Domenica 20 aprile in Cattedrale il Cardinale Arcivescovo ha presieduto la solenne Messa pontificale in occasione della S. Pasqua.
Riportiamo di seguito il testo integrale dell'Omelia:
Cari Fratelli e Sorelle nel Signore
“Noi siamo testimoni di tutte le cose da Lui compiute nella regione dei Giudei e in Gerusalemme”. Sono queste le parole di Pietro davanti al popolo: essere testimone di Gesù è ormai la vita di Pietro. Egli parla al plurale perché non parla solo di sé ma degli Apostoli: a loro il Risorto si è manifestato ripetutamente perché lo annunciassero fino ai confini della terra.
1. Cari Amici, la nostra fede in Cristo dipende da loro, dalla loro testimonianza fino alla persecuzione e alla morte. Si può perdere la vita per una bugia? Per una favola? Per un dubbio? Che cosa hanno guadagnato? Onori, ricchezze, privilegi? No: derisione, persecuzione e martirio. Ecco perché diciamo che la nostra fede è “apostolica”: essa si fonda sulla fede dei Dodici, gli unici che hanno vissuto con Lui, che hanno mangiato con Lui; che ne hanno ascoltato la voce nelle serate di famiglia, ne hanno scrutato il volto nella gioia e nella sofferenza, ne hanno visto l’intimità con il Padre nella preghiera, l’abbandono a Lui sulla croce. Per anni hanno intravisto il mistero di un uomo che diceva parole di luce, parole che il cuore desidera ascoltare perché il mistero della vita si rischiari. Anche questa corrispondenza con le attese più profonde e universali rende evidente la fede. Gli Apostoli hanno sentito il calore del suo sguardo che penetrava le loro anime, e che riconciliava con Dio e con se stessi; hanno visto una pazienza che solo un Dio poteva avere. Per questo, ascoltare la loro parola nelle Scritture significa sentire l’eco di Cristo, intravedere il suo volto che affascina e trasforma. C’è bisogno, nel nostro tempo, di riscoprire la virtù della testimonianza e di accoglierla con semplicità di spirito. Il mondo pretende la testimonianza dei cristiani, cioè una vita coerente con quanto credono: ed è giusto! Ma quando la trova, l’apprezza e l’accoglie? Oppure guarda con occhio sufficiente e scettico? A volte, comincia con distinguo sofisticati e astratti perché non è disposto a lasciarsi misurare dalla verità.
2. L’Apostolo Pietro continua nel suo discorso e conclude: “chiunque crede in Lui riceve il perdono dei peccati per mezzo del suo nome”. Gesù si è caricato dei peccati del mondo e li ha bruciati nel fuoco della croce: essere perdonati! Sentiamo il bisogno di essere perdonati? Riconosciamo di essere peccatori? La mentalità corrente ha perso il senso del peccato, ritiene che ogni scelta individuale è buona se è libera e responsabile. Ma basta la libertà perché un atto sia buono e giusto? Basta che la scienza metta in grado di fare qualcosa perché qualcosa sia bene? E’ dunque la fattibilità tecnica il criterio della moralità? Se così fosse saremmo sulla via della barbarie, dove le persone diventano oggetto di manipolazione, la vita umana materiale di ricerca, naturalmente in mano ai più forti. Il perdono, che Gesù risorto ci porta, illumina la nostra coscienza che rischia di diventare una coscienza tombale, oscura perché piegata su se stessa e chiusa al primato della verità e del bene. Anche la coscienza collettiva, la coscienza di un popolo, ha bisogno di perdono e di luce. Vediamo che essa dimentica presto le tragedie della storia e si volge verso vie che sembrano nuove per le forme, ma che sono vecchie quanto l’uomo nella sua perenne lotta tra il bene e il male, tra la regressione e il vero progresso. Che le parole di Pietro – “chiunque crede in Lui riceve il perdono dei peccati” – ci commuovano e ci facciano sussultare di gioia: essere perdonati ci strappa dalle nostre tombe interiori e ci riempie di luce. E l’uomo è fatto per la luce, per danzare libero e leggero nella luce. Gesù è la luce del mondo: non lasciamo che si oscuri nelle nostre anime e nella società.
Angelo Card. Bagnasco Arcivescovo di Genova