Maria di Nazareth: lo sguardo giovanneo

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Il quarto Vangelo sviluppa la sua riflessione con uno sguardo definito teologico. Usa termini simbolici, apre molto all’immaginifico e traduce gli eventi accorsi tempo addietro attraverso una visione sua propria, spirituale, di fede, di visione. Distanti dagli scarsi riferimenti di Marco, dagli sviluppi di Matteo ma anche dal piano narrativo lucano, nel Vangelo secondo Giovanni troviamo due passi importanti che riguardano la madre di Gesù. La vicenda di Cana al capitolo due e l’ora della croce al capitolo diciannove. Entrambi i passi necessiterebbero di un lungo approfondimento esegetico e spirituale, sia per complessità che per linguaggio narrativo.

Per il nostro semplice percorso cerchiamo di concentrarci su alcuni passaggi atti a narrare Maria nella visione del quarto Vangelo e, essendo questo collocato al termine del primo secolo, avendo quindi una dimensione di maggior respiro e facendo emergere situazioni e riflessioni teologiche di quaranta/cinquanta anni postume alle vicende terrene di Gesù, poniamo l’attenzione sui primi sviluppi teologici della figura della madre e delle sue caratteristiche all’interno della Chiesa.

Durante il banchetto di nozze ad un certo punto manca il vino. Simbolo ricco nella tradizione biblica, esso non rappresenta solo un dato materiale, ma ci orienta al tema della vigna, del vino vecchio e nuovo, del rapporto sponsale tra Israele e JHWH. Due le parole di Maria, rigorosamente presentata nel testo come la madre di Gesù. Tale caratterizzazione è qui posta non solo come un aspetto familiare ovvio, biografico; abbiamo già visto il tema del clan ad esempio in Marco, ma è carico di un valore, quasi di un ruolo. Quella “serva” di lucana tradizione, è la madre. Ella si accorge della mancanza del vino e ordina agli inservienti di fare quello che Gesù dirà. Maria svolge il ruolo della donna che si accorge del bisogno e se ne fa portavoce. Non sono gli sposi, non è il responsabile del banchetto, che pure avrebbe dovuto notarlo per primo. Maria si accorge del bisogno, si accorge che a quelle nozze manca qualcosa perché si traducano in uno sposalizio gioioso e fecondo. “Prega per noi” verbalizziamo nella preghiera mariana. Fatti nostra portavoce. Il bisogno, evidenziato, viene posto all’attenzione del Figlio e, dopo una risposta difficile per le nostre orecchie, pone la massima fiducia nella Parola di Gesù. Maria vede il bisogno e se ne fa cura portandolo a Gesù al quale si affida. La nuova Chiesa sta prendendo forma a Cana. L’episodio si conclude con il gruppo dei discepoli, dei fratelli, di Gesù insieme alla madre che si recano a Cafarnao.

Tralasciando le difficoltà storiche del brano narrante la croce con la presenza della madre e del discepolo amato, l’affidamento reciproco tra discepolo e madre offre al cristiano la possibilità di una duplice consapevolezza feconda. La prima: a ciascuno di noi viene affidata la madre. Quella donna è dunque madre per ciascuno di noi e noi siamo figli premurosi nei suoi confronti. Un legame di amore spirituale ricco, caldo, familiare. La seconda: noi siamo affidati a lei, ovvero come lei accogliente lo Spirito ha generato, così può sostenere la nostra generazione nello Spirito. Entrambe le situazioni sono poste in maniera cristocentrica. Tutta questa fecondità spirituale è data nel momento dell’ora (la croce), anticipata a Cana, e adesso nella sua pienezza quando il Figlio emette lo Spirito.

Marco Gaetano