Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani: Venerdì 19 gennaio 2024 svolta in Cattedrale la Veglia ecumenica – LE FOTO

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“Chi è il mio prossimo?” (Lc 10, 29b)

La veglia ecumenica, nella settimana di preghiera per l’unità dei cristiani 2024, ha avuto come brano di riferimento quello del “buon samaritano” presente nel Vangelo di Luca. A partire da questo testo il 19 gennaio, nella Cattedrale di San Lorenzo, si è tenuta la preghiera scandita da tre momenti importanti. Innanzitutto la spiegazione da parte di Padre Sorin – della Chiesa Ortodossa rumena – di un’icona raffigurante il brano biblico di riferimento.

Poi l’Arcivescovo  ha spiegato il testo tratto dal capitolo decimo di Luca sottolineando tra gli altri due punti. Inizialmente si è soffermato, attualizzandoli, sui possibili motivi per cui il sacerdote e il levita passano oltre senza soccorre il samaritano. Perché non si sono fermati? Perché ancora oggi siamo, alcune volte, indifferenti? Il primo motivo è la fretta. Questa appartiene, ormai, al nostro stile di vita e ci rende indifferenti. Troppo occupati per accorgerci di chi ha bisogno. Il secondo è la paura di impegnare la nostra persona, di spendere tempo e pazienza, di darsi senza condizioni e riserve. Il terzo è la ricerca di un alibi. “C’è chi è delegato a occuparsi dei poveri perché dovrei farlo io?”.

Secondariamente Mons. Tasca ha domandato a Dio per tutti: “Un cuore aperto per lasciarsi turbare”. Un cuore come quello del samaritano. Infine ha ricordato che le chiese sono da sempre vicine ai bisognosi per sostenerli. Come esempio di ciò il Pastore Enrico Reato ha presentato l’associazione “Amici di Zaccheo” che dal 2005 si prende cura dei carcerati; ultimamente anche accogliendone in un’apposita struttura alcuni che avevano terminato il tempo della detenzione aiutandoli così nel rinserimento nella società.

La sera, a cui hanno partecipato le confessioni cristiane presenti in Diocesi e che è stata animata dal coro di Taizé insieme al Maestro Luca Ferrai, è terminata con la consegna di alcuni fiori confezionati dalla suore Clarisse Cappuccine del Righi con l’augurio che i semi sparsi dal Signore durante la veglia possano fiorire.

don Gabriele Bernagozzi 

Delegato Diocesi di Genova per l’Ecumenismo e Dialogo Interreligioso

 

Presentazione dell’icona “Del Buon Samaritano“

Riportiamo il testo del discorso di Padre Sorin Filip della Chiesa Ortodossa Romena di Genova con la spiegazione della rappresentazione dell’icona del Buon Samaritano

Innanzitutto vi ringrazio perché avete scelto un icona per farci vedere e per capire meglio l’opera del buon samaritano. Secondo la nostra tradizione ortodossa, l’icona non è un dipinto o una semplice rappresentazione figurativa, ma una comunicazione visiva dell’invisibile realtà divina, manifestata nel tempo e nello spazio. L’icona del buon samaritano, fotografa il momento in cui l’uomo aggredito, malmenato, derubato, ha avuto già le prime cure da parte del samaritano. Vediamo, infatti, l’olio, il vino, le bende e i “denari” nella sacca del Viandante. Il Buon samaritano ha con sé tutto l’occorrente che serve per soccorrere. Cioè è una persona previdente, che si attrezza per tempo, fornita di quanto potrà servire lungo la strada, sa guardare in avanti. Non si lascia sorprendere. Forse, l’unica sorpresa per lui è che ci siano in giro ancora persone che attentano alla vita degli altri, che producono sofferenze, che recano il male. Ma ciò che ci sorprende ancora di più è che il Samaritano si sostituisce completamente al giumento prendendo su di sé l’uomo ferito. In realtà, questa immagine ci rimanda ad un’altra icona, quella della vita comunitaria dove un fratello si fa carico del proprio fratello.

