Genova, Cattedrale di San Lorenzo,
24 giugno 2013
Cari Confratelli nel Sacerdozio e nel Diaconato
Autorità
Cari Fratelli e Sorelle nel Signore
Davanti al mare abbiamo portato le ceneri di San Giovanni Battista, Patrono della Città e della Diocesi. E' un rito antico ma non passato, poiché ciò che è ispirato dalla fede è sempre attuale. E' un rito caro, poiché il Porto è cuore e simbolo della Città e della sua originaria vocazione. Abbiamo pregato per quanti nel Porto lavorano, per coloro che ? quest'anno ? hanno perso tragicamente la vita, per i loro cari. Ma, allargando lo sguardo, abbiamo invocato la benedizione di Dio anche per tutti i lavoratori di Genova con le loro famiglie.
Ora, tornati nella nostra splendida Cattedrale, accompagnati dal popolo e dalle storiche confraternite con i loro ammirevoli crocifissi, ancora presentiamo al Signore la fatica dei molti che tirano il giorno dopo, di quanti hanno perso il lavoro o non l'hanno mai trovato, di quanti non possono fare un progetto di vita. Pensiamo agli anziani e ai giovani, ai poveri e ai deboli, la cui schiena è gravata dal peso dei giorni, dall'ansia di questo prolungato momento.
Le notizie che si leggono non rassicurano su più fronti, e ci chiediamo quanto sia rimasto ? nel nostro popolo – della riserva di resistenza e di spirito. Ci chiediamo quanto è stato fatto e quanto è possibile fare con maggiore lucidità e determinazione, con coraggio e responsabilità. Molto si può e si deve ancora fare. Il tempo fugge rapido e ogni ora perduta, ogni gesto rimandato, allarga ferite già dolorose nelle persone, nelle famiglie, nella società intera.
L'agenda sociale non ammette ulteriori ritardi né distrazioni su questioni del tutto marginali: è la carne ferita e dolorante della gente che deve dettare ogni agenda privata o pubblica, personale o sociale che sia. Forse, tutti dobbiamo fare un serio e concreto passo indietro ? singoli, gruppi, istituzioni – per poter insieme fare molti passi in avanti e giungere salvi alla riva. Sì, uscire dalla bufera si può, ma non per tornare ad essere come prima, litigiosi e arroganti, presuntuosi e di parte, ma più saggi. Quando si vuole primeggiare a tutti i costi, quando ci si vuole attribuire ogni merito, quando non si riconoscono le capacità altrui, quando si è più preoccupati di sé, del proprio futuro anziché del bene reale, allora c'è la paralisi, si diventa incapaci di lavorare insieme: si crede di nuotare in avanti e invece si va indietro.
Non dobbiamo arrenderci, ma i tempi si fanno sempre più corti e il disagio sempre più acuto: lo sanno i nostri sacerdoti nelle parrocchie e nei moltissimi luoghi dove si accoglie, si osserva e si cerca di intervenire moltiplicando quello che c'è, come i pani e i pesci del Vangelo. Pani e pesci che rispondono ma non risolvono, poiché la risposta più vera e invocata è il lavoro. Diventare più saggi oggi! Per questo preghiamo San Giovanni Battista perché invochi da Cristo, che ha testimoniato fino al martirio, il dono della sapienza del cuore e della vita. E' la preghiera che facciamo per noi, per i giovani e gli anziani, per le famiglie; la facciamo per la nostra Genova che ? come scriveva Alexandre Dumas ? “s'è data da sola il soprannome di Superba, e che da sei o sette leghe già si scorge all'orizzonte distesa in fondo al suo golfo con la noncurante maestà di una regina” (A. Dumas, Impressions de voyage, 1841). Genova torni ad essere “superba” non tanto per la sua straordinaria bellezza, ma per la sua capacità di lavoro, di genio, di onestà; per la capacità di non lasciare per strada nessuno dei suoi figli, antichi e nuovi.
Angelo Card. Bagnasco