Gli oggetti che costituiscono il Tesoro della Cattedrale di san Lorenzo sono accomunati dall’essere per lo più funzionali al culto ma hanno origini assai eterogenee e rimontano a un arco di tempo di quasi due millenni. Nell’ambito di questo non grande ma straordinario patrimonio una sorta di filo conduttore si dipana attraverso le opere che riguardano San Giovanni Battista (= il battezzatore) – il cugino di Gesù che ne anticipò la predicazione ed è per questo anche appellato il Precursore – e che documentano la plurisecolare devozione tributatagli a Genova già prima che nel 1327 venisse ufficialmente proclamato patrono della città.
Come tramanda il Vangelo di san Marco, il Battista per aver censurato la condotta dissoluta del re Erode, venne da questi fatto incarcerare e di seguito – per istigazione della moglie Erodiade – decapitato: a quel punto, a riprova dell’esecuzione, la sua testa mozza venne mostrata alla coppia collocata sopra un bacile. Proprio questo oggetto, esposto nel secondo dei tre ambienti che si aprono sul vano centrale del museo, costituisce dunque la prima tappa di questo itinerario: il piatto in questione è un raro e pregiato manufatto romano in calcedonio, risalente al I secolo dopo Cristo, che per via del colore delle sue venature, in particolare quando è illuminato dal retro, pare vira la cromia in un colore rosso allusivo al sangue. La tradizione che lo vuole utilizzato per contenere la testa del santo è stata per altro potenziata nel XV secolo quando, non essendo il bacile ancora a Genova ma in Francia, si ruppe e per rimediare alla rottura, ovvero per celarla, fu dotato di una incorniciatura in lamina d’oro al cui centro è stata inserita una rappresentazione in smalto della testa del Precursore, opera di un ignoto ma abilissimo orafo parigino del tempo.
Secondo la tradizione il piatto sarebbe stato usato per raccogliere la testa del Battista dopo la sua decollazione: si tratta comunque di un pezzo eccezionale per la qualità artistica, per il valore devozionale e per il valore intrinseco. Il piatto è frutto di due interventi differenti: il recipiente vero e proprio è di calcedonio, è di produzione romana del I secolo d.C. e fu probabilmente commissionato da un imperatore.
La decorazione metallica che lo incornicia e lo caratterizza al centro con la raffigurazione della testa del precursore è opera francese degli inizi del XV secolo: si tratta di oro, rubini e smalti.
Il primo proprietario noto è il cardinal Jean Balue, personaggio di primo piano della Francia della metà del XV secolo, consigliere e amico del re di Francia, e molto probabilmente il committente del decoro quattrocentesco fu un esponente della dinastia dei Valois: lo stesso re Carlo VI oppure il duca di Borgogna o quello di Berry. Dal porporato venne donato a papa Innocenzo VIII, che in quanto genovese, lo destinò alla protettoria della cappella di San Giovanni Battista.
Dopo il martirio il corpo del santo venne cremato e delle sue ceneri i genovesi si impadronirono nel corso della I Crociata quando, guidati da Guglielmo Embriaco, nel 1098 sbarcarono a Mira (o Myra), nell’attuale Turchia meridionale, dove allora pure si conservavano i resti di san Nicola. Secondo quanto riportano le fonti quelle ceneri vennero inizialmente divise tra le varie navi che partecipavano alla spedizione, ma un fortunale impedì la partenza delle imbarcazioni fino a che quei sacri resti vennero riuniti su una sola di esse e così poterono arrivare trionfalmente a Genova.
Per adeguatamente conservare e onorare quelle ceneri già nel corso del XII secolo venne approntata una prima arca che, secondo una tradizione tardo-seicentesca sarebbe un’offerta devozionale dell’imperatore Federico Barbarossa. Questa, dalla forma a capanna e rivestita da lamine d’argento a rilievo ove, su quelle della faccia anteriore sono figurate le scene del martirio, è conservata nello stesso ambiente del piatto, a poca distanza dallo stesso.
Di lì a poco, ovvero intorno al 1225 venne approntata una nuova arca, questa volta in marmo, funzionale a conservare quelle reliquie all’interno della cattedrale: per questa ragione quest’ultimo manufatto, opera di uno degli scultori francesi che allora lavorava ai portali maggiori della chiesa, non fa parte del museo, ma è tuttora all’interno della cappella dedicata a san Giovanni Battista lungo la navata sinistra della cattedrale stessa.
Fu poi a partire dal 1327 che, ricordando la miracolosa partenza delle ceneri da Mira, a quelle reliquie venne attribuita la potenzialità di proteggere la navigazione delle navi, sicché da quella data il santo venne proclamato patrono di Genova e le sue reliquie portate in processione il giorno della festa del Precursore (24 giugno): nel corso del rito l’arcivescovo col reliquiario che normalmente le contiene benedice il mare invocando la protezione di Dio sui naviganti e sulle merci che gli stessi trasportano.
Quest’uso determinò nel tempo la necessità di approntare un apparato adeguato, ovvero una preziosa cassa processionale sulla quale collocare le reliquie per il loro trasporto lungo le vie cittadine. Questa cassa venne commissionata dai Priori della Cappella del Battista e realizzata tra il 1438 e il 1445 principalmente da Teramo Danieli, al quale si attribuisce il disegno complessivo, e Simone Caldera. Lo straordinario prodotto della loro opera è quella sorta di cattedrale in miniatura, sormontata da guglie e pinnacoli fittamente decorati, che occupa una parte significativa dello stesso ambiente in cui sono esposti il piatto e l’arca del Barbarossa. Lungo i fianchi della cassa, entro fiorite edicole, è illustrata l’intera vita del Battista: dall’annuncio della sua nascita al padre Zaccaria, alla sepoltura dei suoi resti dopo il martirio.
Sempre nello stesso ambiente è esposta, nella vetrina che contiene il piatto e l’arca del Barbarossa, anche una testimonianza del fatto che la devozione nei confronti del santo poteva assumere anche dimensioni ristrette, in cui erano coinvolte cioè solo autorità cittadine in particolari occasioni, o prelati o sovrani in visita, ed è per questo che a un argentiere genovese rimasto ignoto nel 1576 venne fatta approntare una cassetta in argento dorato funzionale allo svolgimento del rito del bacio delle tanto venerate reliquie.
L’ultimo pezzo di questo itinerario è esposto, per via delle sue dimensioni, nella vetrina che si trova all’interno del primo ambiente che si apre sul vano centrale del museo: si tratta di uno splendido stipo prodotto nell’ambito delle manifatture granducali fiorentine verso la fine del Cinquecento, che inizialmente, come dimostra la sua decorazione a smalto e perle, doveva avere una destinazione profana: un preziosissimo contenitore per qualche oggetto altrettanto o forse ancor più prezioso. Entrato in qualche modo in possesso di una famiglia genovese, i Pinceti, fu da questi venduto alla Cattedrale ove venne utilizzato sempre per accogliere le ceneri di san Giovanni Battista, in occasione della loro pubblica ostensione. Nel corso del Seicento lo stipo venne anche sormontato da una statuina in argento del Precursore – e questo spiega il foro al centro del cristallo di rocca superiore del coperchio – modernamente rimossa e collocata nel battistero a seguito di una rottura di cui è ancora evidente l’esito.