Il convegno nazionale di pastorale giovanile si è concluso nella mattinata di giovedì in uno dei cuori sociali e culturali di Genova, Palazzo Ducale. A tirare le conclusioni di queste giornate di approfondimento è don Michele Falabretti, responsabile nazionale di pastorale giovanile che, non potendo essere presente, si rivolge ai convegnisti tramite un videomessaggio dall'ospedale dove si trova per delle impegnative cure.
La sua è stata una testimonianza molto forte che ha commosso; don Michele ha raccontato a tutti quanto sia stato faticoso seguire i lavori del convegno da lontano, ma ha anche mostrato una forza disarmante, frutto della sua fede, ringraziando tutti per la sua vicinanza e chiedendo di continuare a pregare per lui: “Sono un privilegiato – ha detto don Michele – per tutto l'affetto che sento in questo momento così delicato della mia vita e per le tante preghiere per la mia salute: penso ai tanti che si trovano in condizioni fisiche difficili e non hanno nessuno che preghi per loro e così chiedo al Signore di 'trasferire' a loro una parte di questo patrimonio di amore che mi è stato donato”. Don Michele ha offerto alcuni punti riassuntivi; prima di tutto, l'impossibilità di uniformare la pastorale giovanile di fronte alle tante realtà territoriali così diverse e variegate: “Ci vogliono risposte specifiche e complesse, diverse per ogni territorio. Il sottotitolo del convegno parla proprio di direzioni della cura educativa, significa che non ne esiste una sola. Se non porteremo a casa, con la volontà di rileggerle, le tante cose belle che abbiamo ascoltato in questi giorni, rimarranno discorsi senza fine. L'obiettivo del convegno è aprire pensieri e desideri e far scattare la voglia di cercare strade sempre nuove.”.
Ma é nel risveglio della passione educativa che don Falabretti ha indicato uno degli impegni centrali del dopo convegno.
La necessità di rimettere al centro l'educazione, senza troppi fronzoli, è più che mai evidente e lo hanno dimostrato anche i dati statistici illustrati dal dott. Pagnoncelli; dati che non fanno certo piacere: il sacerdote non viene più percepito come un punto di riferimento educativo e in qualche modo è necessario rimboccarsi le maniche e capirne le motivazione, per trovare soluzioni concrete. Don Michele su questo aspetto è stato molto chiaro, non ha cercato inutili giustificazioni: “Questo dato potrebbe essere il frutto di una pastorale giovanile che per vent'anni è esplosa in mille forme, ma forse non ha avuto il coraggio di fermarsi proprio sul tema della passione educativa.
In uno sforzo enorme di attività a livello di pastorale giovanile, ci si è concentrati troppo sul fare, si è pensato che bastasse radunare i giovani, far festa con loro, offrire occasioni di protagonismo e così ci si è messi meno in gioco.
Se i giovani dicono che il prete non è più tanto significativo, non possiamo mettere la testa sotto la sabbia, ma tornare a chiederci chi è l'uomo e chi è il giovane”. In che modo, nel solco indicato da don Michele si può lavorare dopo la conclusione del convegno? Anche in questo caso il responsabile nazionale di pastorale giovanile, successore del genovese don Nicolò Anselmi, ha indicato alcuni passi molto pratici: lavorare nelle consulte diocesane e regionali, recuperando i testi e gli interventi del convegno (reperibili tutti sul sito www.chiesacattolica.it/giovani) e provando a metterli in collegamento con la singola realtà territoriale. Un impegno che potrebbe coprire i prossimi mesi cui far seguire un lavoro di verifica: “Il convegno deve essere uno strumento di lavoro nelle vostre mani, cari giovani – ha detto don Michele – e la mia idea, se le cure proseguranno in modo positivo come mi hanno indicato i medici, potermi nuovamente muovermi e venirvi a trovare nelle varie consulte sparse in tutta Italia. In queste prossime settimane avrò parecchio tempo per leggere e riflettere quindi attendo anche le vostre mail!”.
Laura Ferrero