Dall’acqua allo Spirito

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Il battesimo di purificazione nelle acque del Giordano, che praticava Giovanni, non era il battesimo nello Spirito di Dio che porterà Gesù attraverso la sua passione, morte e resurrezione. Il simbolo della discesa nell’acqua e della risalita dopo l’immersione, salvati e purificati, è di immediata comprensione. Quando ci si immerge totalmente nell’acqua si sente sollievo e paura, si percepiscono i benefici dell’acqua ma anche la sua forza, ed il fatto di non ritrovarci in un ambiente del tutto familiare. Veniamo dalle acque materne ma abbiamo bisogno dell’aria. L’acqua ha dunque un duplice connotato, positivo e negativo. Nel diluvio di Genesi (cap. 9,11) le acque hanno riportato tutto all’antico caos, prima che Dio creasse separando. Solo il patriarca Noè salvò l’esistenza, ma il male era talmente innervato nel vivere sulla terra che c’era bisogno di resettare tutto. E il diluvio rappresenta questo annientamento su (quasi) ogni cosa. Le acque del Mar Rosso sono nell’Esodo un muro insormontabile, come le onde gigantesche. Non ti fanno passare, sono come una muraglia (Es 14,22). L’acqua può essere il pericolo mortale di colui che affoga, realmente, simbolicamente o interiormente come ritroviamo nei Salmi: «l’acqua mi giunge alla gola» (Salmo 69,2). L’acqua, necessaria alla vita, può essere avvelenata o amara, cioè imbevibile come durante il percorso esodiaco alle fonti di Mara (Es 15,23). Ma dell’acqua abbiamo bisogno e quando le fonti inaridiscono e seccano possiamo morire (Es 17,1). E ancora, quando in una situazione di aridità, troviamo una fonte dove sgorga acqua nuova e zampillante ci sentiamo salvati: «dalla roccia uscirà dell’acqua» (Esodo 17,6). Gli alberi dei cedri forti e vigorosi pongono le loro radici vicino allo scorrere delle acque, ed il Signore, canta il salmista, «ad acque tranquille mi conduce» (Sal 23,2). L’acqua è fonte di lavacro e di purificazione. Dare dell’acqua, oltre che all’assetato, a colui che è stanco da un viaggio è sempre, nella Bibbia, un atto di accoglienza, di attenzione, di premura: «fornì acqua per lavare i piedi» (Gen 24,32). Gesù, lo ricordiamo, versò dell’acqua nel catino e cintosi il grembiule ai fianchi lavò i piedi ai propri discepoli. E’ l’immagine iconografica più forte dell’ultima cena nel Vangelo giovanneo. Con l’acqua ti purifico. Sono sporco e ho bisogno di lavarmi o che qualcuno mi conduca ad un’acqua dove potermi lavare. Giovanni comanda, ordina, grida la necessità di conversione, di cambiamento della mentalità, della condotta di vita, delle passioni del cuore. Accompagna nelle acque vive e correnti del Giordano per purificare e orientare verso una nuova via. «Io vi battezzo con acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più potente di me e io non son degno neanche di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito santo e fuoco» (Mt, 3,11). Il battesimo di Giovanni offre un’acqua di conversione, che chiude un passato ed apre ad una nuova via, offre la possibilità di una nuova strada, dona la gioia del giusto cammino. Per percorrerlo lo Spirito di Dio agisce come guida, come soffio, come presenza. Non è un caso che, dopo l’episodio del battesimo in acqua che Giovanni compie in base alla richiesta di Gesù, lo Spirito santo irrompa nei testi come attore e forza agente: «vide lo Spirito di Dio scendere come colomba e venire su di lui», secondo il testo di Matteo, ma parimenti negli altri due sinottici; e subito dopo lo Spirito induce, conduce, spinge Gesù nel deserto. L’acqua ha offerto una strada, lo Spirito la forza per affrontarla, Gesù la guida per viverla fino alla fine.

Marco Gaetano