossibile descrivere ciò che passava nell’anima sua all’avvicinarsi della Comunione. Il più delle volte, rapita in estasi, pregustava le gioie del Paradiso e poi, tornata in sensi, esclamava: O Signore, mi pare che se fossi morta, per riceverti risusciterei! Bella espressione, piena di ardimento, che ci svela quale fiamma avvampasse nel suo petto e quale attrattiva irresistibile la attirasse al Pane della vita!
Preludi di Paradiso
Come S. Francesco piangeva di sovente perché l’Amore non era amato, così S. Caterina si lamentava e gemeva pensando che vi fosse tra gli uomini chi non amava il suo Dio; come il Serafico, Lei pure parlava alle creature minori invitandole ad amare e benedire il Creatore. La sua vita si svolgeva tutta quanta in Dio e per Dio. Nonostante le sue pressanti occupazioni, la sua mente e tanto più il suo cuore erano continuamente assorti in Lui.
E Dio scendeva a Lei, fatta pura nella penitenza e serafina nell’ardore. I biografi ci dicono che più volte Gesù ferì il cuore della Fieschi con dardi infuocati, che facevano illanguidire e martoriavano la sua povera umanità, ma davano allo spirito una soavità inesprimibile, e aumentavano a dismisura la forza di amare. Preludio di paradiso la vita di questa grande eroina, che a volte gemeva di trovarsi incarcerata nel corpo, ed elevava alla morte il suo canto d’ invocazione: Morte dolce, soave, graziosa, bella, forte, ricca, degna… Ti trovo, morte, un solo difetto: che sei troppo avara a chi ti brama e troppo presta a chi ti fugge. Preludio di paradiso la vita di questa appassionata amante, che, come inabissata nell’oceano infinito d’ Amore, Iddio, poteva dire: Se cadesse nell’inferno una scintilla di quello che sente questo cuore, diventerebbe vita eterna!
La maestra di spirito
Caterina però, non fu soltanto un’ estatica, una contemplativa. Abbiamo visto quale sorprendente attività svolgesse a favore del prossimo nella cura degli infermi e nella direzione dell’ Ospedale.
A questa scuola insigne, fatta con la dimostrazione e la prova luminosa dell’esempio, unì il magistero della parola. Molte anime buone, che seguivano da vicino il progresso meraviglioso della Santa, desideravano avere da Lei luce e direzione nella via del Signore. Da qui i convegni spirituali di Pammatone, nei quali Caterina effondeva, in preziosi ammaestramenti, la piena dell’amore che le cantava nel cuore e il tesoro sovrumano della sua mistica esperienza.
Piccola scuola serafica, informata allo spirito del Poverello d’ Assisi, che ebbe in Caterina Fieschi, umile donna, una maestra impareggiabile di quella scienza che non si apprende sui libri ma si attinge alla fonte inesauribile del sapere: Dio. Ettore Vernazza, la figlia Ven. Battistina, la Ven. Tommasina Fieschi, P. Domenico da Ponzo dei Minori, il Marabotto sono i nomi dei discepoli della Santa che ci tramanda la Storia.
Pochi nomi che bastano però a farci intravedere i frutti copiosi del magistero di S. Caterina nel campo della perfezione e della carità cristiana.
La dottoressa
Per buona fortuna la dottrina di S. Caterina non restò riservata ai soli discepoli. Furono anzi essi stessi che si curarono di raccogliere i suoi sublimi insegnamenti e di tramandarli ai posteri.
Abbiamo così il Dialogo Spirituale ed il Trattato del Purgatorio, due operette non prive di pregi letterari e ricche di grande valore spirituale. Il Dialogo Spirituale è l’autobiografia della Santa, scritta nella forma più vivace e drammatica, ed è un mirabile trattato di ascetica. Un viaggio simbolico nel quale vengono fuori le sue cadute, le lotte, gli ardimenti, le vittorie; l’umanità sua che si annichila mentre l’anima si protende verso il divino e, giunta all’unione, eleva un infocato inno all’ Amore. Con il Trattato del Purgatorio la Santa spinge arditamente il suo sguardo nel mondo degli spiriti. Essa ci parla, con linguaggio di cielo, della spontaneità e della terribilità delle pene che purificano le anime; additando nell’ Amore l’artefice divino, il quale prepara così i giusti alle gioie immortali. Pagine dense di profonda scienza teologica, che riscossero l’ammirazione dei dotti, e meritarono alla Fieschi il titolo di Dottoressa del Purgatorio.
Tramonto luminoso
Le estasi e le frequenti visioni dalle quali Caterina attingeva la sapienza divina davano all’anima sua gaudii indicibili, ma le causavano pure tali sofferenze che le pareva di avere il corpo nel Purgatorio.
La Fieschi usciva infatti dai colloqui con Dio con un corpo così languido e sfinito che sembrava un miracolo che continuasse a vivere. Era l’ Amore divino che affinava il suo spirito e lo preparava alla gloria del Cielo. Il bozzolo doveva ormai spezzarsi per lasciar libera l’angelica farfalla! Una misteriosa malattia assalì in ultimo Caterina; la scienza umana si dichiarò impotente a spiegarne la causa e non seppe suggerire cura alcuna.
La Santa, serena e tranquilla, lasciava che il suo Dio compisse in lei l’opera sua, non cessando di esortare i presenti al disprezzo del mondo, alla fuga dal peccato, all’esercizio della virtù. Il fuoco divino si impossessava intanto sempre più dell’anima sua con una veemenza tale che struggeva il corpo, il quale sembrava emettesse vampe di fuoco. Fu allora che la Fieschi uscì in accenti così sublimi e ardenti sull’amore di Dio da rapire i presenti. Ultimi bagliori di questo sole di santità che, circonfuso di luce, calava al tramonto della vita terrena. Nelle prime ore del 15 settembre 1510 Caterina, additando il cielo, volava all’amplesso del suo Amore. Aveva 63 anni, dei quali ben 33 passati nelle corsie dell’ Ospedale.
Il miracolo permanente
Il beato transito di Caterina segnò l’inizio della sua glorificazione. Il popolo accorse a venerare il suo corpo esposto nella chiesa dell’ Ospedale, e molti ottennero per intercessione della Santa grazie segnalate. Venerazione che aumentò ancora quando, ad un anno e mezzo dalla sepoltura, fu ritrovato il corpo intatto, morbido, motivo per cui si dovette chiuderlo in una cappella per sottrarlo alla indiscrezione dei devoti.
La fama della santità di Caterina andava intanto estendendosi in Italia e fuori.
La Repubblica di Genova la elesse sua speciale Protettrice, i dotti ammirarono la sua celeste dottrina, tutti s’ inchinarono riverenti dinanzi alle sue eroiche virtù.
Finalmente la Chiesa confermò con il suo infallibile giudizio l’universale consenso. Il Papa Clemente XII nel 1737 ascriveva Caterina nell’albo dei Santi. Ed il suo culto si mantenne sempre in una ammirabile freschezza.
La quinta domenica di Pasqua, festa di S. Caterina, attorno alla Sacra Urna nella chiesa che a Lei è intitolata si accalca il popolo genovese, sempre fiero della sua Santa; ma ogni giorno qualche pellegrino sale la scala che conduce alla devota urna. Il pellegrinaggio è permanente, come il miracolo del suo corpo che da oltre quattro secoli sfida l’azione edace del tempo, ed è universale perché davanti a Lei, umile e grande, s’ inginocchiano ammirati e riverenti uomini d’ ogni Nazione.
Padre Valeriano da Finalmarina