Mercoledì 3 dicembre alle ore 20,30 riprendono gli incontri di Cattedrale Aperta. 'La religione è compatibile con la democrazia?' è l'argomento che affrotneranno i relatori Stefano Zamagni e Massimo Cacciari.
In previsione dell'incontro riportiamo un'intervista de Il Cittadino a uno dei due relatori, il prof. Stefano Zamagni
Sarà Stefano Zamagni, professore ordinario di economia politica all’Università di Bologna, insieme a Massimo Cacciari, professore emerito della Facoltà di Filosofia dell’Università Vita-Salute San Raffaele, il relatore del primo appuntamento del nuovo ciclo di conferenze ‘Cattedrale Aperta’ il prossimo 3 dicembre a partire dalle ore 20.30. Gli abbiamo posto alcune domande in vista di questo evento sempre molto partecipato dai fedele e cittadini genovesi.
Qual è la valenza oggi della libertà religiosa in relazione alle altre libertà dell’uomo?
Contrariamente a quanto ci si sarebbe aspettati, il tema della libertà religiosa è tornato all’attenzione della società contemporanea, in controtendenza rispetto a teorie diffuse nei decenni passati che ritenevano che con la secolarizzazione la religione sarebbe uscita di scena e non avrebbe più costituito una questione interessante per l’uomo.
Oggi vediamo che una parte non indifferente di conflitti sono legati proprio alla componente religiosa, è un dato di fatto che va sottolineato.
Come spiegare questo cambiamento? Ci sono diverse ipotesi interpretative, ne evidenzierei tre.
La prima, di carattere economico, collega la mancanza della libertà allo sfruttamento in chiave politica da parte di stati che si avvalgono del paramento religioso per portare avanti iniziative di interesse locale o di specifici gruppi. Sappiamo bene che i conflitti religiosi si scatenano in territori dove ci sono risorse, ad esempio petrolio o minerali. La seconda, di carattere culturale, deriva dalla diffusione di una forma nuova di religione di tipo immanentista, legata al modello del capitalismo globale che nega la trascendenza, ma aumenta il benessere materiale attraverso lo strumento di una deformata meritocrazia: oggi si crede che attraverso il consumismo non ci sia più bisogno di Dio. Si tratta di un’irrilevanza che porta all’indifferenza che purtroppo è ancora peggio dell’ateismo: l’ateo combatte per una linea, chi è indifferente ridicolizza il fatto religioso.
Si è creata quindi una forma di conflitto nuovo tra chi è portatore di religione trascendentale e chi esalta l’immanentismo e la religiosità legata al modello di sviluppo.
Infine, la terza ipotesi, più politica, si avvale del conflitto religioso per mantenere regimi di tipo autoritario: i paesi dove non vengono rispettate le libertà religiose sono, infatti, a basso tasso di democraticità.
Chi è dittatore o autocrate si serve della conflitto religioso per conservare il potere, pensiamo al caso della Siria, ma anche dell’Iran.
Ma fuori di un contesto democratico qual è il modo più comune di conservare il potere? Quello di incutere paura, perché così la popolazione é facilmente domabile. Il conflitto religioso serve a questo. Se prima quindi la paura si diffondeva con la guerra sul campo, oggi ci si serve della conflittualità religiosa, di fatto strumentalizzando gravemente la religione stessa.
Ma di fronte a tutto questo che cosa si dovrebbe fare? In particolare a che cosa sono chiamati i cristiani?
Bisogna dire la verità e spiegare quanto sia dannosa la strumentalizzazione della religione. Spesso si ritiene che si tratti di eventi ineluttabili, ma non è così: le cose accadono perché qualcuno lo vuole. Prima di tutto bisogna spiegare questi fenomeni e quindi impegnarsi di più per affrontarli in comunione con chi si trova nel dramma. Laddove i cristiani continuano a essere perseguitati, gli altri cristiani devono fare di più.
La raccolta di firme é uno strumento, ma non basta. I credenti dei paesi cosiddetti occidentali si assumano la loro responsabilità per sollecitare i rispettivi governi e i ministri degli affari Esteri, perché si vada oltre la denuncia o la dimostrazione farisaica. Se il blocco occidentale unanime dicesse a questi governanti che ospitano le illibertà religiose di smettere, lo farebbero.
Bisogna quindi che le popolazioni facciano sentire la propria voce. Ma in Europa questo non avviene, il tema sembra non rientrare nell’agenda europea. Ecco perché chiedo alla comunità cristiana di fare sentire la propria voce e di chiedere che si intervenga il prima possibile.
Laura Ferrero
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