Capitolo 3. La grazie dei figli

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Il Cardinale dedica la terza parte della Lettera Pastorale “Scrivo a te famiglia”  a far riflettere i genitori, gli educatori e quindi anche i catechisti, perché, a loro volta, se ne facciano partecipi con le famiglie, sulla “grazia dei figli”; è un paragrafo lungo e articolato con il quale conclude il suo scritto, pertanto è opportuno considerarlo in due parti, tenendo conto del contenuto diversificato in esso presente.
Nella prima parte di esso i genitori sono presentati come coloro che “costruiscono il mondo, fanno storia, edificano il futuro” : quale prospettiva è aperta da queste poche e semplici parole sul compito altissimo dei genitori, da presentare con chiarezza ai ragazzi, affinchè apprezzino, con amore rispettoso, coloro che gli hanno dato la vita e possano sentire profondamente la verità del quarto comandamento che certo a catechismo sarà presentato. La riflessione si sposta poi sul ruolo della famiglia che non è solo quello di “procreare”, ma soprattutto di” educare” : è il tempo di durata dei due eventi che ne segna la differenza, infatti il procreare ha “un tempo”, l’educare “non ha tempo, dura tutta la vita dei genitori e continuerà dal cielo.” Il tempo continua ad essere il protagonista delle domande che l’Arcivescovo pone, nella forza del suo argomentare, prima  a se stesso e di conseguenza poi ai lettori di questo documento: cosa sarà il futuro senza i figli, senza l’accompagnarli nella crescita e nella vita; cosa sarà la società, se i bambini non cresceranno educati come persone solide, capaci di scelte responsabili e “di educare le nuove generazioni? Sarebbe importante prima riflettere su tali domande come catechisti-educatori e successivamente con i genitori, e poi discuterne assieme nella verità e confrontarsi durante riunioni che possono mirare ad una verifica costruttiva. Verifica sempre più necessaria in un tempo, come è quello nostro, in cui è molto diffusa la mentalità frutto della moda comune, la mentalità, come sottolinea il Cardinale, del “ si”, ossia del “si pensa, si fa, si dice”, che crea un pensiero anonimo e impersonale che deresponsabilizza e “uniforma dentro una massa indistinta”. Sono parole incisive per un genitore e un catechista per costringerlo ad un serio e severo esame di coscienza sul modo di giudicare, di operare scelte e sulla capacità di discernere, che spesso è frutto di una moda e non di una scelta secondo verità. Fare un personale esame di coscienza ci aiuta anche ad essere educatori in grado di trasmettere alle giovani generazioni “la capacità di giudizio critico” che può aiutare i ragazzi a scoprire, se ben guidati ed istruiti secondo verità, “la distinzione del vero dal falso, del bene dal male, del giusto dall’ingiusto”. Per educare servono tre elementi:”verità, fedeltà, coraggio” sia da parte di chi educa, sia da trasmettere ai bambini e ragazzi poiché diventino adulti capaci di vivere e scegliere con “verità, fedeltà e coraggio”. L’educare, incalza il nostro Arcivescovo, richiede anche “fiducia e pazienza, forza e tenerezza”; anche la trasmissione della fede richiede queste virtù da parte del catechista, che è persona capace di trasmettere quella forza che sola viene dalla fede, capace di guardare il bambino con la stessa fiducia con la quale siamo guardati da Dio, che è  paziente oltre ogni limite, poichè ogni intervento educativo e formativo richiede tempi lunghi e Dio li ha nei confronti di noi suoi figli per renderci consapevoli della bellezza della fede e della strada che Lui  ci indica.  Questo modo di essere e comportarsi del catechista-educatore trova il suo apice in un atteggiamento del cuore che diventa anche atteggiamento del corpo: la tenerezza, quella stessa che il Padre ha nei confronti di noi sue creature e che Gli permette di commuoversi fin dentro le viscere, ossia di partecipare alle nostre vicende con la preoccupazione dell’amore. E la riflessione del Cardinale prosegue ancora e si alza di livello, andando a monte di ogni problema e di ogni modo di essere di chi educa e di ogni principio educativo applicato, va all’essenza stessa della persona, che, per essere significativa, deve possedere un’ unica caratteristica : essere persona matura, fortemente “centrata”, ossia basata e ancorata su “una stabilità interiore” che non dipende da “falsi centri” che sono fuori da sé ( denaro, successo, salute e apparenza) e sono i miti del nostro tempo, perseguiti ad ogni costo, ma “dall’essere ognuno ben radicato dentro di sé”. E’ un forte richiamo per i catechisti, persone dunque non legate a mode e miti a cui è spesso difficile sfuggire, ma capaci di una forte vita interiore, di scendere nel profondo del proprio spirito, di essere eco non di ciò che è superficiale e vano, ma di ciò che è profondamente radicato : punti solidi di riferimento nello smarrimento generale. E’ anche un forte richiamo a lavorare perché coloro che ci sono affidati possano, un po’ anche attraverso di noi, divenire adulti fortemente “centrati”, a cui sarà difficile smarrirsi. Il catechismo dunque non solo genera cristiani consapevoli e forti, ma anche persone in grado di generare a loro volta atti di fede ed eventi di vita maturi e responsabili: è ciò di cui ha bisogno la Chiesa e la società civile.
