Qoelet

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Con 2987 parole in tutto, i suoi 222 versetti e i dodici capitoli, il libro di Qoelet è un testo breve, eppure la sua forza è dirompente. Testo del terzo secolo a.C. si pone come analisi personale di un uomo riflessivo e aristocratico. Il titolo deriva dalla parola qahal, assemblea in ebraico ed in greco ecclesiaste, da cui il nome Ecclesiaste. Rimaneggiato nel finale per rendere l’opera più rassicurante, il testo invece è crudo, razionale, freddo nella sua lettura della realtà. La storia dell’esegesi del testo oscilla così collocando l’opera o al confine della canonicità per i suoi colori foschi oppure cogliendo in essa gioia e speranza.

Di questo testo conosciamo per sentito dire il famoso ritornello che “tutto è vanità”. E forse, in maniera immediata, potremmo orientarci a sintetizzarlo così: nulla vale sotto il sole, tutto è vanità (vuoto) e alla fine si muore come gli animali, né più né meno. Nella realtà la complessità del libro è notevole e non va semplificata.

Un piccolo libretto tutto da leggere, con qualche attenzione al linguaggio antico e facendoci aiutare da alcune note alla traduzione. Vanità, ad esempio, non intesa in senso morale, ma come realtà che ha poca consistenza, che è vacua, svanisce come un soffio: hevel è il termine usato in Qoelet, tre volte addirittura al superlativo (hevel havalim), che ritroviamo nel libro 38 volte, 35 in tutti gli altri libri della Bibbia. San Girolamo, nel suo commento all’Ecclesiaste intende la parola come un tenue soffio che subito evapora, si consuma.

Vi è un altro ritornello che ritorna facilmente alla memoria e che appartiene sempre a questo breve libretto: ogni cosa ha il suo tempo… un tempo per nascere, un tempo per morire, uno per piangere e uno per ridere ecc..

Queste due fotografie già mostrano la straordinaria importanza di questa parola e di come abbia da sempre pervaso la riflessione ed il pensiero. Leggere Qoelet significa non rimanere indifferenti. Vuol dire lasciarsi provocare. Come potrebbe essere diverso leggendo passi come questi:

Non c’è di meglio per l’uomo che mangiare e bere e godersela nelle sue fatiche; ma mi sono accorto che anche questo viene dalle mani di Dio.  Difatti, chi può mangiare e godere senza di lui?  Egli concede a chi gli è gradito sapienza, scienza e gioia, mentre al peccatore dà la pena di raccogliere e d’ammassare per colui che è gradito a Dio. Ma anche questo è vanità e un inseguire il vento! (2,24-26)

Infatti la sorte degli uomini e quella delle bestie è la stessa; come muoiono queste muoiono quelli; c’è un solo soffio vitale per tutti. Non esiste superiorità dell’uomo rispetto alle bestie, perché tutto è vanità. Tutti sono diretti verso la medesima dimora: tutto è venuto dalla polvere e tutto ritorna nella polvere. Chi sa se il soffio vitale dell’uomo salga in alto e se quello della bestia scenda in basso nella terra? (3,19-21)

Egli ha fatto bella ogni cosa a suo tempo, ma egli ha messo la nozione dell’eternità nel loro cuore, senza però che gli uomini possano capire l’opera compiuta da Dio dal principio alla fine. (3,11)

Parole di Qoèlet, figlio di Davide, re di Gerusalemme.
Vanità delle vanità, dice Qoèlet,
vanità delle vanità, tutto è vanità.
Quale utilità ricava l’uomo da tutto l’affanno
per cui fatica sotto il sole? (1,1-3)

L’invito alla lettura è caldo e appassionato. Consigliamo di non cercare subito una soluzione alle frasi del testo, piuttosto è bene farsi cullare e lasciarsi trasportare dalla sua corrente. Lo sguardo dell’autore è calmo, rigido, quasi solenne. Invita a porsi domande e ricordarsi che Dio è Dio e l’uomo è uomo e che la vita sta in questa relazione. La desolazione resta, la vacuità anche ma l’uomo può guardare a Dio. Buona lettura.

Marco Gaetano