Il Consiglio Pastorale Diocesano (CPD) ha accolto con responsabilità l’invito che Mons. Marco Tasca, Arcivescovo, ha rivolto all’inizio del suo ministero episcopale genovese: per un anno fermarsi da attività straordinarie, che finora hanno segnato con frutto il cammino ecclesiale nel corso del decennio “Educare alla vita buona del Vangelo” (2010-2020) e porsi una domanda: «che cosa lo Spirito di Dio dice alla nostra Chiesa in questo momento?»
Il momento non è solo quello della pandemia, che tante cose ha cambiato, ma è il momento di Dio. Il mondo antico aveva termini diversi per indicare il tempo; due sono importanti: “Krónos” e “Kairós”; il primo indica il susseguirsi quantitativo dei giorni umani, il loro computo; il secondo, invece, indica quel qualcosa di speciale che avviene nel tempo, perché il Padre sempre opera ed agisce insieme al Figlio (Gv 5,1).
Le prime parole che l’evangelista pone sulla bocca di Gesù sono: «il tempo favorevole (kairòs) è giunto a pienezza e il regno di Dio si è avvicinato a voi; convertitevi e credete al Vangelo» (Mc 1,15). Il credente è invitato a scorgere nel susseguirsi dei giorni il tempo dell’agire di Dio, il tempo della grazia, il tempo favorevole alla conversione. Si tratta di un compito urgente e necessario. Quando i farisei e i sadducei si avvicinano a Gesù per metterlo alla prova e gli domandano un segno dal cielo che attesti l’autorità dei suoi gesti e della sua parola, egli reagisce: «l’aspetto del cielo sapete giudicarlo e i segni dei tempi («semèia ton kairòn») non siete capaci di interpretarli?» (Mt. 16, 3b). Gli uomini sono esperti nella meteorologia, i discepoli del vangelo devono diventarlo nel cercare il «segno di Giona» (Mt. 16,4), quello in cui il Signore si nasconde sprigionando la sua potenza. È il mistero pasquale.
Riconoscere il presente come il modo favorevole in cui Dio si manifesta – modo diverso da ieri – vuol dire cogliere i tempi come opportunità, ma soprattutto come necessità di cambiamento. Il Santo Padre ha affermato: «quella che stiamo vivendo non è semplicemente un’epoca di cambiamenti, ma è un cambiamento di epoca» (Udienza, 21.12.2019). Forse la pandemia nella sua drammatica universalità ha stabilito un “punto di non ritorno”: le cose non saranno e non dovranno essere come prima. Chi vive il tempo presente come una parentesi in attesa di tornare a fare come prima, probabilmente non coglie la singolarità dell’ora presente e non è attento ai segni dei tempi. Il primo insegnamento dovrebbe essere quello che non si potrà più continuare a fare … come si è sempre fatto.
Siamo grati a chi ci ha preceduto e ci ha trasmesso la fede e la vita cristiana, ma questo non è più il tempo di conservare l’esistente, pur facendo i conti con la scristianizzazione e la diminuzione del clero. Il “si è sempre fatto così” dà sicurezza, tranquillità e ci dà una certa identità. Ma, comporta anche inerzia, tristezza dei tempi passati, rinuncia all’azione. Ancora, le parole del Papa: «la pastorale in chiave missionaria esige di abbandonare il comodo criterio pastorale del “si è fatto sempre così”. Invito tutti ad essere audaci e creativi in questo compito di ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile e i metodi evangelizzatori delle proprie comunità» (Evangelii gaudium, 33).
Lo sguardo offerto dal nostro CPD fotografa l’esistente e propone opportuni suggerimenti. Grazie ai contributi di 18 rappresentanti di Vicariato, di 8 rappresentanti di ambiti e ambienti pastorali, di 4 rappresentanti di Aggregazioni Laicali, di 3 rappresentanti della Vita Consacrata, di 2 componenti di nomina arcivescovile, del rappresentante del Diaconato Permanente. E, grazie a Franco Macchiavello, segretario del CPD, per il grande lavoro si sintesi che qui offre.
Ora, forse, bisogna fare qualcosa di più! È un inizio necessario, ma non è sufficiente pensare a qualche aggiustamento. E torniamo al kairòs, così difficile da indicare. Lo Spirito di Dio parla nel silenzio interiore che ha come presupposto la rinuncia ai propri punti di vista; si manifesta nella preghiera di ciascuno e in quella comunitaria; vive nell’ascolto della Parola di Dio e della storia. L’Arcivescovo ci domanda non solo di fare, come sempre facciamo, ma di capire “verso dove” sono indirizzati i nostri sforzi, perché potremmo affaticarci invano. Questa comprensione è un dono che viene dall’alto di Dio.
Forse, possono essere utili alcune indicazioni di percorso, che non sono già soluzioni, ma, appunto, indicazioni.
In primo luogo, la missionarietà. È lo slancio che attraversa i secoli e rende giovane la Chiesa di Cristo, è sempre urgente, ma particolarmente oggi in cui la fede sembra per molti essere di poco rilievo. La missione ci spinge ad abitare i luoghi dell’uomo: famiglia, educazione, scuola, tempo libero, strutture sanitarie, etc. La Chiesa missionaria non si preoccupa principalmente di mantenere l’esistente, ma spinge i discepoli di Cristo a gettare le reti al largo, oltre le mura degli edifici sacri. Invita a considerare gli interessi reali della gente, le difficoltà in cui vive, le preoccupazioni che affronta.
Uscire non significa trascurare la casa, ma oggi è necessario abitarla in modo nuovo, secondo la prospettiva della comunione e del cammino sinodale. Si devono intensificare le relazioni all’interno delle comunità, delle comunità con i vicariati, delle aggregazioni tra loro. È meglio un passo fatto insieme che non dieci da soli!
Il Papa ci chiede la sintesi della vita “ad intra” – nella comunità cristiana – e della vita “ad extra” cioè nella società: «in virtù del Battesimo ricevuto, ogni membro del Popolo di Dio è diventato discepolo missionario» (Evangelii gaudium, 119). “Discepolo missionario” è la sintesi più bella per chi ama la Chiesa e crede nella forza dell’annuncio evangelico oggi, come in passato.
Mons. Marco Doldi
Vicario Generale
Genova, 4 aprile 2021
Solennità di Pasqua
Nell’area documenti, al seguente link, è possibile scaricare la sintesi delle riflessioni del Consiglio Pastorale Diocesano dell’anno 2021
https://www.chiesadigenova.it/riflessioni-consiglio-pastorale-diocesano-anno-2021/