La vita in fondo al pozzo

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Nel periodo di Avvento, che stiamo attualmente vivendo, si prepara la venuta di Gesù, Dio incarnato. Nel Vangelo di Luca, la nascita del Cristo viene posta in parallelo con quella di Giovanni il Battista che appare come l’anello di congiunzione tra antica e nuova alleanza, nel suo ruolo di precursore, di “quell’Elia che deve venire”, mentre Gesù è il “nuovo testamento”, l’alleanza definitiva che compie l’antica.
Oggi, però, ci occuperemo anche di altri due giovani: Isacco e Ismaele figli dello stesso padre Abramo ma nati da due madri diverse, Sara e Agar.
Paolo in Galati 4,21-31 vede in queste coppie la rappresentazione delle due alleanze: la prima, Agar-Ismaele, “schiava” della Legge, generata secondo la carne, la seconda segno della “Gerusalemme di lassù” libera e generata secondo lo Spirito. La cultura rabbinica individua nel figlio di Agar il capostipite dei goiim, dei popoli non ebrei (Ismaele è infatti considerato nella Bibbia il progenitore dei popoli arabi), mentre Isacco è il destinatario dell’alleanza nella linea di successione di Abramo, la cui simbologia riporta quindi a Israele. Vi è evidentemente una generale “disaffezione” verso Ismaele e Agar.
Mi permetto di introdurre un paradosso frutto di una riflessione personale. Vi suggerisco un capovolgimento di punto di vista: Isacco, il preferito da Paolo e dalla tradizione rabbinica, può essere accostato all’antica alleanza di cui è destinatario e poi custode, mentre Ismaele colui che costruirà una nuova vita fuori da Israele, a Gesù, il quale allargherà l’alleanza anche ai popoli cosiddetti pagani.
Dichiarata la mia simpatia, in questo contributo, ci occuperemo in particolare proprio della parte meno considerata dalla storia, ovvero di Agar e Ismaele. Vediamo dunque il racconto.
In Gen 16,1-15. Sara (che al tempo si chiamava ancora Sarai), sterile, concede al marito la possibilità di avere una discendenza tramite la sua schiava, Agar. Questa, rimasta incinta, si pavoneggia della gravidanza tanto da venir maltrattata da Sara gelosa. Agar fugge: un angelo di Dio però la “trova” e le ingiunge di ritornare a casa e rimanere sottomessa alla sua padrona. Questo incontro avviene presso un pozzo che Agar, pensando di aver visto “colui che mi vede”, denomina Lachai Roi, “del vivente che mi vede”.
Adesso però, anche Sara ha avuto un figlio, Isacco, e coglie Ismaele a ridere: il testo non dice con chi o di che cosa, ma noi possiamo supporre che riguardi il progetto di togliere la primogenitura ad Isacco (vedremo perché). Sara chiede allora ad Abramo di scacciare Ismaele e la madre. Abramo ne è addolorato, ma Dio gli domanda di ascoltare la moglie in tutto, poiché anche per il figlio della schiava ci sarà una discendenza. Abramo, dunque, carica su Agar pane e acqua assieme al figlio, e li manda via. Agar si perde nel deserto e, finita l’acqua, pone il figlio sotto un cespuglio e si allontana perché non vuole assistere alla sua morte. Si siede dunque e piange. Dio ascolta la voce del ragazzo e il pianto della madre, invia un messaggero che rassicura Agar sulla sorte del figlio. “Dio le aprì gli occhi e lei vide un pozzo d’acqua”. I due sono salvi. Il ragazzo cresce fino alla piena maturità e sposa un’egiziana, conterranea della madre.
Poniamo adesso la nostra attenzione sui nomi e su alcuni giochi di parole presenti nel testo ebraico per scendere più in profondità nei significati della storia.
Innanzitutto, Agar, il cui nome significa “fuga”, “fuggitiva” (da cui deriva anche il termine arabo Egira, fondamentale nel percorso del profeta Maometto, alle origini dell’Islam), contiene anche un rimando al verbo hagah, “scacciare”, “allontanare”. La schiava è dunque insieme colei che fugge (e poi ritorna) e colei che viene scacciata.
Quindi il gioco di parole tra il “riso” in cui è stato sorpreso Ismaele (riso che tradisce le sue intenzioni) e il riso di Isacco, il cui nome vuol dire “egli ride”: Ismaele, infatti, non viene cacciato solo per aver riso ma, secondo Sara, per aver cercato di usurpare il “nome” e quindi il ruolo del figlio, legittimo destinatario dell’alleanza.
Inoltre, una constatazione significativa: il nome di Ismaele, non compare mai esplicitamente nella pericope, pur essendone un chiaro protagonista. È però costantemente presente nel suo significato, che è “Dio ha ascoltato”: viene infatti chiesto da Dio ad Abramo di “ascoltare” la moglie Sara in tutto, e Dio stesso “ascolta” il pianto di Agar nel deserto. Dio, dunque, ascolta e chiede di ascoltare e il nome di Ismaele è l’orecchio di Dio.
La vicenda, infine, si snoda intorno a due pozzi: uno presso cui Dio si fa vedere, e l’altro che significa “vita nuova” per i dispersi nel deserto.
Che ha a che fare, quindi, questa storia complessa con la risurrezione? E come può aiutarci a comprendere qualcosa di più? Innanzitutto, ci dice che non è possibile fuggire dai problemi, dai dolori o da noi stessi. Dio chiama indietro, riporta alle responsabilità generate dai nostri atti (l’atteggiamento di Agar verso Sara, e il riso di Ismaele), e chiede di affrontare le vicende della vita con un atteggiamento di abbandono in Lui, alla maniera di Abramo: ci sarà sempre una cacciata, un deserto, un dolore, una perdita, un lutto, la mancanza di” acqua”, la presenza della morte.
Non esiste un Dio “magico”, che ci sottrae al dolore, così come soffrire non ha il significato esclusivo di condividere la croce di Cristo (la croce non è un destino ma una possibilità), il senso della sofferenza non è questo, ma è semplicemente il vivere e il morire, che trovano significato nella “vita nuova” in fondo al pozzo, che è vita “oltre” la sofferenza e la morte.
Il nostro Dio è il Dio che ascolta, non modifica gli eventi, ma “sente” con noi e “si fa vedere”. Ci apre gli occhi in modo da scorgere il pozzo: la speranza non ha fine, e la morte non ha l’ultima parola.
La “vita” in pienezza non appartiene solo al popolo della promessa, ma a tutti i popoli e ai “diversamente credenti”. Agar, egiziana, è appartenente non solo ad un popolo straniero ma addirittura avverso a Israele, così come la Samaritana di Gv 4, 21-31 (a cui si rifà anche il nostro logo); il figlio Ismaele è per metà goi, ma insieme alla madre accede ad una “nuova vita” al di là del deserto. Ismaele avrà una sua discendenza come promesso, descritta in Gen 25,12-18.
Ismaele e Isacco insieme alla loro discendenza hanno lo stesso padre che li ha generati da donne appartenenti a popoli diversi a Israele e ai goiim, ma questo fatto non conta realmente, ciò che è realmente importante è proprio il pozzo a cui tutti possono accedere: non a caso nell’antico testamento è spesso il luogo delle alleanze, ed è sempre il luogo della sopravvivenza nel deserto. È vita nella morte, poiché sprofondata nel suo fondo oscuro si trova l’acqua, “acqua viva”, che in Gesù diventerà sorgente “che zampilla per la vita eterna” (Gv 4,14).

Roberto Bisio