Mandato per i catechisti

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Dopo la solenne apertura del Sinodo diocesano, un cammino posto sotto la protezione della Madonna della Pietà e del Soccorso, la Madonna della cattedrale da secoli cara ai genovesi, è stato consegnato dalle mani del vescovo, S.E. Mons. Marco Tasca, ai delegati vicariali il mandato ai catechisti. Un gesto importante perchè suggella ciò che ogni catechista sa: quello di essere un inviato. Ma c’è di più: non solo egli è un battezzato, chiamato da Dio ad annunciare, ma a nulla ciò varrebbe se non ci fosse anche una specifica delega da parte del vescovo che lo invia, col preciso incarico di annunciare il vangelo. Non è un isolato, che individualmente annuncia le proprie idee, che possono anche essere buone, ma un membro della Chiesa di cui ha l’autorizzazione e nell’alveo della quale egli porta avanti il suo compito.  E’ questo il “mandato” che già da molti anni i catechisti ricevono in cattedrale a conferma di una chiamata che viene dall’alto, per una missione non scelta da loro, ma alla quale hanno compreso di dover dire di sì. Se sfogliamo il piccolo documento personale dato ai catechisti di quest’anno che li identifica come tali per volontà del vescovo, vogliamo osservarne alcuni dettagli.

All’interno sono riportate le parole del S. Padre Francesco che richiama come i catechisti siano coloro che “imparano a incontrare i fratelli” proprio “perchè loro stessi hanno incontrato Cristo”. E questa, in effetti, è una delle più chiare e semplici definizioni del punto di partenza per ogni esperienza catechistica: un primo annuncio che “non può mai trovarci stanchi – dice il Papa- né ripetitivi nelle varie fasi del cammino catechistico”.

Sul retro del piccolo eppur prezioso documento troviamo, poi, un pro-memoria sotto forma di decalogo che definisce quale sia, o dovrebbe essere, il “Sapere del catechista”:

Saper ascoltare – Saper aspettare – Saper condividere- Saper coinvolgere- Saper comprendere-

Saper creare relazioni – Saper pregare – Saper gioire – Saper comunicare – Saper tacere.

Il catechista tradizionale, quello che abbiamo imparato a conoscere nelle nostre parrocchie, è certamente una persona che approfondisce ogni giorno le proprie conoscenze dottrinali, che si confronta col suo gruppo, che s’informa sulle ultime novità in fatto di mezzi di comunicazione per trasmettere ai bambini qualcosa che possa rimanere impresso in loro nel corso degli anni, per dare forma al loro futuro di cristiani.

Ma c’è una “cultura dell’anima”, un atteggiamento da indossare ogni giorno, che può configurare al meglio il catechista secondo i canoni che Gesù stesso si attende da lui.

Al catechista dei nostri giorni si chiede, in maniera sempre più pressante, di saper ascoltare, di aver la saggezza di aspettare perchè ogni ragazzo ha i suoi tempi, di condividere ciò che i suoi bambini vogliono esprimere, di essere capace di coinvolgerli, comprendendo la loro sensibilità e le esigenze di ciascuno nonché di essere costruttore di relazioni.

Tutto questo potrà farlo se sarà una persona di preghiera, capace di lasciare ogni attività quando sarà il momento di mettersi in dialogo col Signore, da cui trarrà alimento anche per gli incontri di catechismo. Partecipe della vita dei ragazzi, saprà gioire con loro, saprà comunicare ma, all’occorrenza, dovrà anche saper tacere, per dare spazio alle voci di chi forse finora non aveva osato aprirsi esprimendo liberamente dubbi o difficoltà. Anche da questo silenzio potrà sbocciare un dialogo tra catechista e ragazzi, destinato a durare nel tempo.

 

Paola  Radif