 
Nella seconda parte il Cardinale pone a noi delle domande: Si vuole screditare o indebolire la famiglia oggi? La si vuole accusare di tutti i mali presenti? La si vuole descrivere come un oppressione da cui liberarsi?  Come catechisti, siamo interpellati in prima persona per due motivi: primo, perché la nostra attenzione verso la famiglia sia consapevole al punto da comprenderne tutti gli aspetti e le problematiche che spesso possono non essere chiare ai nostri occhi, secondo, perché consapevoli di queste problematiche, possiamo, nei nostri rapporti con i genitori, guidarli a leggere la realtà del tempo in cui anche loro sono coinvolti, spesso così profondamente, da non saperla neppure leggere con obiettività.
La ricerca della felicità è il sentimento che alberga nel cuore di tutti, grandi e piccoli; oggi forse la si ricerca fuori di sé, nelle cose da possedere, nelle novità da vivere : allora è urgente rispondere a questo smarrimento a questa insoddisfazione, indicando a tutti, genitori e bambini, che c’è una via da percorrere per ricercare e trovare Colui che soltanto può donare la gioia, perché è Lui stesso la felicità. Allora ecco il catechismo come aiuto in questo cammino perché fornisce la mappa per camminare.
L’Arcivescovo getta una parola di speranza sulle tante crisi, difficoltà e ferite delle famiglie : “la Grazia di Dio e la forza del Sacramento” donano sostegno per superare gli ostacoli e rendono l’amore “più maturo”. Notazione particolarmente importante per i catechisti che devono essere guide per far scoprire la forza della Grazia Sacramentale che spesso è ignorata: così l’uomo resta solo a lottare e non percepisce la presenza amorevole del tocco di Dio che sta accanto a lui e ne condivide gioie e dolori. Il messaggio di speranza di cui il catechista si può fare tramite tra le famiglie che incontra è anche quello di una vicinanza rispettosa e comprensiva anche per le situazioni più dolorose di famiglie divise : il suo cuore accogliente e misericordioso, che mai giudica ma solo si pone accanto, batte come quello di una madre , ma resta pur sempre nella verità del Vangelo. Il catechista è come lo vuole la Chiesa che è Madre ma anche Maestra e “non esclude nessuno dal suo seno”. Il tema della misericordia è fondamentale da sviluppare nella catechesi per formare i cuori delle giovani generazioni a somiglianza del cuore di Cristo, che ama in modo viscerale insegnandoci ad amare così: ad amare così si impara dalla Parola ma anche dalla testimonianza e dall’annuncio del catechista. Ma c’è un altro insegnamento da trasmettere in modo chiaro ed inequivocabile : la Chiesa è sì la madre pronta sempre ad accogliere ed abbracciare, ma è anche colei che ci fornisce quella sana e forte dottrina che fa da baluardo insegnando come vivere secondo il cuore e il pensiero di Gesù, il Maestro per eccellenza.
Poi lo sguardo dell’Arcivescovo si posa sulla famiglia come soggetto sociale e nota come lo Stato oggi poco aiuti la famiglia, pur riconoscendola come “comunità originaria”, “cellula vitale”, “il domani” e considerandola una “realtà stabile che genera futuro per tutti”; questo modo di considerare la famiglia è accolto anche dalla Chiesa, che va  però oltre nel suo sguardo, nel sottolineare una caratteristica centrale della famiglia : la fecondità che non è solo capacità di generare ma “si allarga alla cura degli altri, piccoli e grandi che siano”. Soffermarsi sulla “fecondità” nella catechesi apre spazi amplissimi di annuncio : la fecondità è una vocazione alla quale tutti siamo chiamati, e nel mondo laico come in quello religioso o presbiterale. Annunciarlo ai ragazzi e agli adulti genera speranza e consapevolezza nel cammino della vita e in quello della fede, dà senso all’agire e al vivere stesso.