Maria di Nazareth (7)

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Secondo lo schema biblico della vocazione, all’annuncio e alla chiamata corrisponde un impedimento, un apparente ostacolo, il cui superamento fa progredire il dialogo e orienta alla scelta risoluta da parte della persona chiamata. Dal punto di vista redazionale, ovvero narrativo, all’annuncio di una gravidanza Maria obietta con la sua verginità e chiede spiegazioni, non pensa sia impossibile, chiede le modalità, il come. Ella infatti è ormai fidanzata con Giuseppe e i rapporti erano sconvenienti, non proibiti, prima dell’ultimo passaggio dell’itinerario matrimoniale che li portava a vivere insieme. In che modo, chiede Maria, avrò un figlio che sarà chiamato Figlio dell’Altissimo. Le interpretazioni esegetiche sono infinite su questo passaggio del dialogo. Per il nostro breve itinerario e per lo sguardo biblico su Maria non ci addentriamo in questa analisi. Restiamo come attenti spettatori di questo evento raccontato con termini e modalità scrittorie tipiche del tempo e che ci impediscono sia di osservare una cronaca che di ascoltare una fiaba. Ci dicono un evento tra una ragazza che crede in JHWH e che, di fronte all’esperienza del suo Dio, si apre alla possibilità del contatto tra Lui e la storia, tra Dio e la sua storia. Non sono parole di consolazione, non sono promesse eteree quelle del messaggero. La forza di Dio non squarcia i cieli ma dona la vita e offre a quella ragazza l’essere madre e l’essere figlia.

La chiamata di Maria è a lasciarsi adombrare dallo Spirito, come la Gloria di JHWH riempiva la dimora, l’arca dell’alleanza trasportata dal popolo durante il grande e fondativo esodo dall’Egitto. Ricevere la vita e donare la vita può apparire come una cosa per nulla straordinaria. Certo qui si parla di un figlio “santo” che nascerà per l’opera di Dio, ma l’esperienza storica di Maria si concretizza nel suo farsi capacità, ricevere l’amore fecondo ci trasforma in fonti di vita che zampilla. Sradica quella forma di appropriazione della vita, quella tendenza a fare nostre le cose e a non lasciarle andare. Combatte quel necessario ego – centrismo che tuttavia, quando esperisce l’essere amato per quello che siamo nel nostro io profondo, sa aprire le mani, condividerle, si rilassa e ci rende prima madri e poi figlie.

L’amore o si incarna o non è. Non ci sono vere alternative. Amare è sempre innervare la nostra esistenza di atti amorevoli. Maria si lascia invadere totalmente dalla possibilità dell’Amore fino a poter generare un figlio che è santo e sarà chiamato Figlio di Dio.

L’angelo rimanda ad un segno che svolge il ruolo di conferma alle sue parole: anche Elisabetta, ormai avanti negli anni, è incinta! Ma certamente non è questo il fatto che determina l’adesione di Maria alla sua chiamata; è l’esperienza che ella fa, da ragazza credente, amante, da giovane donna di speranza e di fede, che accoglie la forza di Dio che nell’incarnarsi si fa tenerezza.

Marco Gaetano