Paternità

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In questi articoli che ci hanno accompagnato nelle settimane precedenti la festa della natività, la sorpresa dell’incarnazione di Dio nel divenire dell’uomo, ci siamo fatti affiancare dalle pagine feriali del Vangelo. Qualche breve riflessione sul fanciullo Gesù e il suo crescere in sapienza e grazia, sui trent’anni del cosiddetto nascondimento, sulla discrezione e maternità dell’agire di Maria a Cana. Oggi, a pochi giorni dalla notte silenziosa e festosa, vogliamo porre la nostra attenzione su Giuseppe. Di lui abbiamo pochissime notizie e il Vangelo secondo Matteo lo presenta nella genealogia: «Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo» e per alcune iniziative e azioni nel primo e nel secondo capitolo, poi sparisce dalla scena. Quando durante la vita pubblica di Gesù i compaesani sono sorpresi dal suo agire, chiedendosi circa la sua autorità, si domandano: «Non è il figlio di Giuseppe?»

Di lui, tuttavia, possiamo dire e meditare su molte cose. Due in particolare. Giuseppe era un uomo giusto. Questo è un termine forte, netto, importante anche nel linguaggio biblico. Nella Genesi ed in Siracide Noè viene detto uomo giusto. Il patriarca Noè, l’unico che viene salvato dalla situazione colma di male e di caos, colui che grazie al suo giusto agire, permette un nuovo inizio, una nuova creazione. Chi cammina nei decreti del Signore è un uomo giusto, dice il profeta Ezechiele, citando come esempi appunto Noè, Daniele e Giobbe. E nel nuovo testamento come Giuseppe, appunto uomo giusto, con la stessa valutazione e con lo stesso sguardo, vengono presentati Giovanni il battezzatore o il centurione Cornelio negli atti degli apostoli. Il modello dell’uomo giusto è Dio stesso: il giusto. Essere uomini giusti è saper vivere il timore di Dio. Ma cosa intendiamo per timore di Dio? I libri sapienziali (come Siracide, Sapienza, Proverbi) legano il timore di Dio alla saggezza, o ricordano come il timore di Dio sia fonte di vita. Evidente che non intendiamo quindi un comportamento tremante, incerto, impaurito. Piuttosto è una relazione matura, consapevole, onesta: da creatura a Creatore. Vivendo ovvero il limite oggettivo del nostro esistere, della nostra carnalità. Il timore di Dio impedisce l’auto incensazione, la spinta narcisistica, la ricerca del godimento fine a sé stesso, senza apertura all’Altro, alla vita, alla pienezza, alla sapienza. Giuseppe è dunque un uomo che sa stare nei suoi panni. E’ un uomo adulto, pieno, vero. Perché è portato a vivere nella consapevolezza di sé. Non si autocelebra, non si nasconde in percorsi di falsa umiltà. Il timore di Dio è una fede viva, concreta, appassionata. Egli sa come stare dinanzi a Dio.

La seconda caratteristica di Giuseppe è che egli è un uomo capace di sognare. I tre grandi sogni che lo vedono come coprotagonista insieme alla figura dell’angelo (dell’annunciatore) sono riportati nel capitolo uno e due del Vangelo secondo Matteo. I tre sogni si assomigliano per struttura, il secondo e il terzo risultano praticamente uguali. Il contesto dei sogni è sempre quello di un momento di necessario discernimento. Giuseppe deve decidere se sposare Maria. I Magi sono appena partiti e deve prendere la decisione di rifugiarsi verso l’Egitto, così come poi ripercorrere il viaggio verso la terra di Israele. Ad una prima lettura può sembrare che l’angelo impartisca ordini e che Giuseppe li realizzi esattamente quasi come un militare, senza alcun tipo di personale volontà o riflessione. Ma se osserviamo il primo dialogo con l’angelo, quello che avviene durante un forte travaglio personale e una infinità di dubbi per il nostro Giuseppe, gli eventi appaiono in maniera meno semplicistica. «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù; egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». Prima delle azioni concrete al quale viene invitato Giuseppe, prendere in sposa Maria e dare il nome al figlio, egli viene invitato a non temere. Giuseppe non deve cedere al timore umano, alla paura che impedisce di avere fiducia, di aprirsi alla vita, di guardare oltre il buio della notte. Egli è chiamato ad essere quell’uomo giusto che il testo ha appena descritto, ovvero a non temere come uomo, ma ad avere il timore di Dio che permette la vita. Giuseppe allora è un uomo giusto, che sa stare al suo posto, che si relazione al suo Dio come la creatura fa con il Creatore, che conosce le sue responsabilità, che è disponibile ad assumerle e ad aprirsi alla vita, alle vicende che gli accadranno, affronta il quotidiano con il vento in faccia, come colui che guarda avanti verso l’orizzonte della sua esistenza. Giuseppe, per questo, è un uomo che sa sognare. E’ in contatto con le sue parti più profonde, con quei sentimenti che talvolta sfuggono, sono complessi ma che ci alimentano di energie emergenti e che ci danno la forza di sognare. Giuseppe guarda l’orizzonte, è un uomo adulto, un uomo giusto, forte, appassionato, preoccupato. Assume le responsabilità alle quali è chiamato. Giuseppe è un uomo vero: per questo è un buon padre.

Marco Gaetano