Maria di Nazareth: senza macchia, un dogma del XIX secolo

Facebooktwitterredditpinterestlinkedinmail

Intorno alla figura di Maria, dopo le proclamazioni di fede circa la sua verginità e la sua divina maternità, per molti secoli furono le devozioni, le preghiere, le diverse forme di “affetto” nei suoi confronti ad alimentare il culto mariano e la sua presenza nell’orizzonte di vita delle comunità cristiane. Se la preghiera del “Sub tuum praesidium” risale al terzo secolo dopo Cristo, nel XII secolo abbiamo la nascita e lo sviluppo del rosario, in ambito monastico e domenicano. L’intercessione di Maria, l’affidamento a lei delle preghiere perché le offra al Figlio, portatore di salvezza, era diventato ormai un gesto consolidato, forte e presente nella pietà popolare. Nel corso di questi lunghi secoli la teologia intraprese un percorso di sviluppo non tanto cristologico o trinitario, questa fu la fase dei grandi concili che possiamo dire “costituzionali”, quanto antropologico. L’uomo creato ad immagine e somiglianza di Dio ma reo di non aver tenuto la relazione con Dio, veniva riletto e pensato nel suo modo di vivere il rapporto con la grazia, con la morte e il giudizio, ci si poneva a ragionare su come in lui si andava a creare il rapporto con Dio, il peccato, la misericordia e via dicendo. Quando nel contesto moderno l’evidenziazione della soggettività dell’uomo iniziò a sospingere la dimensione trascendente fuori da logiche di “dipendenza salvifica”, determinando il percorso dell’autonomia (in senso letterale) dell’umanità sulla terra, ecco che la risposta in ambito cattolico pervase tutti i campi di riflessione e cercò di ribadire con forza e rigore l’assoluto primato dell’azione divina sull’uomo, sulla creazione e nell’opera salvifica. Inoltre dopo lo sviluppo della Riforma e delle sue posizioni teologiche, che hanno spinto il pensiero e la vita cristiana verso un’idea passiva dell’accoglienza della grazia, il primato in questo ambito di Dio è assoluto e l’uomo si pone solo in attesa dell’opera divina di redenzione, alla fine dell’Ottocento, dieci anni prima del famoso Sillabo con il quale la Chiesa si opponeva ad ampie posizioni cosiddette moderniste, nel ribadire il primato del dato trascendente che tutto può, la Chiesa si espresse nei confronti dell’Immacolata Concezione: Bolla Ineffabilis Deus, 1854, nella quale si definisce come Maria “sia stata preservata immune da ogni macchia della colpa originale”. Chiarita l’intenzione del testo e senza poter effettuare un’esegesi di tutta la breve definizione, ribadendo che pertanto l’idea della Chiesa era quella di esplicitare in maniera chiara e senza dubbio come Dio agisca per pura grazia nei confronti di Maria e come ella, in quanto madre del Figlio, fu preservata da ogni idea di “macchia”, e quindi l’umanità in lei si accende di bellezza (tota pulchra), resta il fatto che per noi oggi, nella attuale Weltanschauung, la difficoltà di adesione o di comprensione, o anche l’accettazione acritica del dogma dell’Immacolata concezione si innesta sulla complessa necessità di ridire il tema del peccato originale. Ciò accennato permane in questa definizione la proposta di cogliere la trascendenza di Dio che nel fare a sé la creatura la preserva da ogni male per riempirla di grazia.

Marco Gaetano