L’insegnamento che ne deriva è che tra i due uomini c’è solo una relazione di fraternità abbattendo così ogni differenza e diversità. Ancora un altro tratto ci sorprende, e questo lo ricaviamo da un’antica tradizione orientale dove il volto del Samaritano coincide con il volto dell’uomo ferito. Infatti, se in un primo momento tendiamo ad identificare il Samaritano con Cristo che si prende cura dell’umanità, in un secondo momento dobbiamo ricordarci del capitolo 25 di Matteo dove Gesù stesso si identifica con l’affamato, l’assetato, il malato, il pellegrino, ecc. Quindi significa per noi che nell’atteggiamento del samaritano ma anche nella persona derubata e ferita noi riconosciamo il Cristo. L’icona si presenta come una piccola summa teologica del tema della misericordia. Mostra, infatti, il Figlio che si carica sulle spalle l’uomo smarrito, recuperando un’immagine molto cara alla Chiesa antica, perché indica l’amore di Cristo che porta a compimento il mistero della sua incarnazione con la redenzione. Il disegno è realizzato in modo tale da far emergere che il Buon Pastore tocca in profondità la carne dell’uomo, e lo fa con amore tale da cambiargli la vita. Un particolare che non si nota immediatamente, ma che non può sfuggire è che il Buon Pastore con estrema misericordia carica su di sé l’umanità, ed i suoi occhi si confondono con quelli dell’uomo.

Cristo vede con l’occhio di Adamo e questi con l’occhio di Cristo. La scena si colloca all’interno della mandorla, anch’essa figura cara all’iconografia antica e medioevale che richiama la compresenza delle due nature, divina e umana, in Cristo. Come detto, l’immagine richiama un modello iconografico che la Chiesa antica amava, quello del Cristo-Buon Pastore, ma ancor più quello del Cristo-Buon Samaritano. I Padri della Chiesa riconobbero nel personaggio misterioso della parabola di Gesù il Cristo stesso, un’interpretazione che venne per questo rappresentata nelle antiche icone proposte alla preghiera dei fedeli. Scriveva Clemente Alessandrino: «E chi è quel Samaritano se non lo stesso Salvatore? O chi fa maggiore misericordia a noi, quasi uccisi dalle potenze delle tenebre con ferite, paure, desideri, furori, tristezze, frodi, piaceri? Di queste ferite solo Gesù è medico; egli solo sradica i vizi dalle radici». Nelle icone, Gesù è allo stesso tempo il Buon Samaritano e il malcapitato nelle mani dei briganti: stesso volto, stesse sembianze, a volte il ferito ha i segni della passione, le mani e il costato forati ed è quindi lo stesso uomo come nell’icona di Rupnik, perché è Lui che assumendo la natura umana ha subito le sofferenze e le prove che noi subiamo, ma allo stesso tempo è Lui solo che può comprenderci e guarirci. Come si può notare, sul icona si vede una strada da Gerusalemme a Gerico , una strada in discesa che porta dalla cima di un’alta collina alla depressione della città che i profeti vedono come luogo del male. Gesù è disceso dalla Gerusalemme celeste per salvare l’umanità esanime e ferita che giace ai bordi della strada, avvolta dalle tenebre del male e della cattiveria. Il Verbo si è fatto carne e ha posto la sua tenda sulla via che scende verso le nostre Gerico.

La strada è la cattedra di Gesù, il luogo dove Dio manifesta la sua presenza e diventa medico dei corpi e delle anime. Lungo la strada Gesù annuncia la «buona novella», guarisce i malati, scaccia i demoni, incontra pubblicani e prostitute; la strada è l’itinerario della misericordia divina. Dio è sempre sulla strada. La strada è il Santuario dove Gesù ci educa. Se la vittima dell’imboscata è per eccellenza l’immagine dell’umanità, allora il samaritano può solo essere l’immagine di Gesù Cristo. Dio stesso, che per noi è lo straniero e il lontano, si è incamminato per venire a prendersi cura della sua creatura ferita. Dio, il lontano, in Gesù Cristo si è fatto prossimo. L’immagine di Gesù, buon samaritano, diventa l’icona dell’amore di Dio, di Colui che viene accanto ad ogni uomo piagato nel corpo e nello spirito e versa sulle sue ferite l’olio della consolazione e il vino della speranza.

Padre Sorin Filip

Chiesa Ortodossa Romena Genova

GALLERIA FOTOGRAFICA DELLA VEGLIA DI PREGHIERA DEL 19 GENNAIO 2024 IN CATTEDRALE