Mons. Piero Pigollo tornato a Genova racconta la sua esperienza come missionario a Cuba

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Da poche settimane Mons. Piero Pigollo è tornato a Genova dopo aver trascorso quattro anni nella missione interdiocesana a Cuba.
Ha preso il suo posto don Paolo Benvenuto, inviato come fidei donum.
A Cuba sono presenti le Diocesi di Genova, Chiavari e Savona, che aprirono la missione nella Diocesi di Santa Clara.
Qualche giorno fa, don Piero è venuto a salutare la redazione de Il Cittadino, con la quale in questi anni di esperienza missionaria si è sempre tenuto in contatto.
Gli abbiamo posto alcune domande per sentire dalla sua testimonianza come trascorre la vita a Cuba e per farci raccontare la sua esperienza come missionario.

Quali sono le emozioni del rientro?

Sono molto contento di essere di nuovo qui con la mia famiglia e la mia Diocesi. Sono però anche molto in pena per come ho lasciato Cuba, che in questa fase è gravemente colpita dalla pandemia.

Come sta vivendo Cuba questa fase di recrudescenza della pandemia?

La variante indiana ha colpito molto e sta facendo moltissime vittime. Laggiù manca tutto il materiale sanitario, ma anche i medicinali, l’ossigeno.

Come procede la campagna vaccinale a Cuba?

Cuba ha un suo vaccino, prodotto sull’isola, la cui efficacia è attestata al 92%. Senz’altro questo ultimo periodo è stato però contraddistinto dall’aumento dei contagi e dall’aggravarsi dell’epidemia in tutta la zona.

Negli ultimi mesi della sua permanenza in missione, quanto ha inciso l’emergenza sanitaria con i suoi vincoli nella vita quotidiana nella missione e con la gente?

Inizialmente abbiamo scelto di preparare dei fogli per la messa domenicale da diffondere nelle comunità, non potendo celebrare le Messe. Ma le mancanze di alcuni materiali, come ad esempio il toner per le fotocopie, o la carta, hanno condizionato anche questa iniziativa.
In parrocchia abbiamo sospeso anche il catechismo. Santo Domingo, la nostra parrocchia, è molto grande, e quindi almeno a livello locale, abbiamo potuto riprendere la celebrazione della Messa riuscendo a mantenere il distanziamento. A livello delle comunità più periferiche, è stato pressoché impossibile organizzare attività, anche perché, data la mancanza di medicine, la paura è tanta.

Come è stato accolto al suo arrivo nella missione?

L’accoglienza è stata buona, non solo nell’ambiente della parrocchia. Anche i rappresentanti del governo ci riservano sempre una buona accoglienza, per via dell’opera di sostegno e aiuto alla gente.

A prescindere dall’attuale situazione sanitaria, come si svolge la vita nella missione interdiocesana?

Quando sono arrivato eravamo tre sacerdoti. Le parrocchie a Cuba hanno molte piccole comunità a cui bisogna provvedere, sia per la celebrazione della Messa che per gli incontri di catechesi degli adulti e dei ragazzi. La pandemia ha purtroppo interrotto gli incontri con i disabili, che erano appena stati avviati, ma anche gli incontri con gli alcolisti anonimi, ospitati nelle sale della parrocchia.
Siamo però riusciti a mantenere il comedor, ossia la mensa, una in ogni parrocchia: da 200 assistiti, abbiamo dovuto ridurre il numero per via dell’emergenza. Sono tante le famiglie in difficoltà, e ultimamente è stato anche difficile reperire gli alimenti per preparare, nelle mense, i pasti necessari.

Quale consiglio ha lasciato a don Paolo che l’ha sostituita?

Io e don Paolo abbiamo trascorso insieme circa 10 giorni, cercando di incontrare qualche persona impegnata nelle parrocchie. Ho raccontato a don Paolo quali erano le iniziative in atto, ma credo che dopo due anni di sospensione, sia giusto lasciare a don Paolo la libertà di ripartire secondo le modalità che si renderanno necessarie, in accordo con gli altri sacerdoti e il Vescovo.

Che cosa le ha lasciato questa esperienza?

La grande opportunità di conoscere nuovi fratelli e sorelle, e di vivere la fraternità con i Confratelli. A Cuba ho stretto tante amicizie che hanno creato una nuova grande famiglia allargata.