La stanza al piano superiore

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All’inizio del libro degli Atti degli Apostoli viene ripreso l’episodio dell’ascensione di Gesù, che con buona evidenza ricollega questo incipit con la fine del Vangelo secondo Luca. Una volta che Gesù li benedice, congedandosi, ecco che il gruppo dei seguaci ritorna a Gerusalemme. «Allora ritornarono a Gerusalemme dal monte detto degli Ulivi, che è vicino a Gerusalemme quanto il cammino permesso in un sabato. Entrati in città salirono al piano superiore dove abitavano». Sappiamo che la casa, come luogo di riferimento, ha avuto un ruolo importante nelle prime comunità di fedeli, e le conclusioni dei Vangeli spesso ricordano come le apparizioni avvengano dentro le mura domestiche. La casa, dopo la morte violenta del Nazareno, e anche a guisa dello stato d’animo del gruppo dei discepoli e delle discepole, era diventata un luogo sicuro. O forse, solo meno pericoloso. Quella stanza al piano superiore menzionata nel Vangelo come il luogo della Pasqua ebraica celebrata, o preparata, da Gesù e i suoi, sembra essere all’inizio della storia un punto di riferimento.

Veniamo da giorni difficili e il tempo che abbiamo innanzi non appare certamente sereno e limpido. Molti di noi sono stati costretti a rimanere in casa. Soli o in stretta vicinanza con i propri familiari. Qualcuno ha vissuto il tempo della quarantena come un rinchiudersi nella propria dimora, qualcuno come una costrizione, altri nel dolore di una perdita o come incarcerati costretti ai domiciliari. Altri avrebbero voluto starci ma non hanno potuto.

In quella stanza al secondo piano, Pietro, Giacomo, Giovanni, Andrea, le donne, Maria avranno vissuto un tempo di incertezza, oscillante tra paura e speranza, tra dubbi e stupore. Avevamo creduto che sarebbe stato lui a salvarci, ci ricordano i discepoli che camminano verso Emmaus.

Vi è una casa che ci accompagna per tutta la durata dei nostri giorni. Una stanza al piano superiore, una stanza intima, nascosta, profonda. Con termine antico la chiamiamo cuore. Nelle letture degli eventi, come avranno fatto i discepoli, molti pensieri ed emozioni diversi si saranno rincorsi. Aveva detto! Siamo scappati! Io l’ho rinnegato! Ma lui ci aveva predetto la sua morte! Cosa succede ora! E’ risorto? Che vuol dire? Non ci credo se non vedo! E’ vivo, ne sono certa, lo so, una madre sente e vede dove altri non vedono e non sentono.  Così nel nostro cuore durante questi mesi. Dolore, preoccupazioni, angoscia, rabbia, aggressività, speranza, menefreghismo, voglia di sapere, commenti continui, silenzio. Nel nostro cuore in ogni momento abbiamo vissuto e viviamo emozioni diverse, preghiera e incredulità, fede e dubbio, affidamento e chiusure, ansia e amicizia.

Le nostre comunità, i nostri sacerdoti hanno vissuto un tempo sospeso, un sabato santo prolungato, giorno dopo giorno. Ci siamo inventati modi per comunicare, per celebrare, per pregare. Ma il nostro cuore non è mai stato abbandonato. Mai. E mai lo sarà. Perché tra le sue pareti riecheggia perpetua la Parola di Dio. Per molti anni o per pochi in base alla nostra età, l’abbiamo ascoltata. L’abbiamo letta, meditata, commentata, pregata e fatta nostra. E nel tempo del disorientamento essa ha iniziato ad echeggiare dentro di noi. Così nel silenzio imposto, laddove ci è stato possibile, essa si è fatta strada. Ci hanno sorpreso in questi mesi, specie la sera tardi o all’alba, il sentire come nuovi i suoni della natura. Volatili che con il loro canto riempivano strade e piazze alquanto silenziose. Allo stesso modo nella stanza al secondo piano ha iniziato a riecheggiare il sottile mormorio della Parola. Essa riempie il nostro cuore. Non offre certezze, ma accompagna.

Marco Gaetano