Il libro del profeta Gioele è un testo di piccole dimensioni, di un autore profetico del quale non abbiamo indizi. Scritto forse in epoca persiana (V sec a.C.), l’autore appare come un conoscitore degli ambienti liturgici e il suo nome significa “YHWH è Dio”. A fronte di un periodo di siccità, di presenza di animali che mangiano i raccolti, e quindi in un contesto di fame e morte, il profeta invita il popolo ad alzare il proprio grido a Dio. La situazione contingente è riletta come premonitrice del prossimo intervento di Dio che chiede al popolo la sua purificazione, la sua conversione e la sua fiducia in JHWH.
La Quaresima inizia così: Ritornate a me! Un concetto alquanto semplice. Ed infatti presuppone un pentimento, un riconoscimento della colpa, come preghiamo con il salmo 50, e una richiesta di perdona a Dio, il misericordioso. A monte di questo chiaro percorso, che invita al pentimento, vi è un presupposto: che io voglia tornare a Dio, che io abbia conosciuto Dio e che lo desideri e che quindi, attraverso lo sguardo che lui mi rivolge, possa cogliere la mia dimensione di peccatore. Perché se nel mio cuore non alberga l’esperienza di grazie, la vita dello spirito, la voce del silenzio leggero di Dio, diviene difficile accogliere l’invito al ritorno. Sono mai partito da quella terra come il figlio minore per poi sentire una certa nostalgia? O sono consapevole come il figlio maggiore di vivere nella pienezza del padre e che tutto ciò che è suo, è mio? E quando salgo al tempio del Signore, vi entro con la certezza nel cuore che è “bello abitare sulla soglia della sua casa”? Quale Dio mi invita a tornare a lui? O forse ad andarci con cuore sincero per la prima volta, anche dopo tante quaresime? Quale immagine dell’indicibile ho nella mente e a quale Dio mi rivolgo? E così anche l’invito evangelico si basa sulla relazione che abbiamo, o pensiamo di avere, con il Padre. Se agite con giustizia per un riconoscimento sociale, ebbene nessuna ricompensa da parte di Dio. Agite nel segreto e il Padre vostro vi ricompenserà. Anche in questo caso una apparente semplicità dei brani, uno schema che contrappone la possibilità di agire con giustizia per motivazioni diverse, presuppone una relazione con il Padre che abbia, per la mia vita, un qualche interesse.
A quale Dio si rivolge il mio cuore? Forse potremmo approcciarci alla quaresima in maniera opposta. Ovvero togliendo l’immagine di Dio dalla nostra mente. Purificando per prima cosa proprio ciò che io penso di Dio, che io credo che egli sia, o anche come io ritengo che egli agisca con giustizia e misericordia. Svuotare la mente da tanti anni di vita, svuotarla dai significati accumulati. Non avere paura di un certo spazio vuoto. E di silenzio. Ecco, questo è davvero fondamentale. La quaresima come tempo del silenzio interiore. Non aggiungo gesta e azioni ma fermo il mio modo di correre e di riempire e piano piano, ogni mattina al risveglio, ogni momento che posso nelle giornate, ogni sera quando mi corico, lascio che il silenzio mi pervada, mi quieto, mi pongo, mi fermo. La quaresima potrà diventare una esperienza della presenza di Dio, al quale giungeremo a dire: eccomi Signore, tu eri qui ma io me ne accorgevo: sono tornato!
Marco Gaetano